Jacques Villeneuve, campione del mondo in F1 nel 1997, figlio del mai dimenticato Gilles e attualmente impegnato nelle vesti di opinionista pungente e senza filtri nel team di Sky Italia, si è concesso a una lunga intervista realizzata per la serie di podcast Beyond the Grid.
Questa iniziativa, lanciata direttamente dalla Formula 1, ha raccolto i pensieri e le dichiarazioni di diversi protagonisti del paddock, tra cui nell’ultimo appuntamento quelle mai banali dell’ex portacolori di Williams, BAR, Renault e Sauber. Dal rapporto con il padre al concetto di rischio, dal significato che hanno avuto per lui le corse automobilistiche fino a qualche considerazione sui protagonisti del presente nella massima categoria: di tutto ciò ha parlato Villeneuve in maniera approfondita, ribadendo alcune sue posizioni maggiormente note, ma anche svelando sfaccettature dell’uomo dietro il pilota.
Jacques è personaggio che ha deciso di rimanere all’interno del paddock anche dopo il suo ritiro dalle corse, avvenuto nel 2006. Quella dell’opinionista TV non era però una strada inizialmente contemplata: “Pensavo che sarei rimasto più a lungo pilota di Formula 1, non è stata una mia scelta quella di fermarmi. L’idea era di andare a correre in Nascar, pensavo di avere opportunità che non si sono presentate. Non avrei mai pensato di fare il commentatore per la televisione, ma la vita è piena di sorprese“.
Ritornando alle sue origini e alle ragioni che lo hanno spinto a diventare pilota da corsa, Villeneuve ha spiegato che si è trattato di una direzione obbligata, intrapresa ciononostante per un desiderio autentico: “Ho sempre avuto la passione delle corse, non ho mai pensato di fare qualcos’altro. Non c’è stata scelta, ma era comunque una mia decisione. Ho sempre avuto bisogno della competizione, prima delle monoposto c’era lo sci, nonostante non avessi mai contemplato altro che non fosse una macchina da corsa. Non conoscevo il kart, ero in collegio e aspettavo la mia opportunità, che è arrivata a 17 anni in Formula 3“.
E ancora, focalizzandosi sull’influenza e sul ruolo del padre: “Non ricordo di aver parlato con mio padre dell’idea di diventare pilota da corsa. Non c’era dubbio nella testa di mio padre sul fatto che dovessi diventare un pilota. Avevo l’immagine di lui come pilota e non come padre“.
Quando gli è stato chiesto di esprimersi sui tratti caratteriali che sente di aver in comune con il padre Gilles, Villeneuve si è concentrato sul concetto di rischio, particolarità indiscussa per cui ancora oggi il cuore dei tifosi ricorda con malinconia il compianto pilota della Ferrari: “Penso di condividere certi tratti caratteriali con mio padre, ma non so bene come visto che non era abbastanza presente da poter discutere con me. Da lui ho appreso il rispetto per il rischio e per gli altri piloti, una cosa che era ben presente in lui nonostante non ricordi come ciò sia giunto a me, se attraverso mia madre o da lui direttamente. C’era sempre il bisogno di spingere oltre i limiti e prendermi dei rischi, non per andare più veloce ma per orgoglio e per dimostrare chi era il lupo più grosso nella mischia e chi aveva il coraggio di saltare dal dirupo più alto“.
Approdato in Formula 1 nel 1996 dalla IndyCar, Jacques ha spiegato quanto la sua esperienza in America sia stata formativa per portare un pensiero più ampio nell’ambiente a cui si approcciava: “La IndyCar è stata una grande scuola. C’era una pressione tremenda, specialmente durante la 500 Miglia di Indianapolis. C’era molto da fare su quelle macchine, con diverse tipologie di circuito eri obbligato a pensare fuori dagli schemi. In Formula 1 talvolta non occorre pensare in questo modo. Quando sono arrivato in Williams ho lavorato con Jock Clear che aveva una mente aperta visto che era fresco ed era soltanto alla sua seconda stagione. Facevamo molti test e il team era disposto ad accontentare certe nostre idee, ma dopo un po’ hanno realizzato che quello che stavamo facendo non era così stupido. Andare in direzioni non contemplate dal progetto non era abitudine in Formula 1“.
Approfondendo le dinamiche della Formula 1 del suo tempo, Jacques ne ricorda la brutalità sportiva, non vincolata all’apparenza di facciata: “Non dovevi essere politicamente corretto e potevi essere aggressivo. C’era azione e reazione, ma allo stesso tempo rispetto. Potevi uscire dalla macchina, arrabbiarti per cinque minuti con l’altro e poi andare a prendere un caffè insieme“.
Concludendo gli aneddoti e le riflessioni sulla sua carriera, Villeneuve ha anche parlato del compagno di squadra che lo ha maggiormente colpito: “Il compagno di team più impressionante, dal punto di vista della gara, è stato Fernando Alonso. Aveva un certo tipo di energia che ti spingeva. Abbiamo corso tre gare insieme nel 2004. A livello di velocità in qualifica eravamo alla pari, ma in gara mi ci voleva sempre qualche passaggio per eguagliare la sua performance. La Renault era creata attorno a lui, avrei voluto correre l’intera stagione con lui“.
Con un salto nel tempo, l’ex pilota canadese ha poi speso qualche parola sulla Formula 1 contemporanea e sui suoi protagonisti. Interrogato su quale pilota, tra quelli in attività, gli assomigli di più, Villeneuve ha risposto così: “Non penso si veda chi sono realmente i piloti oggigiorno. Non penso che Lewis sia simile a me, spende molto tempo a curare la sua immagine, per lui è di primaria importanza. Ai miei tempi non esistevano i social media ed era diverso. Direi più Alonso, parla liberamente e appartiene alla vecchia guardia. Vedo qualche somiglianza anche con Kimi, penso che oggi sia più sereno e che si mostri di più rispetto al passato“.
In ultima battuta, Villeneuve si è espresso a favore della permanenza di Raikkonen in Ferrari: “Penso che meriti un altro anno alla Ferrari. È terzo in campionato, è spesso più veloce di Vettel e quando non lo è rimane comunque a un decimo di secondo. Il team lavora fantasticamente bene. Metti un giovane come Leclerc al fianco di Vettel e lui proverà a mangiarselo vivo“.
Jacques ha riservato un commento sull’astro nescente Leclerc e sulla necessità di un percorso di crescita graduale: “Charles fa ancora degli errori, sarebbe straordinario per lui andare in Ferrari ma sarebbero due anni di preparazione in un team che, come Mercedes, non è una squadra per preparare i piloti. Le squadre di vertice pagano i piloti al loro apice per vincere. Per questo hanno i junior team, per preparare i giovani piloti“.