(di Angelo Costa – Il Giorno). Invece di buttar via il tempo facendosi dispetti, guadagnandosi la tiratona d’orecchi del presidente federale, i club farebbero bene ad occuparsi di cose più serie: ad esempio, trattar meglio il pubblico. In particolare l’abbonato, che in molti casi è il vero azionista di maggioranza di una società come sosteneva l’irraggiungibile Porelli: con la sua fedeltà, il tifoso assicura introiti su cui contare per la stagione intera.
Già per questo è più affidabile degli stessi sponsor e meriterebbe di esser coccolato con i guanti. Non succede. Lo mormorano gli stessi interessati, vale a dire gli spettatori: chi è abbonato perché la domenica è libero da impegni viene danneggiato dagli anticipi al sabato, specialmente se non legati alla Tv e decisi con poco preavviso.
Se poi il motivo di certi spostamenti è concedere un giorno di riposo in più per le squadre agli impegni di coppa, vale il discorso per chi fa l’Eurolega, Milano compresa: giocare con sole 48 ore di riposo si può.
Anche sugli orari ci sarebbe molto da dire: infatti Roma lo ha detto. Ritardare di un quarto d’ora il posticipo della domenica per dare la precedenza alla Rai, oltre a restringere gli spazi sui giornali, serve a disincentivare i giovani che il giorno dopo vanno a scuola: così si vanifica lo sforzo dei club di portarli alle partite e, di conseguenza, invogliarli a giocare a basket.
Danno pure materiale, se è vero, come denuncia la squadra della Capitale, che una notturna ritardata significa un paio di migliaia di spettatori in meno: con la visibilità che regalano queste dirette, con ascolti ridicoli per via della concomitanza con il calcio, non è un buon affare.
Problema vecchio, come è vecchia la ricetta per risolverlo: provare a fare davvero come in America. Dove prima di mettersi in moto la NBA comunica date e orari dell’intera stagione, Tv compresa: da lì non si scappa, dando a chi si abbona la certezza dello spettacolo. Succede a teatro e nei concerti: nello sport, purtroppo è ancora utopia.