Era dal 1995 che un sudafricano non giocava il singolare alle atp finals; allora a Francoforte fu Wayne Ferreira, 23 anni dopo a Londra è toccato a Kevin Anderson. Allora Ferreira battè Sampras e Kafelnikov nel girone ma la sconfitta con Becker gli costò la semifinale.
Traguardo che invece sembra più che accessibile per il gigante di Johannesburg dopo la convincente prova con Dominic Thiem nella prima partita del girone dedicato a Hewitt. Anderson e John Isner sono i due debuttanti “attempati”, 32 anni il primo, 33 il secondo, entrato grazie al ritiro di Rafa Nadal.
Molti i punti in comune tra i due: entrambi prodotti del sistema universitario (NCAA), entrambi sopra i due metri (2,03 Anderson, 2,08 Isner), entrambi accompagnati da un discreto scetticismo a inizio carriera avendo una statura più adatta al basket che al tennis, entrambi bravi a smentire il luogo comune che recitava come mantra acido “giocatore alto giocatore lento“. E gli incroci non finiscono qui: nel 2008 hanno giocato uno contro l’altro nella finale NCAA a squadre, dieci anni più tardi hanno scritto la storia di questo sport a Wimbledon firmando la seconda partita più lunga della storia, quelle 6 ore e 36 che hanno finalmente convinto i tradizionalisti inglesi a optare per il tie break, non sul 6 pari, d’accordo, ma almeno sul 12. Ma torniamo a Kevin Anderson, un ragazzo discreto, umile, gran lavoratore, ma non per questo banale, anzi.
Famosa la sua battaglia contro la plastica: non di facciata dato che spesso passa per le spiagge della Florida, dove risiede, per raccogliere bottigliette lasciate dai turisti poco attenti alla eco compatibilita’. E anche nella partita con Thiem abbiamo avuto prova della sua sensibilità quando ha chiesto al giudice di sedia Fergus Murphy la borraccia riutilizzabile che le Atp Finals – anche su proposta di Anderson – hanno previsto per i giocatori al posto delle abituali bottigliette di plastica.
C’e’ un Anderson attento a non soffocare il pianeta e uno tenerone: quello che nell’intervista di fine partita con la ex tennista Annabel Croft, fa gli auguri in diretta alla moglie Kelsey, invitando il pubblico a intonare “happy birthday”. Voce tremante, emozionato e un poco stonato: non si può pretendere la perfezione e c’e’ tanta umanita’ nel vedere un gigante in un momento di impacciata tenerezza.
Già, la moglie Kelsey, uno dei segreti di Anderson. Non solo compagna di vita, ma manager, organizzatrice delle trasferte, coordinatrice delle pagine social, addetto stampa, prima tifosa di Kevin.
Grazie al quinto posto in classifica Atp raggiunto dopo la finale a Wimbledon Anderson ha eguagliato il migliore piazzamento di un tennista sudafricano (Curren nel 1985); Ferreira si è fermato al sesto posto, Kriek al settimo.
Anderson si è affinato come tennista negli Stati Uniti, dato che in Sudafrica le strutture sono limitate e il tennis e sempre stato considerato uno sport per bianchi e privilegiati. Destino comune ai predecessori Curren e Kriek costretti a chiedere il passaporto a stelle e strisce ai tempi dell’apartheid dove essere sudafricani costituiva un discreto problema considerato il bando internazionale al regime di apartheid di Pretoria.
Un aneddoto fotografa bene il personaggio Anderson. Nei primi anni di carriera, già numero 1 del sudafrica, era l’ultimo a lasciare il campo durante gli allenamenti della squadra di coppa Davis. In particolare il suo ex capitano De Jager ricorda come provava con insistenza il servizio per almeno 30 minuti mentre i suoi compagni erano in doccia. Tenace, determinato, serio. Questo è Kevin Anderson. Non a caso l’ultimo vincitore a Londra, Grigor Dimitrov lo ha indicato come possibile sorpresa. Su un campo rapido e al coperto se la gioca con tutti. Djokovic e Federer sono avvisati.