Il filo sottile che parte da un tweet di Daryl Morey, general manager della squadra di pallacanestro NBA Houston Rockets, e arriva fino al Tam Tam Basket di Castel Volturno è lungo come il giro del mondo, ma riflette in pieno le contraddizioni della nostra epoca.
Non è più il tempo dell’esportazione del comunismo nel mondo, ma la Cina quando viene toccata su un argomento politico mostra che i suoi nervi sono scoperti. Al punto di avere una reazione sproporzionata tagliando nette tutte le relazioni commerciali con la NBA per due righe o poco più di un messaggio in cui un singolo individuo tra l’altro americano ha espresso una opinione non condivisa dal governo cinese.
Ora, non tremiamo per un colosso economico come la Lega pro nordamericana per un pur considerevole danno che potrebbe arrivare a 5 miliardi di dollari. Sono talmente grandi che, riducendo un poco le spese, trangugieranno il boccone amaro per andare avanti nella loro storia di successo.
Il ritornello è sempre il solito: ti faccio stare bene economicamente, ti compro come una ragazza in vetrina nel quartiere a luci rosse di una città qualsiasi del Nord Europa, basta che stai zitto e ingoi qualsiasi rospo.
Come avrebbe detto il signor Bonaventura sul Corriere dei piccoli “Alla prima che mi fai ti licenzio e te ne vai.” Se lo trovate più politicamente corretto.
Il problema è che non sappiamo gestire il cambiamento globale che c’è in atto nel mondo. E non sappiamo educarci ed educare all’integrazione dell’altro. Il processo sarà lungo, ma inevitabilmente la Cina dovrà discutere dei diritti politici e di opinione dei suoi cittadini e del rispetto di quello degli altri, dei non cinesi.
Integrazione e rispetto tra popoli e persone di diversa provenienza ed estrazione, e su questo siamo tutti d’accordo.
Ma venendo a argomentare su questo in casa nostra, ci accorgiamo che non è così semplice. L’emigrazione di popoli da un luogo all’altro della Terra è sempre esistita. La più grande mai avvenuta è quella realizzata dall’Europa nelle Americhe – perché gli emigranti non erano solo italiani. Uccisioni di massa, malattie, prigioni a cielo aperto: ai nativi americani di Nord e Sud è successo di tutto come sappiamo, anche se la storia la scrivono i vincitori è quello che ci siamo raccontati.
Pensare di escludere gente che fugge da luoghi destinati alla desertificazione o a diventare l’immondezzaio dell’Occidente (vedi la periferia di Lagos piuttosto che all’isola di plastica nell’Oceano Pacifico) lasciandoli morire in mare o sperando che dall’Italia vadano altrove non elude il problema.
Come per i cinesi: bisognerebbe capire, rispettare e possibilmente integrare. Quest’ultima cosa però è la più difficile perché non consente guadagni facili e consenso elettorale, oltre ad aver bisogno di persone preparate allo scopo. Che di solito non sono quelle che mirano ai soldi e al successo personale.
E per una volta che nel nostro paese, a Castel Volturno, c’è chi riesce a scrivere una storia di capacità, umanità e integrazione come quella storia unica del Tam Tam Basket e di Massimo Antonelli ecco che arriva la burocrazia cieca che trova più facile eludere il problema anziché rispettare il diritto all’integrazione.
Senza scomodare il famoso battito d’ali di farfalla, un filo sottile che dalla NBA passa per la Cina e Hong Kong per arrivare sulle spiagge del Mediterraneo esiste. Vederlo, comprenderlo, agire nella giusta maniera è il compito di tutti noi, in primis di chi governa.