Chissà se la scelta di Novak Djokovic di allontanare Andre Agassi e Radek Stepanek dal suo box, per richiamare Marian Vajda e il preparatore atletico Gebhard Gritsch dopo un lunghissimo periodo di purgatorio dalle molteplici cause, è stata frutto di una folgorazione improvvisa o di una lunga presa di consapevolezza. «Le decisioni deliberatamente sbagliate sono prese in un luogo oscuro, molto sotto la superficie», scriveva proprio Andre Agassi nella sua celebre autobiografia, Open. Ma forse è proprio lo stato mentale di agitazione che impedisce di avere l’equilibrio corretto per compiere le scelte giuste e che in seguito cambia la percezione del proprio passato, e del tempo e del luogo in cui sono state prese determinate decisioni, allontanandolo dalla prospettiva presente.
Ma c’è un altro passaggio di Open, sempre dove Agassi descrive la sua crisi a cavallo tra il 1997 e il 1998, nel quale Djokovic potrebbe rivedere sé stesso e la sua condizione di qualche mese fa: «Toccare il fondo può essere confortevole perché almeno ti puoi riposare. Sai che non andrai da nessuna parte per un po’».
Il punto più basso della carriera di Djokovic è stato raggiunto probabilmente quest’anno con i due Master 1000 americani di Indian Wells e Miami e le rispettive sconfitte nella prima partita del torneo contro Taro Daniel e Benoit Paire. In quelle tre settimane che lo separavano dal successivo appuntamento nella sua agenda – Montecarlo – Djokovic ha deciso di ricomporre il suo team storico. Nel Principato ha vinto una difficilissima partita contro Borna Coric, ma è arrivato a corto di energie nel finale contro Dominic Thiem. A Barcellona e Madrid, nelle rispettive sconfitte contro Klizan ed Edmund, ha sofferto molto di mancanza di ritmo partita e di abitudine a trovare il giusto equilibrio di tensione e concentrazione nei momenti importanti. In mezzo una partita da Djokovic vero, contro Nishikori a Madrid, ma per certificarne la reale rinascita, anche fisica, si è dovuto aspettare l’ottima semifinale giocata a Roma contro Nadal, tale da metterlo tra i primissimi favoriti al Roland Garros anche in virtù delle sue specifiche caratteristiche, da sempre ideali per contrastare il campione di Maiorca.
Djokovic ha messo in dubbio la sua partecipazione sull’erba dopo la dolorosa sconfitta contro Marco Cecchinato al Roland Garros, avvenuta in realtà più per meriti dell’italiano. In quelle dichiarazioni traboccava però una resa momentanea, una delusione effimera che solo per pochi istanti ha interrotto il travolgente periodo di crescita che lo stava investendo, oltre ogni aspettativa e oltre la rabbia istantanea di quella sconfitta. I risultati sono stati evidenti: in due tornei su erba Djokovic ha perso un solo match, in una combattutissima finale al Queen’s contro un giocatore fortissimo sui prati come Marin Cilic, prima di vincere Wimbledon battendo in semifinale forse il miglior Nadal di sempre sui campi veloci.
Probabilmente la risposta alla questione sul fatto che Djokovic abbia ricomposto il suo vecchio team per una scelta estremamente ponderata o per una decisione di emergenza, di rifugio immediato nelle antiche certezze, non è univoca o chiara. Forse, proprio come diceva Agassi, il fatto che abbia toccato il fondo gli ha permesso di rilassarsi e di arrestare, finalmente, la sua parabola discendente, ritrovando la lucidità e smaltendo finalmente l’isteria. La distanza che aveva sugli altri, prima di iniziare il percorso verso il basso, è stata solo un’agevolazione in più, ma è il punto di partenza necessario attraverso il quale provare a ricostruire se stessi, accettando il mutamento del contesto.
Un nuovo Slam
Nel percorso di redenzione di un campione come Novak Djokovic, il quarto trionfo a Wimbledon passa perfino in secondo piano a livello statistico di fronte a cosa può realmente significare per gli equilibri attuali, futuri e storici del tennis il ritorno ingombrante di Djokovic in una delle migliori versioni di sé. Eppure anche in questo Wimbledon, e soprattutto nelle ultime due partite, il serbo ha dato nuovamente prova della sua competitività non solo dal punto di vista fisico, dopo il problema al gomito e il lungo stop, ma anche nelle esecuzioni tecniche e finalmente nella continuità mentale, espressa sotto forma non solo di concentrazione e riduzione all’osso dei passaggi a vuoto, soprattutto nei momenti cruciali, ma anche nelle scelte tattiche.
Nella partita di ieri Djokovic ha effettuato tre aggiustamenti principali rispetto alla sfida contro Nadal, conclusa meno di 24 ore prima, che di conseguenza sono stati preparati in pochissimo tempo. Innanzitutto fin dal primo game si è visto come Djokovic abbia spesso e volentieri utilizzato il back per spezzare il ritmo e far piegare un giocatore alto più di 2 metri come Anderson. A un certo punto una grafica suggeriva che il rovescio in top di Djokovic aveva un’altezza media di poco più di un metro – quindi a livello del bacino di Anderson, in condizioni ideali di impatto – mentre il rovescio tagliato veleggiava a poco più di 50 centimetri da terra dopo il rimbalzo, costringendo quindi Anderson a colpire la palla praticamente a livello delle ginocchia. Rispetto alla semifinale contro Nadal, Djokovic a inizio secondo set stava giocando in back quasi la metà dei colpi di rovescio (45%) mentre contro lo spagnolo avveniva solo nel 7% dei casi, principalmente per recuperi in allungo di emergenza.
Oltre a questo, Djokovic è stato bravo a variare il servizio. Di solito le sue traiettorie preferite sono quelle verso la propria destra, quindi al centro da destra ed esterno da sinistra, ma con il nuovo servizio implementato a inizio anno per limitare le rotazioni del gomito – facendo salire subito la testa della racchetta in caricamento – Djokovic era stato costretto a migliorare i tagli interni perché faceva fatica a usare il kick. Ecco quindi che contro i suoi ultimi due avversari a Wimbledon ha privilegiato entrambi i servizi a seconda del contesto tattico: contro Nadal ha sfruttato la maggiore apertura di dritto e il minore anticipo della risposta da quel lato dello spagnolo, mentre anche contro Anderson il serbo ha preferito evitare la solidissima risposta di rovescio bimane, ma essendo il sudafricano destrorso Djokovic ovviamente doveva cambiare lato.