Di Redazione
Ivan Zaytsev, 29 anni, non è un papà qualunque. E’ il capitano della nazionale di pallavolo italiana, che dal 9 settembre giocherà i Mondiali proprio in Italia. Lo hanno soprannominato “lo zar della pallavolo” per il suo carisma da leader e per le origini russe, anche se è nato a Spoleto. Campione da record, è stato il giocatore chiave per conquistare a Rio de Janeiro l’argento olimpico nel 2016. Ma Ivan è diventato celebre anche fuori dalla cerchia degli appassionati del volley: ha postato su Facebook la foto di sua figlia Sienna, 7 mesi, dopo essere stata vaccinata cd è stato subito vittima di insulti da parte dei gruppi no-vax, che si oppongono alle immunizzazioni. Ivan ha passato praticamente l’ultimo mese a Cavalese, in Trentino, ad allenarsi con la squadra italiana: ecco l’intervista realizzata con lui dal settimanale ‘Grazia’.
Ad aprire la porta di casa è sua moglie Ashling Sirocchi, 32 anni, origini irlandesi. Donna forte e determinata, nel mondo della pallavolo tutti la rispettano, qualcuno la teme. Lei è 184 centimetri, Ivan 202. Due giganti.
Com’è nata l’idea del post sul vaccino di Sienna?
IVAN: “In modo naturale: mia figlia sorrideva dopo l’iniezione, invece di piangere. Sapevamo che era un tema caldo, ma non ci aspettavamo attacchi così violenti. Ci tenevamo a far sapere che per noi vaccinare i figli è una forma di rispetto per tutta la comunità: nei Paesi dove non si vaccina la mortalità per malattie infettive è molto più alta. Non si tratta di guerra tra case farmaceutiche, ma di dati scientifici. E se oggi alcune malattie infettive già quasi debellate sono di nuovo in aumento, un motivo ci sarà”.
ASHLING: “Guardiamo con preoccupazione l’Italia che ha fatto un piccolo passo indietro sui vaccini (il governo vorrebbe attenuare l’obbligatorietà delle immunizzazioni, ndr). Ma abbiamo ricevuto il sostegno di molte forze politiche. Perfino il commissario europeo per la Salute, Vytenis Andriukaitis, ci ha scritto. Non credo che i novax siano tanti: fanno solo molto casino sui social”.
Qualcuno ha scritto: “Pensa a giocare”. Come se un campione non potesse esprimere un’opinione.
IVAN: “Sono uno sportivo, ma anche un cittadino. Essere un personaggio pubblico è un vantaggio. Ci sono temi che mi stanno a cuore e credo sia importante usare la mia visibilità anche per sensibilizzare la gente. Ma non voglio fare politica o essere strumentalizzato”.
Come reazione alle sue opinioni, in Rete c’è chi ha espresso perfino giudizi razzisti. Qualcuno le ha augurato di “tornare a casa”, come se questo non fosse il suo Paese. Un paradosso, perché lei è l’idolo della pallavolo italiana.
IVAN: “Commenti così superficiali dimostrano che gli odiatori non conoscono né la mia storia né come mi sento. I miei genitori sono russi, è vero, ma la cittadinanza italiana l’ho desiderata, conquistata, come prevede la legge, dopo dieci anni di residenza. Sono nato a Spoleto, ma in Italia non esiste lo “ius soli”, anche se io sarei favorevole, perché sono convinto che le persone che nascono qui sono la forza del nostro Paese“.
Suo padre, Vjaceslav Zaytsev, era un campione di pallavolo (due argenti e un oro olimpico con la Russia). Com’è crescere con un campione?
IVAN: “Difficile. È stata una figura opprimente. Giravamo il mondo per il suo lavoro (è stato il primo sovietico a giocare all’estero come professionista, ndr). Voleva che diventassi un suo mini-clone. Io, invece, caratterialmente ero diverso da lui e ho fatto fatica a liberarmi dalla sua ombra”.
Ha avuto un’educazione severa?
IVAN: “Sì, i primi anni di scuola li ho frequentati in Russia, dove il sistema è rigido. Educazione un po’ militaresca, poco permissiva. Il gioco e lo sport sono dei “premi”: li ottieni solo se hai buoni voti e se hai finito i compiti. E stato pesante, così come avere un padre che aveva già deciso come dovessi essere. Ora penso che questo mi abbia aiutato a capire ciò che è giusto, sbagliato o utile”.
Sua madre Irina, ex nuotatrice, era diversa?
IVAN: “Mi coccolava e ancora adesso non riesce a staccarsi da me. Mio padre era il campione che sosteneva tutta la famiglia, ma non era mai a casa. La mia mamma cercava in me l’affetto di un uomo che non aveva. Per lei era difficile rendersi conto che il rapporto con mio padre si stava esaurendo. Io e Ash (chiama cosi sua moglie, ndr) condividiamo tutto: i miei genitori non lo hanno mai fatto, per questo si sono poi separati“.
Siete qualcosa di più di una coppia unita. Anche per questo Ashling è stata soprannominata la “Wanda Nara della pallavolo”, alludendo alla moglie procuratrice del calciatore argentino Mauro Icardi. Il vostro sodalizio professionale funziona?
ASHLING: “Mi occupo solo dell’immagine di Ivan, che è importante per un atleta, ma nel mondo della pallavolo non l’hanno ancora capito, vige una sorta di “comunismo sportivo” secondo cui tutti i giocatori devono essere uguali e avere la stessa visibilità”.
Ivan è stato soprannominato il “Ronaldo della pallavolo”. E davvero così?
IVAN: “Un po’ esagerato, ma sono il capitano della Nazionale, ho delle responsabilità e mi fa piacere se sono un esempio per le nuove generazioni. A Ronaldo ho comunque lanciato una sfida sui social: chi tira più forte tra me e lui?” (la battuta di Ivan ha toccato i 134 chilometri orari, mentre l’attaccante juventino ha fatto gol calciando la palla a 104).
Lei e Ashling come vi siete innamorati?
IVAN: “Ci siamo conosciuti in un locale e, per la nostra altezza, spuntavamo dalla folla. Le ho chiesto il numero di telefono. Ci ha messo mezzo secondo a darmelo“.
ASHLING: “Non ha funzionato subito. Eravamo entrambi fidanzati. Una sera gli ho chiesto di uscire, ma lui ha risposto che era stanco: preferiva vedere la tv con la sua mamma. Mi sono detta: “Cancella il numero”. Invece, un po’ per scherzo, d’accordo con le mie amiche l’ho richiamato. Inventandomi la storia che avevo vinto al Gratta e Vinci e gli offrivo da bere senza limiti“.
Prima di capire che Ashling era la persona con cui costruire una famiglia, com’era il suo rapporto con le donne?
IVAN: “Superficiale: ero un adolescente che cercava avventure in giro, senza pensare di poter ferire le persone. Ero fastidioso, sgradevole”.
Ora è un uomo romantico?
ASHLING: “Lo era. Quando lavoravo a Roma al World Food Programme, l’agenzia dell’Onu, non era ancora un famoso giocatore di pallavolo. Ma tutti se lo ricordano perché era quel ragazzo alto che arrivava in un giorno qualunque con un mazzo enorme di fiori e mi tempestava la scrivania di piccoli regali”.
IVAN: “Be’ adesso vai a dormire alle 21,30 e non c’è tempo per fare il romantico“.
Compare il piccolo Sasha e si arrampica sulle ginocchia dell’atleta. “Papà, sai che io so fare il bagher così?”, gli dice, appoggiando una mano sull’altra.
IVAN: “In realtà non gli ho insegnato nulla della pallavolo, non voglio forzarlo, deve fare quello che gli piace, che sia il calcio o gli studi di medicina. Non voglio commettere l’errore di mio padre”.
(Fonte: Grazia)