ROMA – Del Potro, o meglio la sua struttura, così potente in apparenza, non ce la fa più. Un refolo di vento e si spezza, come le ossa dell’Unbreakable interpretato da Samuel Jackson. E’ puro cristallo, venato di una fragilità disumana inapplicabile al fisico di un campione. Eppure è così. Era materia per vincere e adesso è materia per chirurghi. Un dramma. Dopo aver battuto Shapovalov nel torneo sull’erba in corso al Queen’s di Londra, dove ci si prepara a Wimbledon, l’argentino adorato in tutto il mondo, l’unico che possa vantare tifosi ovunque, come Federer e Nadal, amatissimo per la sua gentilezza, le sue qualità, per ciò che di personale e di agonistico ha sempre offerto, come fossero gli ingredienti di un piatto unico, si è di nuovo rotto la rotula del ginocchio destro. Non si sa come.
Sì, è vero, durante l’ottavo game è scivolato. Ma è anche vero che ha continuato e ha pure vinto. Poi si è ritirato con Lopez. Forse davvero alcune parti del suo onorevole chassis (le ginocchia, i polsi, anch’essi plurioperati) non sopportano più le enormi sollecitazioni. Per consunzione, usura, stordimento articolare. Due volte in meno di un anno: il messaggio del corpo purtroppo è chiaro. E il racconto del ragazzo, più “anziano” evidentemente, più “logoro” di quel che dicono i quasi 30 anni all’anagrafe, ne farà 31 il prossimo 23 settembre, è accorato, segnato dallo sconforto, ma in fondo anche consapevole (tanto contro il logorio del tempo c’è davvero assai poco da fare). Dovrà tornare sotto i ferri ancora una volta. Tra domani e sabato lui e il suo medico Angel Cotorro decideranno a chi affidarsi e la data dell’intervento. E nemmeno stavolta Del Potro ha certezza di quando potrà tornare. E soprattutto come. E’ lui il primo a conoscere la verità dietro la chirurgia: per quanto miracolosa sia, per quanto possa essere rapido e virtuoso il periodo della convalescenza, ad ogni intervento, ad ogni passaggio in sala operatoria la struttura si fa più debole. E quando riprende non lo fa con i giri al massimo, semplicemente perché il massimo non esiste più.
Il tennis è uno degli sport che vanta più caduti. Molti lasciano anzitempo. Molti continuano ma rattoppati, bendati, sempre più insicuri, sempre pronti a mollare o sempre troppo preoccupati di ascoltare anche il più lontano allarme interno. Murray, con l’anca su cui ci sarebbe da scrivere un libro, ha ricominciato dal doppio, ma con una cautela che verrebbe da chiedersi se già adesso il campione scozzese non sia certo che ormai gli sforzi del singolare siano diventati per lui eccessivi. Così Del Potro, icona buona dal mondo del tennis: i quattro mesi (almeno) che trascorrerà lontano dal circuito saranno più lunghi di quattro mesi veri. Stare fermi a 30 anni non è come stare fermi a 20. Penserà a lasciare. Poi cambierà idea. Poi tornerà cupo. Poi di nuovo uno spiraglio. Un giorno magari il “Delpo” si sentirà pronto per tornare a sorridere, ad allenarsi e a spingere. Ma la partita vera e i grandi tornei sono un’altra cosa, se nel frattempo la rotula è diventata un nemico…