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    Dalla C alla Coppa Italia di A3, la rivincita di Davide Russo a Sorrento

    Non pensavo che un colloquio che inizia dalla vincita di una Coppa Italia, potesse essere un viaggio così complesso, potesse essere costituito da squarci di vita che non possono essere dati in pasto a un pubblico con semplicità e da una voce che come quella di Davide Russo, si è levata così in alto da avermi lasciato più volte lungo il corso della chiacchierata senza le parole giuste. O addirittura senza parole. C’è una dimensione umana profonda nella storia di Davide, per la quale la vittoria di un titolo rappresenta un nuovo inizio, ma anche una scure, una bacchetta che mostra il presente bellissimo e il passato con il quale ti sei riappacificato, ma è sempre lì a ricordarti chi eri e come hai dovuto risalire la china.

    Partiamo da lei.

    “Partiamo da Davide, che lo scorso anno ha giocato a Tricase in serie C da schiacciatore, ed oggi è campione d’Italia”.

    Come ci si sente?

    “Inizierei col dire che ancora non ci credo. Non è la Final Four il momento più complesso, ma la mattina dopo, quando ti svegli e sei campione d’Italia. È lì che la mente viaggia e mi riporta a cosa sono stato, a dove sono arrivato e da dove sono ripartito. Sono stato sveglio per tre notti, perché sabato dopo la vittoria della semifinale è stata durissima prendere sonno. Domenica abbiamo festeggiato con i compagni, con i nostri meravigliosi tifosi. Lunedì notte ho pensato a tutto e ho fatto una sorta di recap, pensando alla Coppa e a quanto sono riuscito a tenerla stretta”.

    Proviamo a spiegare cosa rappresenta.

    “Io non ho mai vinto nulla nella mia carriera, se non alcuni premi del mini volley e un torneo provinciale. Ho militato parecchie stagioni in A3 e ho cominciato due avventure diverse con Vibo Valentia e Padova. Ma ho anche giocato in serie C come ho detto, quando ho avuto bisogno di fare un passo indietro rispetto alla mia carriera e alla pallavolo”.

    Ha avuto bisogno di tornare a casa. Le stagioni con Padova e Vibo si interrompono per motivi diversi.

    “Ho avuto necessità di tornare in Puglia, sono uscito dal giro della nazionale. Non imputo alcuna colpa alle società o ai compagni di squadra che nel caso di Padova ho conosciuto giusto per un mese, ma sono arrivato ad un punto in cui da quei luoghi, da quelle città, sono stato costretto ad allontanarmi per motivi personali. Mi sono rimboccato le maniche e sono ripartito. Mi creda, domenica non mi è sembrato vero di poter guardare i compagni e realizzare di aver vinto. Ho i brividi mentre siamo al telefono, perché nella mia vita pallavolistica sono arrivato a sentirmi inutile. E c’è stato un momento in cui mi sono sentito incompreso dalla maggior parte delle persone che avevo intorno”.

    C’è stata Piera. Altra persona a cui lei ha dedicato la Coppa.

    “Piera è la mia prima allenatrice, ed è stata per me come una seconda madre, oltre ad essere stata la mia madrina di cresima. Domenica sugli spalti non è potuta esserci, perché sta lottando con alcuni problemi di salute, ma non ha esitato a seguirmi e mi è stata molto vicino. Era come se fosse lì”.

    Le chiedo un’ultima informazione. Ha sentito Agata e Camilla?

    “Se parlo di loro mi commuovo. Sono le figlie di Marcella, mia sorella, e nella nostra vita hanno portato tantissima gioia e mi creda, ne avevamo tutti bisogno. Ho dedicato la vittoria anche a mio fratello Giacomo, che non è potuto essere con noi a festeggiare. In compenso c’erano mamma e papà, presentissimi come sempre”.

    Perché Sorrento ha vinto la Coppa?

    “Perché non c’è giorno in cui qualcuno di noi non entra in palestra e si diverte. Personalmente ho ritrovato il piacere di allenarmi ogni giorno. Stiamo vivendo un anno che io definisco magico, proprio perché in palestra si respira un’aria diversa, appunto piena di magia. Siamo riusciti a battere San Donà in finale con un seguito di persone incredibile che ha viaggiato con noi, festeggiato e sofferto assieme alla squadra. Sabato in semifinale, ci siamo tutti guardati negli occhi al quinto set, e abbiamo capito che dovevamo portare la partita a casa anche per tutte le persone che ci seguono con così tanta passione”.

    Battere Bellucci in finale cosa ha significato?

    “Significa ritrovare un grande amico con cui mi sento nella quotidianità e che sta facendo un percorso bellissimo in un’altra squadra. Gli auguro il meglio dal giorno in cui ci siamo conosciuti. Alla fine della gara gli ho detto che noi ci ritroveremo quest’anno, ne sono certo”.

    Come la mettiamo con le prossime finali?

    “Noi dobbiamo fare il triplete, lo ripeto sempre negli spogliatoi. L’entusiasmo c’è tutto!”

    La pallavolo le ha un po’ rovinato e un po’ salvato la vita?

    “Quando l’ho lasciata, mi sono sentito inutile. Ma certamente mi ha salvato la vita. Lo penso davvero”.

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    Dal calcio alla pallavolo, ora Filippo Pochini sogna un grand finale con San Giustino

    Chiamalo Pokigno, chiamalo uno dei liberi più conosciuti della serie A3, chiamalo semplicemente Filippo, quello della squadra dei miracoli, ovvero ErmGroup Altotevere San Giustino, ma chiedigli di far parte di questo mondo ancora per un po’. Mi sono avventato su Pochini con l’energia e l’entusiasmo che si addice a uno che piace a tutta la serie e che è riconosciuto per il suo valore e la sua empatia, e mi sono trovato di fronte una persona pacata, timida, ma generosissima nel commentare con me la sua vita e la sua carriera, divisa tra un amore che si chiama beach volley e un lavoro che si chiama pallavolo e che Filippo fa con dovizia di sacrificio da circa vent’anni.

    “Le stagioni giocate sono diciannove. Non avrei mai pensato, quando ho smesso di giocare a calcio di fare il percorso che poi sono riuscito a fare con la pallavolo. È stata un’esperienza intensa e bellissima sia a livello professionale, perché sono riuscito a vincere dei campionati importanti, sia da un punto di vista umano. Alla pallavolo devo dire grazie soprattutto per le persone che ho conosciuto, i viaggi che ho fatto, i luoghi che ho visitato”.

    È riuscito a giocare in Superlega. Il giorno più bello?

    “Il sogno era arrivare a giocarci. Se mi chiede un giorno le dico di un Perugia-Taranto nel quale la mia famiglia e i miei amici sono venuti ad assistere alla mia partita in quel palazzetto. Per me, che sono umbro di origini, inutile dire che è stato un momento molto emozionante”.

     Ha parlato di persone che ha conosciuto. Scelga e mi dica i nomi di quelle della pallavolo a cui è più legato.

    “Ho davvero tanti amici e ho conosciuto tante persone, è vero. Se mi chiede così a bruciapelo le dico Omar Biglino, compagno a Siena che adesso si trova a giocare a Cannes nel campionato francese, Filippo Ciulli, Lorenzo Sperotto e Alessandro Graziani”.

    Diciannove stagioni. L’ultima delle quali con San Giustino ha del miracoloso. Se il campionato fosse iniziato al girone di ritorno, sareste i primi della classe.

    “Quest’anno non siamo partiti benissimo, poi con qualche cambio e devo dire con l’arrivo di Maiocchi siamo diventati una squadra davvero tignosa. Mi piace dire che non siamo un gruppo di fenomeni, ma siamo gente che vende molto cara la pelle. E ne sono felice, perché San Giustino è una società molto molto seria che merita un bel piazzamento quest’anno. La volontà per arrivare in fondo c’è, e lo vogliamo tutti”.

    Non si nasconde Pochini. San Giustino da playoff.

    “Credo che già il traguardo è matematico. Noi vogliamo andare avanti e giocarcela. La squadra è molto migliorata e siamo determinati a finire bene. Diciamo che la stagione regolare vorremmo finirla al quarto posto”.

    Pensare che quest’anno si parlava di una sua dipartita per dedicarsi al beach volley.

    “Ho aperto una scuola di beach con altri soci a Mantignana, vicino a Perugia, che si chiama Obeya Beach. Se non avessi trovato nulla di compatibile con questa attività che mi tiene parecchio impegnato, forse non avrei rinunciato completamente alla pallavolo, ma certamente avrei dovuto abbandonare l’idea di continuare a fare la serie A”.

    Non ha mai avuto problemi a scalare in una serie minore. Perché così tante stagioni in serie B quando poteva ambire a qualcosa di più?

    “Sono onesto, perché penso che lo si debba essere: ho preferito giocare, vincere dei campionati, penso all’anno più bello a Gioia del Colle, dove in B vincemmo tutte le partite a disposizione, e guadagnare qualcosina in più per potermi realizzare oltre la pallavolo. Le proposte, è vero, non sono mancate anche dalle serie maggiori, ma ho fatto una scelta di campo che rivendico”.

    Il più forte con cui ha giocato?

    “Senza dubbio Goran Vujevic”.

    Nei prossimi anni potrebbe scegliere solo la carriera del beach come alcuni suoi colleghi?

    “No, a livello di beach mi piace allenare e giochicchiare da noi. Per cui farò magari qualche B1 estivo. Preferisco giocare finché ci sarà la possibilità. Alla pallavolo rimango molto legato”.

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    Simone Scopelliti: le ambizioni di Prata, la sua voglia di tornare in Superlega

    Leggendo il suo curriculum, laddove un datore di lavoro del volley volesse valutarne ambizioni e progressi, alla voce esperienza di Simone Scopelliti vengono delineate in primis una stagione stellare a Reggio Emilia, che tutta la A2 ricorda, culminata con una promozione in Superlega, e le successive tre stagioni alla Tinet Prata di Pordenone, nelle quali ha contribuito a creare un clima, uno spogliatoio, un affiatamento che oggi proiettano Prata ai vertici del campionato dopo oltre venti giornate. 

    Qualora venisse l’idea di chiedere a Scopelliti la ricetta di un percorso similare, basterebbe mostrare come sia Simone e cosa rappresenti oggi per la serie A2, ovvero un giocatore lineare, maturo, in grado di accettare responsabilità e soprattutto in grado di mettere sempre il proprio io dinanzi alle stesse.

    “Questa stagione è partita senza alcuna ambizione forzata. Le aspettative, inizialmente, erano quelle di affrontare un campionato tranquillo, poiché la società ha investito nei lavori di riadeguamento del palazzetto per poter tornare a giocare a Prata e di conseguenza le risorse sono state allocate sulla struttura. Ciò che è arrivato dopo è la conseguenza di un bel lavoro che abbiamo cominciato nelle scorse stagioni e che ha portato la squadra ad esprimersi come avete visto durante il campionato, tenendo testa alle squadre di vertice e riuscendo a raggiungere il primo posto in classifica dopo la ventiduesima giornata”.

    Playoff ormai matematici. Continui lei Scopelliti.

    “Sì, la matematica ci dice che siamo già qualificati alla seconda fase e se ragionassimo come all’inizio della stagione, entrare nei playoff dovrebbe essere già un risultato. Invece guardiamo avanti, settimana dopo settimana siamo riusciti a crescere e ad arrivare sempre più in alto e adesso dobbiamo continuare con questa costanza. So certamente per esperienza che i playoff sono un altro campionato, che alcune squadre potrebbero rinforzarsi e che i risultati al di là del piazzamento e della possibilità di giocare in casa alcune partite, si riazzerano. Quindi si può ancora scrivere la stagione per tutte le compagini che resteranno in gara. Siamo ad un punto in cui la strada fatta è tanta, ma c’è ancora tanta strada da fare”.

    Un pensiero ad una finalissima si fa?

    “Il pensiero lo faccio perché è naturale, ma nulla di più”.

    Si ricorda quella sera della finalissima a Reggio Emilia?

    “Credo sia stato l’anno più bello della mia carriera, nonostante poi la società non riuscì ad iscriversi al campionato di Superlega. Ricordo la finale di Coppa, la finalissima per l’accesso in A1. Dico anche che, dopo tre stagioni, sarebbe bello poter vedere Prata centrare un risultato simile”.

    Posso dire che sarebbe bello e giusto rivedere Scopelliti in Superlega? Me lo concede?

    “(ride n.d.r.) Mi piacerebbe molto. Sarebbe un riconoscimento per gli sforzi fatti in questi anni, oltre al desiderio di scontrarmi con una realtà che rimane impressa, perché anche gli anni di Sora o i miei inizi a Modena restano ricordi indelebili. È passato del tempo, ho completato gli studi in Ingegneria, ho un’età e un vissuto diverso. Misurarmi con il presente della Superlega è quantomeno una cosa curiosa”.

    Del Simone Scopelliti giocatore di Cinquefrondi cosa è rimasto?

    “Rimane il ricordo di casa, della mia famiglia che viene a vedermi alle partite. Impossibile non dire che non mi manchi o che non abbia pensato di riavvicinarmi un giorno a casa. Sarebbe bello riportare la pallavolo di alto livello nel territorio in cui sono nato e cresciuto. In fondo la pallavolo è una strada da percorrere e un percorso che ho fatto col massimo impegno possibile”.

    In questo percorso Prata rappresenta la strada più lunga. Perché?

    “Solitamente io sono sempre stato un giocatore da biennio, ossia dopo due stagioni al massimo ho sempre deciso di cambiare aria. Il fatto di crescere e maturare in questo progetto che eccelle sotto moltissimi punti di vista, sia dal punto di vista della società che dell’organizzazione, mi ha spinto a continuare. Se devo essere onesto, Prata è la società migliore in cui io abbia mai giocato”.

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    Giannotti esclusivo: la nazionale rifiutata, San Donà, Ngapeth e “quelle regole che rivendico”

    La prima e unica volta in cui lo intervistai fu in occasione di una Coppa Italia vinta con la maglia della Padova con cui Stefano Giannotti ha trascorso ben sette stagioni della sua carriera, in un anno che rappresentò il primo di tanti in cui il nome del forte opposto veneto è stato sinonimo di bel gioco e di qualità espressa. Un po’ la vita sceneggiatrice spericolata e un po’ le mancate occasioni del lavoro di entrambi hanno creato tra me e Giannotti un muro divisore, non voluto da nessuno, ma popolato da alcune leggende che oggi, dopo tanti anni, decido di sfatare o di confermare. 

    Giannotti dal troppo carattere, Giannotti l’ingombrante, Giannotti che fa sempre di testa sua. Ne ho sentite e ne ho schivate parecchie in questi anni, sempre pensando dall’alto del potermi specchiare nella vita di coloro che ci troviamo a raccontare, come molti di noi mestieranti fanno, che molto di ciò che ho sentito mi appartenesse. C’è un fattore che mi accomuna con orgoglio a Stefano, ed è il fatto di aver vissuto la carriera come volevamo noi, senza dover essere ciò che gli altri volevano per lui e senza dover sempre scendere a patti con la pallavolo. Il prezzo si paga, è doveroso ammetterlo, ma non se vivi tutto questo con la lucidità e la consapevolezza di Stefano, che oggi è ancora il punto di riferimento della serie A3, nonché, numeri alla mano, il miglior realizzatore del suo girone, oltre a detenere un primo posto in classifica con la Personal Time San Donà di Piave, che dice molto del suo presente.

    “C’è soddisfazione per il lavoro fatto dai miei ragazzi e la convinzione che arrivare fino in fondo sarebbe un bellissimo obiettivo da realizzare tutti assieme. Questo è un bel gruppo, nel quale, guardando bene, si trovano dei giovani che stanno disegnano una bella strada davanti a sé. Io sono uno di loro e i risultati individuali non arrivano solo per me perché tutti stiamo dando il nostro contributo”.

    Quando si parla di San Donà Giannotti dipendente, è un qualcosa per cui storce il naso o le fa piacere?

    “No, non mi fa piacere, anche perché non penso sia vero. Quando accetto un progetto ed entro in un gruppo non lo faccio con l’intenzione di diventare l’ago della bilancio, ma di fare la mia parte, che è la stessa di tutti gli altri, in egual misura. A me piace dare il mio contributo ed essere una garanzia. Cerco sempre di dare il mio meglio e voglio che anche gli altri facciano lo stesso, perciò gli sprono a fare altrettanto”.

    Il gioco espresso è di altissimo livello. Posso dire che lei e Bellucci siete una delle diagonali migliori della A3?

    “Io credo che una squadra sia forte quando ha un’identità. E San Donà ha una forte identità. Con Alessandro abbiamo costruito un rapporto in divenire dai tempi di Garlasco. All’inizio non ci siamo trovati, poi abbiamo trovato un punto di incontro e abbiamo fatto assieme un bel lavoro. Teniamo molto ad avere una buona intesa ed è merito del lavoro che si costruisce col tempo. I ragazzi si allenano molto e i risultati si vedono giorno dopo giorno”.

    foto Volley Savigliano

    Ci pensa alla promozione? So che per molti è un sogno, per lei si tratterebbe di un ritorno. 

    “Sarebbe bellissimo tornare in A2 e sarebbe importante farlo con questa squadra. Ma dove vuole che vada io, sono troppo vecchio! (ride n.d.r.)”.

    Trentacinque anni, diciassette stagioni in serie A. Guardandosi indietro, è felice del Giannotti pallavolista?

    “Me lo sono chiesto tante volte. Ripenso al passato con un grande sorriso, perché ho giocato delle stagioni ottime in campionati che alcuni hanno solo sognato. Rimprovero a quel Giannotti del passato solo alcune scelte che non ho fatto forse per paura. Rimprovero anche il fatto che non mi sono sempre sentito libero di fare delle scelte, perché la situazione del cartellino non è la stessa di oggi. Ma non entro nei dettagli. Detto questo, posso dire di aver giocato una gran bella pallavolo”.

    Mi dica i più forti con cui si è ritrovato a giocarsela.

    “I primi nomi che mi vengono sono Atanasijevic, Omrcen, Juantorena, Ngapeth. Ma l’elenco è lungo”

    Pistola alla tempia. Ne scelga solo uno.

    “Earvin. L’ho visto giocare all’apice della carriera con una Modena assoluta regina della Superlega. Non era tanto la forza dell’atleta, ma cosa era in grado di fare. Se decideva di vincere, non ce n’era per nessuno. Con Bruno erano in grado di fare delle magie incredibili in campo. Avevano una classe immensa”.

    Il compagno più forte?

    “A Monza ho giocato con i primi Dzavoronok e Plotnytskyi, giocatori che già dagli esordi risultavano determinanti. Posso anche dirle con chi mi è piaciuto molto giocare e ricordo un grande Mattia Rosso negli anni di Padova, che è stato un ottimo compagno di squadra”.

    In quegli anni si diffuse una leggenda, ossia che lei avesse rifiutato la nazionale. Sfatiamo o confermiamo?

    “(ride n.d.r) Me la faccia spiegare perché detta così resterebbe una leggenda. Sono stato chiamato per fare un mese e mezzo di nazionale e poi per andare ai Giochi del Mediterraneo. Quando mi sono reso conto che nemmeno ai Giochi avrei giocato, perché ero stato chiamato semplicemente per allenare gli altri, ho detto che preferivo declinare. Poi in realtà quell’anno mi venne una brutta tendinite, quindi alla fine tutto sommato è andata bene così”.

    Altra leggenda: dicono che lei sia un decisionista. O è semplicemente un leader?

    “Io dipendo dall’allenatore. Nel caso di San Donà ho una grande stima per il lavoro di Moretti. In partita mi arrabbio, mi capita di dare delle indicazioni, dei suggerimenti, sono uno che non fa passare certe cose. Però sono anche decisioni che vengono condivise col tecnico. L’unica cosa su cui ho avuto un pochino di libertà come capitano è che mi hanno lasciato fare il regolamento dello spogliatoio e lo rivendico da capitano con orgoglio (ride n.d.r.)”.

    foto Nicolo’ Scottà

    Giannotti, mi cade un mito.

    “Si ricordi che carota e bastone sono sempre essenziali”.

    Quando finirà di essere il giocatore forte che ho conosciuto, cosa vorrebbe fare?

    “Non le so rispondere. Ho studiato per fare l’elettricista. Può bastare?”

    Nell’ambiente della pallavolo come si vedrebbe?

    “Conoscendomi, quando finirò di giocare, vorrò provare a fare altre scelte. Anche se adesso è troppo presto per parlarne. Risentiamoci tra qualche anno”.

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    Marco Novello, Cantù ha pescato un altro bomber: “Sono felice, qui si lavora bene”

    Kristian Gamba. Matheus Motzo. Marco Novello. La classifica dei tre migliori realizzatori della Serie A2 ha una caratteristica in comune: tutti e tre giocatori hanno gravitato negli ultimi anni nell’orbita della Campi Reali Cantù. Non è un caso, laddove nelle società che come Cantù non scelgono di fare squadra con gli album di figurine e i budget da capogiro, bensì con le idee si crea il cosiddetto laboratorio di volley. Società che investono più nell’ambiente, nello spogliatoio, nella serenità e nelle squadre che si ritrovano ogni anno non tanto a lottare, verbo che a casa Campi Reali non piace, ma a giocarsi senza pressioni la serie. 

    Anche Marco Novello archivia il girone di andata con pacatezza ed apre a un girone di ritorno dove Cantù cercherà di non lasciarsi sfuggire nemmeno una sfida:

    “A Cantù sono arrivato innanzitutto per compiere la mia prima esperienza in A2. L’obiettivo era fare il salto di categoria dalla A3, traguardo a cui avevo puntato anche lo scorso anno con la Gabbiano Mantova, ma che purtroppo non ci ha visto ottenere un successo storico. Il Presidente Molteni ci ha parlato da subito della durezza del campionato di quest’anno, fatto da tante squadre ambiziose e da parecchi atleti scesi anche dalla Superlega per risalire subito nella massima serie. Vogliamo salvarci e cercheremo di arrivarci disputando un buon girone di ritorno”.

    Novello dalla A3 all’affermazione in A2. Terzo realizzatore dopo il girone di andata. Una bella soddisfazione.

    “Non posso non essere soddisfatto. Essere tra i primi tre e condividere questo risultato con giocatori come Motzo e Gamba non può che farmi piacere. Ad agosto non mi sarei mai aspettato di arrivare fino a qui. Avevo parlato col mio procuratore della possibilità di salire di categoria per iniziare a capire dove avrei potuto spingermi. La trattativa con Cantù si è conclusa subito perché tutti mi avevano parlato molto bene di questa società e di quanto si stia bene qui. Lo confermo. Ho poi cominciato a lavorare con Mattiroli e la squadra e i risultati a livello individuale, passo dopo passo, sono cominciati ad arrivare”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Dicevamo, primi tre giocatori tutti gravitati da Cantù. Non è un caso.

    “No, intanto perché è una società che sceglie i giocatori in maniera oculata, puntando su ragazzi, parlo di Gamba o Motzo che hanno un bel potenziale e poi vengono messi nella condizione di dare il massimo. Hanno trasformato delle scommesse in scommesse vinte. Penso al percorso di Motzo che poi è andato a Civitanova ad esempio e ha fatto un bell’anno anche lì”.

    Parlando di lei, che cosa considera un supporto per esprimersi come sta facendo quest’anno? 

    “Sicuramente il clima di serenità, giocare senza pressioni eccessive e preoccupazioni aiuta molto. Era così anche a Mantova, io credo che cominciare le stagioni senza caricarsi eccessivamente di aspettative sia da considerarsi un plus. Non puoi pensare che già ad agosto si possa delineare quello che sarà un campionato lunghissimo e pieno di insidie. Devi avere anche il tempo di trovare il clima giusto, di creare le giuste alchimie, di progredire con la squadra e lo staff”.

    Lei e la Superlega. Sogno, pensiero, ambizione. Metta lei la parola corretta.

    “Un pensiero nel quale ogni tanto ci metto la testa. Da quando gioco in B mi piacerebbe anche solo per una stagione poter giocare un campionato così. Chissà se ci arriverò, il livello tecnico con gli anni si alza sempre di più. Sarebbe bello!”.

    Studia sempre Scienze Ambientali?

    “Ingegneria Gestionale. Ho cambiato per riuscire ad adattarmi agli spostamenti perché non riuscivo più a frequentare in presenza o spostarmi troppo per gli esami. Però il progetto di laurearsi resta sempre concreto”.

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    Aimone Alletti, l’oro di Taranto: l’umanità, lo spessore, la leadership, l’amore per la famiglia

    Diciotto stagioni, ci scherziamo su. Quasi una maggiore età pallavolistica con la lettera A davanti. Ma è questo il quantitativo di annate che emergono dal curriculum di una delle certezze della Superlega, ovvero Aimone Alletti. La percentuale delle stagioni che Alletti ha trascorso in quel di Taranto, alla Gioiella Prisma, supportano la riflessione legata al fatto che la Puglia è senza dubbio la sua storia professionale più lunga, certamente quella in cui Aimone ha avuto modo di utilizzare tutto ciò che si è sedimentato in anni di grande e lungimirante formazione.

    “La carriera me la sono costruita da solo. Quando ho incominciato a sedimentare l’esperienza in serie A non avevo pretese diverse da quelle di ritagliarmi il mio spazio e avere il mio posto, senza alcuna falsa promessa da parte delle società. Non volevo nulla se non avere la possibilità di giocare e di mettermi alla prova. Anche a Taranto è successo così. È stato un arrivo molto particolare, lo ricordo come fosse ieri. Arrivavo da un piccolo problema di salute legato al cuore e il Presidente e la società furono tra i pochi a darmi quella fiducia e a presentarmi un progetto che potesse stimolarmi in un anno in cui volevo davvero rimettermi in gioco e da lì è partita un’avventura che in cinque anni mi ha sempre convinto a rinnovare l’impegno preso. Ecco perché Taranto la considero un po’ una seconda casa”.

    Foto Walter Nobile

    Ho sempre pensato che lei fosse un erede naturale di Birarelli e Tencati.

    “Beh, ricevere questo complimento non può che farmi piacere. Sono stati compagni di squadra, e di Birarelli riconosco le sue doti morali e caratteriali e mi ci rivedo abbastanza. Di Tencati le posso parlare anche dell’aspetto mentale che era in grado di fare la differenza e aver appreso tanto da loro, anche a livello umano, già appena maggiorenne è stato importante. Ma non sono i soli”.

    Vada avanti lei.

    “Mi piace ricordare anche Finazzi, con cui ho avuto piacere di lavorare a Crema, così come ho avuto la fortuna di lavorare con Vujevic a Perugia nei suoi ultimi anni di carriera. Lui era capace di fare qualcosa come la finta rincorsa della pipe e il palleggio alla sua età, che all’epoca forse vedevi fare da due o tre persone e lo faceva con una naturalezza disarmante. Posso dirle anche Kazyiski, o Papi, che adesso è il mio secondo a Taranto e mi fa sempre specie pensare a quando giocavamo dalla stessa parte del campo. Poi non posso non avere un pensiero per Cazzaniga”.

    So che anche lei, come Elia, come Rosso, è stato molto toccato dalla vicenda umana che lo ha riguardato. Perché?

    “Perché l’ho vissuto in prima persona, perché con questa persona che per anni lo ha circuito con una storia completamente fasulla, io ci ho parlato varie volte. Quando però sei così accanto ad una persona e vedi la felicità nei suoi occhi, vai al di là di ogni sospetto e lasci correre per non rovinare tutto. Una volta che la situazione è però degenerata, abbiamo capito che l’unico modo per fargli aprire gli occhi era dargli uno scossone e andare pubblicamente in fondo alla cosa. Adesso lo vedo meglio, ci siamo rivisti per un caffè perché anche lui gioca in B qui in Puglia e la situazione è migliorata parecchio”.

    Foto di Lega

    Si capisce che per lei è un anno particolare.

    “Mia figlia ha cominciato le elementari a La Spezia e quindi non ho mia moglie e le mie figlie con me. Cominciano ad essere grandi, le distanze iniziano ad essere un tema e io non posso più pensare di non dare una stabilità alla famiglia, quindi è un anno in cui inevitabilmente le riflessioni le cominci a fare. Poi è la diciottesima stagione, quindi anno di bilanci, e anno in cui ti rendi conto che contro alcuni giovanissimi non puoi pensare di esprimerti al massimo la domenica in Superlega per tutta una gara. Dall’altro lato però, quando entro in campo e sul 2-0 riusciamo a recuperare il risultato e a portare a casa un punto come contro Grottazzolina, con me in campo, allora lì mi rendo conto che esserci e affrontare l’avversario è una grande emozione e mi inorgoglisco parecchio. Oltre a divertirmi”.

    Le partite uno come Alletti le può ancora cambiare, questo lo dico io. Cosa porta dentro il campo in quei frangenti?

    “L’esperienza, il carattere che formi quando sei diciottenne, nei luoghi in cui hai imparato a vivere tante situazioni nelle quali maturi una grande consapevolezza di te e dei tuoi mezzi. Magari ti rendi conto che negli anni della maturità non apporti grossi benefici tecnici perché i nuovi che volano in confronto a te, sono fisicamente superiori, ma alle volte non serve solo quello. Metto tranquillità, forse ci sono per qualche consiglio o per dare uno stimolo in più. Mi piace pensarla così”.

    foto Lega Volley

    Facciamo anche un bilancio di questi cinque anni. Di cosa si sente più orgoglioso?

    “Di essere sceso di categoria qualche anno fa e di averci messo il cuore per costruire questa storia. Sento molta riconoscenza da parte di tutte le persone che hanno vissuto con me questa parte della carriera e di chi ha fatto parte e fa parte della società. Essere ancora qui e cercare di difendere la categoria dopo tutto questo tempo per me è stato importantissimo”.

    Lei ci crede nella salvezza?

    “Assolutamente sì, penso che lo abbiamo dimostrato anche nell’ultima gara. Siamo un gruppo affiatato di persone perbene e credo che lo meritiamo”.

    Poi cosa c’è dopo quest’anno?

    “Non sono ancora in grado di rispondere. Sento il richiamo della mia vita da papà, questo si può dire”.

    Foto Instagram Aimone Alletti

    Non ci lasci senza l’Alletti leader in campo. Questa deve essere una promessa.

    “Ci penseremo più avanti!”.

    È felice della carriera fatta?

    “Molto”.

    Che cosa è stato importante? Lei ad esempio non ha mai vinto uno scudetto. Lo vive come un minus?

    “No, perché sono state importanti le emozioni provate in alcuni anni e in alcuni momenti della mia vita pallavolistica. Posso dirle di averle provate dentro il campo. Questo è più importante di riuscire a cucirsi uno scudetto senza lottare, ad esempio. È un mio parere, ma ho sempre preferito costruire io ciò che poi ho avuto modo di provare con la pallavolo e con il mio lavoro”.

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    Mattia Bottolo si racconta: “La scorsa stagione mi ha insegnato molto. Mi ha fortificato”

    Il periodo che ha intervallato un Natale in campo, come da tradizione, ad una celebrazione di capodanno in cui Mattia Bottolo chiude un anno sicuramente pieno di qualsiasi colore e di qualsiasi emozione, è stato il momento più propizio in cui cercare di aprire lo scrigno dei sogni, delle aspirazioni, dei traguardi e delle delusioni di uno dei giocatori più interessanti della nostra pallavolo. 

    Conobbi Bottolo nei suoi primi anni padovani, quando il suo talento esplodeva settimana dopo settimana e le sue quotazioni per il passaggio alle squadre di testa erano già molto alte. 

    Mattia mi colpì per la pacatezza con cui affrontava il momento, spinto più dall’impegno per la Padova di allora che dall’ambizione per vestire maglie che poi ha indossato comunque. Aveva le idee chiare, già appena compiuta la maggiore età, ma viveva tutto con la giusta misura e quella stessa misura lo ha portato alla Lube, nella quale dopo tre stagioni oltre ad essere un volto noto, è divenuto un punto fisso della squadra marchigiana. Questa stagione è una di quelle che definirei sperimentale, con delle bellissime novità (pensiamo solo a Boninfante), nella quale Mattia cerca di alzare l’asticella come fa ormai da anni:

    “La stagione scorsa mi ha insegnato molto. Sono anni in cui incominci a porre le fondamenta per la carriera, e proprio per questo risultano essere i momenti più complessi. In un certo senso mi ha fortificato, nell’altro ci sono i soliti alti e bassi con cui combatti ogni giorno in palestra.Io sono molto proiettivo e vedo di fronte ancora margini e per questo ho tanta voglia di migliorarmi”.

    L’evoluzione più concreta che ha compiuto in questi anni?

    “Ad esempio gestisco meglio le partite da subentrato. È capitato anche in azzurro e credo di riuscire a guidare me stesso meglio in certe fasi”.

    Si è posto dei limiti?

    “No, non sono ancora in grado di pormi dei limiti”.

    Con la Lube quest’anno dove vuole arrivare?

    “All’inizio c’erano molte incognite visti i cambiamenti attuati all’interno della squadra. Sulla carta sapevamo ci fosse la possibilità di incontrare delle difficoltà in avvio di campionato, ma credo siano state affrontate abbastanza bene. Abbiamo affrontato dei periodi altalenanti fuori casa, ma alla fine dell’andata siamo riusciti a chiudere al terzo posto. Non penso di esagerare se dico che per un risultato così all’inizio della stagione ci avremmo messo la firma”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Certamente ciò che è venuto fuori è un gruppo affiatato. Dopo tre stagioni con chi ha legato di più?

    “Trascorsi tre anni, posso dire che ad esempio con Chinenyeze e Balaso abbiamo passato il natale assieme, ma anche con lo stesso Nikolov. In generale è vero, non è scontato che si crei un gruppo affiatato e qui lo è. Siamo un insieme di caratteri che insieme sta bene e un gruppo nel quale la fiducia si è costruita e sedimentata col tempo”.

    Parliamo proprio di lei, Balaso e Bart. Quanto è stato difficile vivere il dopo Italia-Francia di Parigi?

    “Eh, lì per lì il dispiacere per la sconfitta contro la Francia è stato tanto. Hanno fatto una partita per cui hanno meritato di andare avanti, giocando una pallavolo incredibile. A fine gara io e Fabio siamo andati a salutarlo e gli abbiamo augurato di vincere l’oro. Bart ci ha detto a sua volta che avrebbe tifato per noi contro gli Stati Uniti. L’amicizia poi cancella il rammarico del momento, anche se lo sfottò in allenamento e negli spogliatoi lo metti in conto e ci sta, anche perché è una gara sentita sempre da entrambe le parti. Credo che l’atmosfera che si respira prima di ogni confronto tra noi e la Francia è sempre particolare. La vivi di più ed è inevitabile”.

    Lei poi ha sentito il bisogno di staccare, da quello che so.

    “Sì, io e Sanguinetti siamo partiti in Giappone e mi ha fatto molto piacere che lui abbia voluto partire e stare con me qualche giorno. Poi è dovuto tornare prima in Italia e io ho proseguito da solo, ma era un viaggio che ho sentito molto e di cui avevo un gran bisogno. È stato l’anno giusto per fare un’esperienza simile”.

    Foto Instagram @mattia_bottolo

    Sentirà come molti il richiamo del campionato straniero prima o poi?

    “Per ora sono sotto contratto con la Lube e qui sto molto bene. Detto questo, tra un bel po’ di anni, lo stimolo di vedere un campionato estero come alcuni compagni stranieri lo vivono da noi potrebbe essere un pensiero che farò. Leggo che il Giappone e l’America stanno potenziando i loro campionati e provare un’esperienza del genere perché no!”.

    Chiudiamo con un buon proposito per il 2025. La laurea.

    “Mi mancano due esami più il tirocinio per concludere Biologia. Spero di finire nell’anno, anzi, ci riuscirò certamente!”.

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    Felice Sette: “Ho puntato di più sul volley. Il beach resta un’immensa passione”

    La famigerata parola percorsi anche oggi è protagonista dei nostri corsi e ricorsi storici alla Giambattista Vico. Ma è inevitabile non creare l’abbinamento con la carriera di Felice Sette, che quest’anno dopo un biennio a Porto Viro si ritrova magicamente ad essere protagonista della MA Acqua S.Bernardo Cuneo, squadra che non si può non amare quando al suo interno trovi gente come Pinali, Cavaccini, Sottile o Volpato.

    In questi anni Sette ho assistito all’affermarsi di una dottrina Sette, per la quale Felice si è donato con passione ad uno sport come il volley che per lui era importante, ma non era il centro di tutto. Maturata questa consapevolezza è sbocciato come uno dei posti quattro più interessanti della serie A2 ed ora quasi al giro di boa del primo round della stagione, traccia un bilancio soddisfacente della sua seppur breve storia con il club piemontese:

    “Ammetto di essere stato lusingato dalle telefonate ricevute in estate. Avevo delle buone squadre alla finestra e la scelta di Cuneo è stata dettata da tanti fattori, in primis un tecnico come Battocchio che conoscevo e con cui ho lavorato molto bene. Cuneo è inoltre una piazza storica, che quest’anno vede la maschile alternarsi a un bel movimento di A1 femminile e questo porre la pallavolo al centro in una città così, inevitabilmente ti trasmette belle sensazioni. Sono passati pochi mesi dall’inizio di questa nuova storia per me, ma se devo tracciare un bilancio direi che è andata esattamente come pensavo”.

    Foto Lega Volley Maschile

    A Cuneo quest’anno non si parla di obiettivo Superlega. Non sentire questa pressione in un luogo così storico aiuta a vivere la pallavolo in maniera più serena?

    “Sicuramente la società all’inizio della stagione non ci ha caricato di pressioni, ma ci ha lasciato iniziare a lavorare con grande serenità. A noi forse questo ha dato maggiore tranquillità. Ciò detto, anche con chi si è espresso in maniera più netta, parlo delle favorite, siamo riusciti a dire la nostra e vincere”.

    Sette quindi lancia una volata classifica? 

    “(ride n.d.r.) Se noi ci crediamo e se capiamo come poter esprimere il nostro gioco migliore, riuscendo a mantenere sempre attiva l’attenzione e la concentrazione, oltre al livello di gioco, possiamo arrivare fino in fondo. Il carattere dico che Cuneo ce lo ha”.

    Arriva da due anni importanti a Porto Viro. Cosa si è portato dietro da un’esperienza così?

    “Bellissimi ricordi innanzitutto. È stata un’esperienza fatta in una città in cui si gioca e si vive benissimo la pallavolo. Porto Viro vive di quello ed è riuscita a creare un ambiente fantastico del quale mi restano anche tantissimi amici con cui mi sento quotidianamente”.

    Foto Delta Group Porto Viro

    Diciamo che è stata un’esperienza funzionale all’arrivo a Cuneo. Si riconosce sul fatto che la sua carriera sia un costante crescendo? Lei mi sembra l’uomo delle scelte giuste.

    “Sono andato in crescendo, è vero. Sono andato avanti cercando di migliorare anno dopo anno il mio rendimento e il mio approdo a Cuneo è stato fatto nel momento migliore. Mi rendo conto che quest’anno sarà un anno fondamentale per me, per tutta una serie di motivi”.

    Il suo rendimento in crescendo coincide con l’aver scelto di dare più centricità alla pallavolo rispetto al beach. È d’accordo con questa affermazione?

    “Ho puntato di più sul volley, è vero. Il beach resta un’immensa passione, ma la fiducia che mi è stata data dalle ultime società nelle quali ho militato e anche le telefonate ricevute in estate sono state un motivo in più per capire che centrarmi di più sulla pallavolo è stata un’ottima scelta”.

    Sette in Superlega. Sogno o obiettivo?

    “Penso sia il sogno di tutti i pallavolisti, e per me non è un’ossessione. Se arriverà bene, viceversa sono felice così”.

    Foto Instagram @felicesette7

    Nel mondo del beach quando tornerà la coppia Sette-Di Silvestre?

    “Il prossimo anno sicuramente. Ci piacerebbe metterci di nuovo in competizione e vorremo lavorare per fare qualcosina di più nel 2025”.

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