Era stato il tema dell’estate lanciato da Frank Vogel, e dopo soltanto 17 partite di regular season si può dire che è già un successo. Terminale delle azioni della sua squadra fino all’anno scorso, LeBron James è diventato quest’anno il playmaker dei Lakers, e la bontà della scelta è tutta nei numeri prodotti oltre che nel record della squadra, che stanotte va a giocare a New Orleans.
Se James aveva una media in carriera di 7,3 assist per game, oggi viaggia a 11,0.
Di contro quella al tiro di 27,1 per game al tiro non ne ha sofferto troppo, passando a 25,6.
Rimbalzi? Media confermata con 7,4 a esibizione. Niente male.
Ah, i minuti in partita. Come desiderava (e come desiderava anche il team dopo l’infortunio dello scorso Natale) sono diminuiti passando da 38,5 a 35,2. In realtà oggi The Chosen One è diventato un giocatore molto più produttivo. Certamente la presenza al suo fianco di un Anthony Davis che fa il lavoro più “fisico”, con la capacità di giocare indifferentemente pick-and-roll, pick-and-pop, feed in the post toglie pressione a James in attacco.
Questo è il giocatore che è diventato LeBron: distributore di palloni per i compagni ma capace di mettersi in proprio, e capace di giocare al meglio i finali di gara se i suoi compagni sapranno supportarlo nella parte centrale delle gare. E questi Lakers dal record 15-2 con striscia aperta di otto vittorie si sono dimostrati in grado di farlo.
In più si trova davanti avversari di taglia inferiore, non deve fare affidamento al suo costoso (in termini fisici) jumper perimetrale, lascia il “lavoro sporco” ai compagni. Ecome se non bastasse sembra pure che si diverta a giocare più di quanto facesse vedere negli ultimi anni. E fa divertire anche chi lo guarda.