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    Stephen Maar tra passato, futuro, famiglia (si sposa) e Trento: “L’avversaria peggiore, ma…”

    Prendi un ragazzo di 22 anni che arriva in Italia, a Padova, direttamente dal Canada. Capisci subito che ha un’energia speciale, fatta più di quello che non è ancora, ma che saltuariamente ti mostra in campo, che di quello che poi sarà il suo vissuto negli anni successivi. Questo ragazzo fa un percorso, articolato tra alcune delle piazze più importanti della Superlega, parliamo di Verona, Milano, Cisterna. Arriva a Monza, gioca dei playoff meravigliosi e una finale Scudetto contro pronostico, tra esplosioni di gioia, rabbia agonistica, palloni che pensi possano saltare per aria e un tormento interiore, che è la sua cifra. 

    L’arrivo a Piacenza di Stephen Maar è forse l’ultima fase di questa evoluzione complessa, durata otto anni (per la parentesi russa alla Dinamo Mosca ci arriviamo) e nella quale lo schiacciatore oggi tira qualche somma, un po’ perché a trent’anni tutto appare più chiaro, tutto prende una forma diversa, e forse perché si è pronti per essere ciò che veramente si vuole essere da grandi, con o senza la pallavolo davanti:

    “Ho trovato la mia tranquillità, il mio mondo. Per tanti anni sono andato avanti, girando il mondo e vivendo anni molto intensamente. Per la prima volta quest’anno la mia famiglia avrà la priorità rispetto a tutto e in estate voglio spendere un po’ di tempo assieme a loro”.

    Ha annunciato il matrimonio con la sua compagna Molly Lohman, pallavolista, solo qualche settimana fa. Vi sposerete in Italia?

    “Le ho chiesto di sposarci in un pomeriggio sul Lago di Garda. Ma per ora non abbiamo i dettagli precisi anche perché dobbiamo incrociare le agende e i programmi. Adesso che mi fa pensare, sarebbe proprio bello se ci sposassimo in Italia (ride n.d.r.)”.

    Anche perché l’Italia è stata la sua fortuna Maar. Ma anche per noi averla nel campionato italiano.

    “Un bel viaggio, lungo otto stagioni, che comprende anche la mia parentesi russa. Ho giocato in tantissime città e ho considerato casa ogni luogo in cui sono stato. Ognuno di quei luoghi mi ha lasciato qualcosa, dalle persone, alle esperienze”.

    Quella che ricorda per un motivo particolare?

    “Credo Cisterna. È stato un anno molto particolare, dopo Milano e prima della proposta di Monza, dove poi ho trascorso tre anni della mia vita. Era un contesto molto piccolo, una città molto vivibile e una squadra capitanata da Fabio Soli e da uno staff, ricordo su tutti Gioele Rosellini, con cui ho lavorato molto bene. La pallavolo era seguitissima ed è stata la prima volta in Italia in cui le persone con cui avevo a che fare nella quotidianità, parlo magari del panettiere o dei ragazzi o ragazze che trovavo al supermercato, poi le ritrovavo sugli spalti a tifare la domenica”.

    Si ricorda il Maar di Padova invece? Arrivato con tante novità a Padova? 

    “Ricordo una squadra completamente nuova, che fece un inizio di campionato incredibile. Peccato perché poi ci siamo persi durante l’anno. Ma ripeto, la casa per me è ovunque in Italia”.

    Ora la casa è Piacenza. Un anno che è stato letteralmente una montagna russa.

    “Un anno in cui questo weekend cominceremo un importante semifinale contro Trento, e a cui teniamo davvero molto”.

    Dall’arrivo di Travica, Piacenza sembra avere una luce nuova.

    “Ogni cambio porta con sé uno scossone, o meglio, una reazione. Il periodo di difficoltà precedente ci ha fatto riflettere e c’è stata come pensavo e dicevo una reazione da parte di tutti. Ora tutti ci crediamo un po’ di più. Certo, Trento è l’avversaria che nessuno vorrebbe ritrovare in semifinale, anche perché è stata la migliore della regular season. Io ora non penso più a chi mi ritroverò di fronte, ma a come lo affronterò”.

    foto Gas Sales Bluenergy Piacenza

    La affronterà, mi permetto di dire in una condizione mentale diversa.

    “Cosa intende?”

    La rivedo in campo con una serenità che non conoscevo.

    “Sì, è un bel momento della mia vita”.

    Stephen Maar pensava di arrivare fino a qui quando studiava alla McMaster University?

    “Non pensavo di avere fino a qui. Ho tanta gratitudine per tutti coloro che mi hanno permesso di fare un percorso, la mia strada. Ho studiato, ho aperto la mente a tutto ciò che mi è stato insegnato e ritrovarmi oggi a questo punto mi rende davvero orgoglioso”.

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    Flavio Morazzini, libero… di sognare: “Sono un grande agonista in campo, ma anche fuori”

    La benedizione l’ha ricevuta direttamente da uno come Simone Di Tommaso, suo allenatore e scopritore di talenti di qualsiasi natura e di qualsiasi disciplina, che a Pineto ha lasciato che Flavio Morazzini sbocciasse in tutta la sua essenza di romanità e in tutto il suo essere romanocentrico. Come è ovvio che fosse, i numeri gli hanno dato ragione e Morazzini figura oggi come uno dei volti più interessanti e ambiziosi della serie A2, in un anno di grazia, nel quale non è tanto il risultato di squadra a contare, quanto ciò che i singoli sono stati in grado di dimostrare. E fra questi Flavio ha certamente la lente di ingrandimento puntata addosso:

    “Sono molto soddisfatto perché è il primo anno in cui mi ritrovo a giocare titolare in serie A. Grazie all’esperienza di Pineto sono riuscito a sciogliermi e ad acquisire quelle certezze con cui ho poi affrontato una stagione che nonostante la regular season terminata ad un passo dai playoff, ci vedrà ancora impegnati con la Coppa Italia in questo finale di stagione”.

    Il rammarico per i playoff c’è?

    “Beh, non è certo una grande delusione anche perché l’obiettivo di inizio anno era la conquista della salvezza, visto il nostro debutto nella serie. È una squadra molto giovane con un bravissimo allenatore al suo primo anno dopo quelli passati ad allenare il beach volley. Credo sia servita a tutti, anche in previsione della prossima stagione, soprattutto per come riuscire a far fruttare l’esperienza e come impostare la squadra in vista del futuro. Tuttavia arrivati ad un certo punto della stagione ci abbiamo creduto, e l’obiettivo è diventato proprio quello di strappare il settimo posto ad Aci Castello. Ma adesso, ripeto, vogliamo mettere la testa e il massimo impegno nella Coppa”.

    Ripartiamo per un attimo dai suoi esordi. Da Villa Gordiani a Roma, dove nasce, a Villa Reale a Monza, dove comincia la sua ascesa. Come ci arriva un pallavolista romano alla corte del Vero Volley?

    “Durante il periodo delle giovanili ho giocato contro Monza, e non ho paura di dirlo, ho fatto davvero una bella partita. Il contatto nacque da lì, e mi ritrovai al Vero Volley, squadra con cui ho trascorso due anni molto belli e nella quale sono stato il secondo libero assieme a Marco Gaggini”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Gli esordi sono targati?

    “Fenice Pallavolo Roma. Una bella realtà che mi ha accompagnato fino agli anni della Junior League. Quando ero piccolo, papà mi ha allenato da quando avevo sei anni, ma il primo allenatore che ricordo sempre è stato Giorgio Sardella alla Fenice”.

    L’esperienza di Monza come la cataloghiamo?

    “Al Vero Volley come dicevo eravamo un bellissimo gruppo. Con Gaggini ho lavorato molto bene, per me è sempre stato un punto di riferimento. Lo spogliatoio poi con Beretta ha saputo accogliermi dal primo giorno e il clima, soprattutto per i risultati che sono arrivati, era molto bello”.

    A Pineto si respira la stessa aria.

    “Sì, è un gruppo favoloso. L’aria di inclusione e l’alchimia che si è creata tra di noi sono state palesi sin da subito. Conta tanto forse la giovane età e il fatto che tutti siamo lì per dare il massimo e metterci a disposizione, ma siamo accomunati da tante cose e anche fuori dal campo è una squadra che si trova parecchio”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Dicono che lei sia molto competitivo. Un po’ molto romano in questo.

    “(ride n.d.r.) Sono un grande agonista in campo, ma anche fuori. Voglio sempre vincere, e perdere mi fa ancora uno strano effetto. Perciò in campo sono molto passionale, molto verace”.

    Il sogno?

    “Giocare in Superlega, arrivare tra qualche anno ad occupare il posto di titolare nella massima serie e diventare uno dei migliori liberi”.

    Il tecnico Di Tommaso dice che lei diventerà qualcuno.

    “Gli sono grato per l’opportunità che mi sta dando e spero di non deluderlo. Sono ancora all’ultimo anno del Liceo Scientifico Sportivo, ma ho le idee molto chiare sulle mie ambizioni pallavolistiche”.

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    Alex Erati sogna in grande con Brescia: “C’è voglia di far bene”

    C’è un pensiero, che solitamente nel mondo del giornalismo viene accostato al mondo della musica o della letteratura: non lo avevamo visto arrivare. È un modo come un altro per discolparsi o per ovviare al tema della molteplicità delle informazioni che potenzialmente abbiamo a disposizione. Sono onesto, faccio ammenda: io questo Alex Erati non lo avevo visto arrivare.

    Quello della Superlega, o della A2 è un mondo in cui ci si conosce un po’ tutti, le facce che girano da anni sono perlopiù sempre le stesse. Le opinioni, quelle positive o negative sugli atleti e sul loro rendimento, anche. Alex per me è stata la più piacevole delle sorprese di questo 2025. 

    C’era da aspettarselo, dato che, per volontà o per notiziabilità, Erati, dopo un percorso che lo ha portato su e giù per l’Italia, partendo da Segrate e Bergamo (dove incrociò, un nome su tutti, Yuri Romanò), per arrivare alla Puglia e risalire in Veneto, è approdato questa stagione nel gruppo squadra nel quale personalmente avrei voluto compiere almeno una stagione, ossia quello di Brescia. La commistione di genere, nel qual caso, va dal più vecchio e più saggio dei lupi di mare che mi piacciono, Simone Tiberti, passando per colui che a mio parere risulta il giocatore più degno di approdare in Superlega, Roberto Cominetti, per concludere (solo citando chi conosco bene davvero) con persone come Raffaelli e Cavuto, che la serie maggiore meritano di riconquistarla di nuovo.

    Erati è la perla che si stabilisce in tutto questo mare di vecchi lupi e vecchie volpi, e sul quale è corretto subito ammettere che quest’anno è riuscito a ricavarsi lo spazio giusto come monster block d’esperienza, occupando stabilmente le prime posizioni. A ciò si aggiunge la considerazione della Gruppo Consoli Sferc Brescia come assoluta protagonista delle grandi della serie A2, con un gioco espresso in alcune partite di livello non inferiore ad alcune compagini che stanno più in alto, ma a livello di serie e non di classifica, dove i tucani hanno concluso al secondo posto della regular season ed ora stanno affrontando Aci Castello nei quarti di finale dei playoff. Serie iniziata subito con una vittoria per 3-0.

    “Un anno in cui il seguito non ci manca, i tifosi arrivano copiosi anche a seguirci in trasferta. L’atmosfera è molto bella e facciamo di tutto per poter ripagare l’affetto che riceviamo in questa piazza. Qualche défaillance è capitata e fa parte di una stagione all’interno di un campionato molto duro, molto più degli ultimi anni e nel quale domina l’incertezza. Le previsioni che avevamo letto all’inizio della stagione non sono state certamente rispettate appieno”.

    Non avevamo previsto nemmeno che lei terminasse la regular season come uno dei due migliori muratori della serie A2.

    “A muro è andata davvero bene e sono soddisfatto dei numeri, anche se spero che con i playoff io possa portarne a casa di migliori. In attacco vorrei migliorarmi. Non sono pienamente soddisfatto dei numeri della stagione in corso. Spero di avere la possibilità di alzare l’asticella da qui alla fine”.

    Mi dica la verità: lei pensa che sia l’anno giusto, vero?

    “(ride n.d.r.) Per la Superlega? Beh, sarebbe un sogno. Arrivare al primo posto in regular season potrebbe darti un vantaggio con il fattore campo a tuo favore, anche se contribuirai a scrivere un pezzo di stagione completamente nuovo. Dalla nostra parte abbiamo che le condizioni fisiche di tutti stanno ritornando a garantirci una continuità più assidua in tutti i reparti e affrontare i playoff con una Brescia completa in tutti i reparti è un bel vantaggio. Su questo devo spendere una parola su Alessandro Tondo che in queste settimane si è riadattato ad un ruolo nell’attesa che recuperasse il nostro opposto e ha fatto sì che la squadra portasse comunque a casa i risultati”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Si capisce che la forza di questa squadra è proprio il gruppo. Non era facile, pensando a tutti i protagonisti che da questa stagione pretendevano qualcosa.

    “Probabilmente è la squadra più forte con la quale abbia mai giocato. È un ambiente nel quale c’è una bella energia, una voglia di far bene e di ottenere il massimo da tutti quanti non facile da ottenere. Per il livello delle prestazioni è certamente una delle migliori, in grado di tirar fuori da ognuno un livello altissimo, sia nelle prestazioni in gara, sia durante tutta la settimana in allenamento”.

    Cinque anni fa, in questi giorni, entravamo in lockdown. Lei passò un momento molto particolare.

    “Un momento forzato, se vogliamo anche più facile da gestire rispetto agli altri, perché già prima del lockdown mi era stato detto che avrei dovuto stare a casa. Subii un’operazione al crociato che doveva tenermi fuori per alcuni mesi. Ero a Bergamo, che fu teatro di un contagio non semplice da gestire. Ricordo che ero uno dei pochi ad uscire in quei giorni per potermi recare a fare le terapie. Sì, ricordo la spettralità della città e il momento”.

    Foto Instagram @natashaspinello

    In quelle condizioni solo le persone giuste che ci aiutano a superare determinati momenti. Non posso non chiederle che ruolo ha la sua compagna Natasha Spinello (atleta della Volskbank Vicenza Volley n.d.r.).

    “Lei è ciò che di meglio la vita sia riuscita a donarmi. Siamo tenaci, resistiamo al lavoro che ci porta entrambi in città diverse e lo facciamo cercando di vederci in ogni occasione utile. Lei quest’anno gioca a Vicenza, quindi in due ore e mezza riusciamo ad essere l’uno a casa dell’altro. Ma ci sono stati anni in cui avevamo sei ore di viaggio da fare e ci vedevamo a metà strada. Il punto di ritrovo era Civitanova, se ci penso mi fa sorridere, perché era esattamente a tre ore da Porto Viro e da Latina, dove giocavamo entrambi. È dura, e sarebbe bellissimo se la carriera ci portasse a stare nella stessa città. Chissà”.

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    Dalla C alla Coppa Italia di A3, la rivincita di Davide Russo a Sorrento

    Non pensavo che un colloquio che inizia dalla vincita di una Coppa Italia, potesse essere un viaggio così complesso, potesse essere costituito da squarci di vita che non possono essere dati in pasto a un pubblico con semplicità e da una voce che come quella di Davide Russo, si è levata così in alto da avermi lasciato più volte lungo il corso della chiacchierata senza le parole giuste. O addirittura senza parole. C’è una dimensione umana profonda nella storia di Davide, per la quale la vittoria di un titolo rappresenta un nuovo inizio, ma anche una scure, una bacchetta che mostra il presente bellissimo e il passato con il quale ti sei riappacificato, ma è sempre lì a ricordarti chi eri e come hai dovuto risalire la china.

    Partiamo da lei.

    “Partiamo da Davide, che lo scorso anno ha giocato a Tricase in serie C da schiacciatore, ed oggi è campione d’Italia”.

    Come ci si sente?

    “Inizierei col dire che ancora non ci credo. Non è la Final Four il momento più complesso, ma la mattina dopo, quando ti svegli e sei campione d’Italia. È lì che la mente viaggia e mi riporta a cosa sono stato, a dove sono arrivato e da dove sono ripartito. Sono stato sveglio per tre notti, perché sabato dopo la vittoria della semifinale è stata durissima prendere sonno. Domenica abbiamo festeggiato con i compagni, con i nostri meravigliosi tifosi. Lunedì notte ho pensato a tutto e ho fatto una sorta di recap, pensando alla Coppa e a quanto sono riuscito a tenerla stretta”.

    Proviamo a spiegare cosa rappresenta.

    “Io non ho mai vinto nulla nella mia carriera, se non alcuni premi del mini volley e un torneo provinciale. Ho militato parecchie stagioni in A3 e ho cominciato due avventure diverse con Vibo Valentia e Padova. Ma ho anche giocato in serie C come ho detto, quando ho avuto bisogno di fare un passo indietro rispetto alla mia carriera e alla pallavolo”.

    Ha avuto bisogno di tornare a casa. Le stagioni con Padova e Vibo si interrompono per motivi diversi.

    “Ho avuto necessità di tornare in Puglia, sono uscito dal giro della nazionale. Non imputo alcuna colpa alle società o ai compagni di squadra che nel caso di Padova ho conosciuto giusto per un mese, ma sono arrivato ad un punto in cui da quei luoghi, da quelle città, sono stato costretto ad allontanarmi per motivi personali. Mi sono rimboccato le maniche e sono ripartito. Mi creda, domenica non mi è sembrato vero di poter guardare i compagni e realizzare di aver vinto. Ho i brividi mentre siamo al telefono, perché nella mia vita pallavolistica sono arrivato a sentirmi inutile. E c’è stato un momento in cui mi sono sentito incompreso dalla maggior parte delle persone che avevo intorno”.

    C’è stata Piera. Altra persona a cui lei ha dedicato la Coppa.

    “Piera è la mia prima allenatrice, ed è stata per me come una seconda madre, oltre ad essere stata la mia madrina di cresima. Domenica sugli spalti non è potuta esserci, perché sta lottando con alcuni problemi di salute, ma non ha esitato a seguirmi e mi è stata molto vicino. Era come se fosse lì”.

    Le chiedo un’ultima informazione. Ha sentito Agata e Camilla?

    “Se parlo di loro mi commuovo. Sono le figlie di Marcella, mia sorella, e nella nostra vita hanno portato tantissima gioia e mi creda, ne avevamo tutti bisogno. Ho dedicato la vittoria anche a mio fratello Giacomo, che non è potuto essere con noi a festeggiare. In compenso c’erano mamma e papà, presentissimi come sempre”.

    Perché Sorrento ha vinto la Coppa?

    “Perché non c’è giorno in cui qualcuno di noi non entra in palestra e si diverte. Personalmente ho ritrovato il piacere di allenarmi ogni giorno. Stiamo vivendo un anno che io definisco magico, proprio perché in palestra si respira un’aria diversa, appunto piena di magia. Siamo riusciti a battere San Donà in finale con un seguito di persone incredibile che ha viaggiato con noi, festeggiato e sofferto assieme alla squadra. Sabato in semifinale, ci siamo tutti guardati negli occhi al quinto set, e abbiamo capito che dovevamo portare la partita a casa anche per tutte le persone che ci seguono con così tanta passione”.

    Battere Bellucci in finale cosa ha significato?

    “Significa ritrovare un grande amico con cui mi sento nella quotidianità e che sta facendo un percorso bellissimo in un’altra squadra. Gli auguro il meglio dal giorno in cui ci siamo conosciuti. Alla fine della gara gli ho detto che noi ci ritroveremo quest’anno, ne sono certo”.

    Come la mettiamo con le prossime finali?

    “Noi dobbiamo fare il triplete, lo ripeto sempre negli spogliatoi. L’entusiasmo c’è tutto!”

    La pallavolo le ha un po’ rovinato e un po’ salvato la vita?

    “Quando l’ho lasciata, mi sono sentito inutile. Ma certamente mi ha salvato la vita. Lo penso davvero”.

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    Dal calcio alla pallavolo, ora Filippo Pochini sogna un grand finale con San Giustino

    Chiamalo Pokigno, chiamalo uno dei liberi più conosciuti della serie A3, chiamalo semplicemente Filippo, quello della squadra dei miracoli, ovvero ErmGroup Altotevere San Giustino, ma chiedigli di far parte di questo mondo ancora per un po’. Mi sono avventato su Pochini con l’energia e l’entusiasmo che si addice a uno che piace a tutta la serie e che è riconosciuto per il suo valore e la sua empatia, e mi sono trovato di fronte una persona pacata, timida, ma generosissima nel commentare con me la sua vita e la sua carriera, divisa tra un amore che si chiama beach volley e un lavoro che si chiama pallavolo e che Filippo fa con dovizia di sacrificio da circa vent’anni.

    “Le stagioni giocate sono diciannove. Non avrei mai pensato, quando ho smesso di giocare a calcio di fare il percorso che poi sono riuscito a fare con la pallavolo. È stata un’esperienza intensa e bellissima sia a livello professionale, perché sono riuscito a vincere dei campionati importanti, sia da un punto di vista umano. Alla pallavolo devo dire grazie soprattutto per le persone che ho conosciuto, i viaggi che ho fatto, i luoghi che ho visitato”.

    È riuscito a giocare in Superlega. Il giorno più bello?

    “Il sogno era arrivare a giocarci. Se mi chiede un giorno le dico di un Perugia-Taranto nel quale la mia famiglia e i miei amici sono venuti ad assistere alla mia partita in quel palazzetto. Per me, che sono umbro di origini, inutile dire che è stato un momento molto emozionante”.

     Ha parlato di persone che ha conosciuto. Scelga e mi dica i nomi di quelle della pallavolo a cui è più legato.

    “Ho davvero tanti amici e ho conosciuto tante persone, è vero. Se mi chiede così a bruciapelo le dico Omar Biglino, compagno a Siena che adesso si trova a giocare a Cannes nel campionato francese, Filippo Ciulli, Lorenzo Sperotto e Alessandro Graziani”.

    Diciannove stagioni. L’ultima delle quali con San Giustino ha del miracoloso. Se il campionato fosse iniziato al girone di ritorno, sareste i primi della classe.

    “Quest’anno non siamo partiti benissimo, poi con qualche cambio e devo dire con l’arrivo di Maiocchi siamo diventati una squadra davvero tignosa. Mi piace dire che non siamo un gruppo di fenomeni, ma siamo gente che vende molto cara la pelle. E ne sono felice, perché San Giustino è una società molto molto seria che merita un bel piazzamento quest’anno. La volontà per arrivare in fondo c’è, e lo vogliamo tutti”.

    Non si nasconde Pochini. San Giustino da playoff.

    “Credo che già il traguardo è matematico. Noi vogliamo andare avanti e giocarcela. La squadra è molto migliorata e siamo determinati a finire bene. Diciamo che la stagione regolare vorremmo finirla al quarto posto”.

    Pensare che quest’anno si parlava di una sua dipartita per dedicarsi al beach volley.

    “Ho aperto una scuola di beach con altri soci a Mantignana, vicino a Perugia, che si chiama Obeya Beach. Se non avessi trovato nulla di compatibile con questa attività che mi tiene parecchio impegnato, forse non avrei rinunciato completamente alla pallavolo, ma certamente avrei dovuto abbandonare l’idea di continuare a fare la serie A”.

    Non ha mai avuto problemi a scalare in una serie minore. Perché così tante stagioni in serie B quando poteva ambire a qualcosa di più?

    “Sono onesto, perché penso che lo si debba essere: ho preferito giocare, vincere dei campionati, penso all’anno più bello a Gioia del Colle, dove in B vincemmo tutte le partite a disposizione, e guadagnare qualcosina in più per potermi realizzare oltre la pallavolo. Le proposte, è vero, non sono mancate anche dalle serie maggiori, ma ho fatto una scelta di campo che rivendico”.

    Il più forte con cui ha giocato?

    “Senza dubbio Goran Vujevic”.

    Nei prossimi anni potrebbe scegliere solo la carriera del beach come alcuni suoi colleghi?

    “No, a livello di beach mi piace allenare e giochicchiare da noi. Per cui farò magari qualche B1 estivo. Preferisco giocare finché ci sarà la possibilità. Alla pallavolo rimango molto legato”.

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    Simone Scopelliti: le ambizioni di Prata, la sua voglia di tornare in Superlega

    Leggendo il suo curriculum, laddove un datore di lavoro del volley volesse valutarne ambizioni e progressi, alla voce esperienza di Simone Scopelliti vengono delineate in primis una stagione stellare a Reggio Emilia, che tutta la A2 ricorda, culminata con una promozione in Superlega, e le successive tre stagioni alla Tinet Prata di Pordenone, nelle quali ha contribuito a creare un clima, uno spogliatoio, un affiatamento che oggi proiettano Prata ai vertici del campionato dopo oltre venti giornate. 

    Qualora venisse l’idea di chiedere a Scopelliti la ricetta di un percorso similare, basterebbe mostrare come sia Simone e cosa rappresenti oggi per la serie A2, ovvero un giocatore lineare, maturo, in grado di accettare responsabilità e soprattutto in grado di mettere sempre il proprio io dinanzi alle stesse.

    “Questa stagione è partita senza alcuna ambizione forzata. Le aspettative, inizialmente, erano quelle di affrontare un campionato tranquillo, poiché la società ha investito nei lavori di riadeguamento del palazzetto per poter tornare a giocare a Prata e di conseguenza le risorse sono state allocate sulla struttura. Ciò che è arrivato dopo è la conseguenza di un bel lavoro che abbiamo cominciato nelle scorse stagioni e che ha portato la squadra ad esprimersi come avete visto durante il campionato, tenendo testa alle squadre di vertice e riuscendo a raggiungere il primo posto in classifica dopo la ventiduesima giornata”.

    Playoff ormai matematici. Continui lei Scopelliti.

    “Sì, la matematica ci dice che siamo già qualificati alla seconda fase e se ragionassimo come all’inizio della stagione, entrare nei playoff dovrebbe essere già un risultato. Invece guardiamo avanti, settimana dopo settimana siamo riusciti a crescere e ad arrivare sempre più in alto e adesso dobbiamo continuare con questa costanza. So certamente per esperienza che i playoff sono un altro campionato, che alcune squadre potrebbero rinforzarsi e che i risultati al di là del piazzamento e della possibilità di giocare in casa alcune partite, si riazzerano. Quindi si può ancora scrivere la stagione per tutte le compagini che resteranno in gara. Siamo ad un punto in cui la strada fatta è tanta, ma c’è ancora tanta strada da fare”.

    Un pensiero ad una finalissima si fa?

    “Il pensiero lo faccio perché è naturale, ma nulla di più”.

    Si ricorda quella sera della finalissima a Reggio Emilia?

    “Credo sia stato l’anno più bello della mia carriera, nonostante poi la società non riuscì ad iscriversi al campionato di Superlega. Ricordo la finale di Coppa, la finalissima per l’accesso in A1. Dico anche che, dopo tre stagioni, sarebbe bello poter vedere Prata centrare un risultato simile”.

    Posso dire che sarebbe bello e giusto rivedere Scopelliti in Superlega? Me lo concede?

    “(ride n.d.r.) Mi piacerebbe molto. Sarebbe un riconoscimento per gli sforzi fatti in questi anni, oltre al desiderio di scontrarmi con una realtà che rimane impressa, perché anche gli anni di Sora o i miei inizi a Modena restano ricordi indelebili. È passato del tempo, ho completato gli studi in Ingegneria, ho un’età e un vissuto diverso. Misurarmi con il presente della Superlega è quantomeno una cosa curiosa”.

    Del Simone Scopelliti giocatore di Cinquefrondi cosa è rimasto?

    “Rimane il ricordo di casa, della mia famiglia che viene a vedermi alle partite. Impossibile non dire che non mi manchi o che non abbia pensato di riavvicinarmi un giorno a casa. Sarebbe bello riportare la pallavolo di alto livello nel territorio in cui sono nato e cresciuto. In fondo la pallavolo è una strada da percorrere e un percorso che ho fatto col massimo impegno possibile”.

    In questo percorso Prata rappresenta la strada più lunga. Perché?

    “Solitamente io sono sempre stato un giocatore da biennio, ossia dopo due stagioni al massimo ho sempre deciso di cambiare aria. Il fatto di crescere e maturare in questo progetto che eccelle sotto moltissimi punti di vista, sia dal punto di vista della società che dell’organizzazione, mi ha spinto a continuare. Se devo essere onesto, Prata è la società migliore in cui io abbia mai giocato”.

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    Giannotti esclusivo: la nazionale rifiutata, San Donà, Ngapeth e “quelle regole che rivendico”

    La prima e unica volta in cui lo intervistai fu in occasione di una Coppa Italia vinta con la maglia della Padova con cui Stefano Giannotti ha trascorso ben sette stagioni della sua carriera, in un anno che rappresentò il primo di tanti in cui il nome del forte opposto veneto è stato sinonimo di bel gioco e di qualità espressa. Un po’ la vita sceneggiatrice spericolata e un po’ le mancate occasioni del lavoro di entrambi hanno creato tra me e Giannotti un muro divisore, non voluto da nessuno, ma popolato da alcune leggende che oggi, dopo tanti anni, decido di sfatare o di confermare. 

    Giannotti dal troppo carattere, Giannotti l’ingombrante, Giannotti che fa sempre di testa sua. Ne ho sentite e ne ho schivate parecchie in questi anni, sempre pensando dall’alto del potermi specchiare nella vita di coloro che ci troviamo a raccontare, come molti di noi mestieranti fanno, che molto di ciò che ho sentito mi appartenesse. C’è un fattore che mi accomuna con orgoglio a Stefano, ed è il fatto di aver vissuto la carriera come volevamo noi, senza dover essere ciò che gli altri volevano per lui e senza dover sempre scendere a patti con la pallavolo. Il prezzo si paga, è doveroso ammetterlo, ma non se vivi tutto questo con la lucidità e la consapevolezza di Stefano, che oggi è ancora il punto di riferimento della serie A3, nonché, numeri alla mano, il miglior realizzatore del suo girone, oltre a detenere un primo posto in classifica con la Personal Time San Donà di Piave, che dice molto del suo presente.

    “C’è soddisfazione per il lavoro fatto dai miei ragazzi e la convinzione che arrivare fino in fondo sarebbe un bellissimo obiettivo da realizzare tutti assieme. Questo è un bel gruppo, nel quale, guardando bene, si trovano dei giovani che stanno disegnano una bella strada davanti a sé. Io sono uno di loro e i risultati individuali non arrivano solo per me perché tutti stiamo dando il nostro contributo”.

    Quando si parla di San Donà Giannotti dipendente, è un qualcosa per cui storce il naso o le fa piacere?

    “No, non mi fa piacere, anche perché non penso sia vero. Quando accetto un progetto ed entro in un gruppo non lo faccio con l’intenzione di diventare l’ago della bilancio, ma di fare la mia parte, che è la stessa di tutti gli altri, in egual misura. A me piace dare il mio contributo ed essere una garanzia. Cerco sempre di dare il mio meglio e voglio che anche gli altri facciano lo stesso, perciò gli sprono a fare altrettanto”.

    Il gioco espresso è di altissimo livello. Posso dire che lei e Bellucci siete una delle diagonali migliori della A3?

    “Io credo che una squadra sia forte quando ha un’identità. E San Donà ha una forte identità. Con Alessandro abbiamo costruito un rapporto in divenire dai tempi di Garlasco. All’inizio non ci siamo trovati, poi abbiamo trovato un punto di incontro e abbiamo fatto assieme un bel lavoro. Teniamo molto ad avere una buona intesa ed è merito del lavoro che si costruisce col tempo. I ragazzi si allenano molto e i risultati si vedono giorno dopo giorno”.

    foto Volley Savigliano

    Ci pensa alla promozione? So che per molti è un sogno, per lei si tratterebbe di un ritorno. 

    “Sarebbe bellissimo tornare in A2 e sarebbe importante farlo con questa squadra. Ma dove vuole che vada io, sono troppo vecchio! (ride n.d.r.)”.

    Trentacinque anni, diciassette stagioni in serie A. Guardandosi indietro, è felice del Giannotti pallavolista?

    “Me lo sono chiesto tante volte. Ripenso al passato con un grande sorriso, perché ho giocato delle stagioni ottime in campionati che alcuni hanno solo sognato. Rimprovero a quel Giannotti del passato solo alcune scelte che non ho fatto forse per paura. Rimprovero anche il fatto che non mi sono sempre sentito libero di fare delle scelte, perché la situazione del cartellino non è la stessa di oggi. Ma non entro nei dettagli. Detto questo, posso dire di aver giocato una gran bella pallavolo”.

    Mi dica i più forti con cui si è ritrovato a giocarsela.

    “I primi nomi che mi vengono sono Atanasijevic, Omrcen, Juantorena, Ngapeth. Ma l’elenco è lungo”

    Pistola alla tempia. Ne scelga solo uno.

    “Earvin. L’ho visto giocare all’apice della carriera con una Modena assoluta regina della Superlega. Non era tanto la forza dell’atleta, ma cosa era in grado di fare. Se decideva di vincere, non ce n’era per nessuno. Con Bruno erano in grado di fare delle magie incredibili in campo. Avevano una classe immensa”.

    Il compagno più forte?

    “A Monza ho giocato con i primi Dzavoronok e Plotnytskyi, giocatori che già dagli esordi risultavano determinanti. Posso anche dirle con chi mi è piaciuto molto giocare e ricordo un grande Mattia Rosso negli anni di Padova, che è stato un ottimo compagno di squadra”.

    In quegli anni si diffuse una leggenda, ossia che lei avesse rifiutato la nazionale. Sfatiamo o confermiamo?

    “(ride n.d.r) Me la faccia spiegare perché detta così resterebbe una leggenda. Sono stato chiamato per fare un mese e mezzo di nazionale e poi per andare ai Giochi del Mediterraneo. Quando mi sono reso conto che nemmeno ai Giochi avrei giocato, perché ero stato chiamato semplicemente per allenare gli altri, ho detto che preferivo declinare. Poi in realtà quell’anno mi venne una brutta tendinite, quindi alla fine tutto sommato è andata bene così”.

    Altra leggenda: dicono che lei sia un decisionista. O è semplicemente un leader?

    “Io dipendo dall’allenatore. Nel caso di San Donà ho una grande stima per il lavoro di Moretti. In partita mi arrabbio, mi capita di dare delle indicazioni, dei suggerimenti, sono uno che non fa passare certe cose. Però sono anche decisioni che vengono condivise col tecnico. L’unica cosa su cui ho avuto un pochino di libertà come capitano è che mi hanno lasciato fare il regolamento dello spogliatoio e lo rivendico da capitano con orgoglio (ride n.d.r.)”.

    foto Nicolo’ Scottà

    Giannotti, mi cade un mito.

    “Si ricordi che carota e bastone sono sempre essenziali”.

    Quando finirà di essere il giocatore forte che ho conosciuto, cosa vorrebbe fare?

    “Non le so rispondere. Ho studiato per fare l’elettricista. Può bastare?”

    Nell’ambiente della pallavolo come si vedrebbe?

    “Conoscendomi, quando finirò di giocare, vorrò provare a fare altre scelte. Anche se adesso è troppo presto per parlarne. Risentiamoci tra qualche anno”.

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    Marco Novello, Cantù ha pescato un altro bomber: “Sono felice, qui si lavora bene”

    Kristian Gamba. Matheus Motzo. Marco Novello. La classifica dei tre migliori realizzatori della Serie A2 ha una caratteristica in comune: tutti e tre giocatori hanno gravitato negli ultimi anni nell’orbita della Campi Reali Cantù. Non è un caso, laddove nelle società che come Cantù non scelgono di fare squadra con gli album di figurine e i budget da capogiro, bensì con le idee si crea il cosiddetto laboratorio di volley. Società che investono più nell’ambiente, nello spogliatoio, nella serenità e nelle squadre che si ritrovano ogni anno non tanto a lottare, verbo che a casa Campi Reali non piace, ma a giocarsi senza pressioni la serie. 

    Anche Marco Novello archivia il girone di andata con pacatezza ed apre a un girone di ritorno dove Cantù cercherà di non lasciarsi sfuggire nemmeno una sfida:

    “A Cantù sono arrivato innanzitutto per compiere la mia prima esperienza in A2. L’obiettivo era fare il salto di categoria dalla A3, traguardo a cui avevo puntato anche lo scorso anno con la Gabbiano Mantova, ma che purtroppo non ci ha visto ottenere un successo storico. Il Presidente Molteni ci ha parlato da subito della durezza del campionato di quest’anno, fatto da tante squadre ambiziose e da parecchi atleti scesi anche dalla Superlega per risalire subito nella massima serie. Vogliamo salvarci e cercheremo di arrivarci disputando un buon girone di ritorno”.

    Novello dalla A3 all’affermazione in A2. Terzo realizzatore dopo il girone di andata. Una bella soddisfazione.

    “Non posso non essere soddisfatto. Essere tra i primi tre e condividere questo risultato con giocatori come Motzo e Gamba non può che farmi piacere. Ad agosto non mi sarei mai aspettato di arrivare fino a qui. Avevo parlato col mio procuratore della possibilità di salire di categoria per iniziare a capire dove avrei potuto spingermi. La trattativa con Cantù si è conclusa subito perché tutti mi avevano parlato molto bene di questa società e di quanto si stia bene qui. Lo confermo. Ho poi cominciato a lavorare con Mattiroli e la squadra e i risultati a livello individuale, passo dopo passo, sono cominciati ad arrivare”.

    Foto Lega Volley Maschile

    Dicevamo, primi tre giocatori tutti gravitati da Cantù. Non è un caso.

    “No, intanto perché è una società che sceglie i giocatori in maniera oculata, puntando su ragazzi, parlo di Gamba o Motzo che hanno un bel potenziale e poi vengono messi nella condizione di dare il massimo. Hanno trasformato delle scommesse in scommesse vinte. Penso al percorso di Motzo che poi è andato a Civitanova ad esempio e ha fatto un bell’anno anche lì”.

    Parlando di lei, che cosa considera un supporto per esprimersi come sta facendo quest’anno? 

    “Sicuramente il clima di serenità, giocare senza pressioni eccessive e preoccupazioni aiuta molto. Era così anche a Mantova, io credo che cominciare le stagioni senza caricarsi eccessivamente di aspettative sia da considerarsi un plus. Non puoi pensare che già ad agosto si possa delineare quello che sarà un campionato lunghissimo e pieno di insidie. Devi avere anche il tempo di trovare il clima giusto, di creare le giuste alchimie, di progredire con la squadra e lo staff”.

    Lei e la Superlega. Sogno, pensiero, ambizione. Metta lei la parola corretta.

    “Un pensiero nel quale ogni tanto ci metto la testa. Da quando gioco in B mi piacerebbe anche solo per una stagione poter giocare un campionato così. Chissà se ci arriverò, il livello tecnico con gli anni si alza sempre di più. Sarebbe bello!”.

    Studia sempre Scienze Ambientali?

    “Ingegneria Gestionale. Ho cambiato per riuscire ad adattarmi agli spostamenti perché non riuscivo più a frequentare in presenza o spostarmi troppo per gli esami. Però il progetto di laurearsi resta sempre concreto”.

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