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    Emma Raducanu nuova ambasciatrice di Dior

    Emma sul red carpet con uno splendido abito della casa francese

    In attesa di rivederla vincente in campo, Emma Raducanu continua a spopolare in patria e stringe nuovi importanti accordi di sponsorizzazione. Ultimo quello con la nota casa di moda Dior, che l’ha scelta come nuova ambasciatrice per alcune linee dei suoi prodotti. L’ha annunciato la stessa Emma, nel corso di una breve intervista rilasciata al magazine Vogue edizione UK.
    Si era già intuito qualcosa quando in occasione della Premiere dell’ultimo film di James Bond a Londra, Emma aveva sfilato sul red carpet indossando un meraviglioso abito della casa Dior, scatti che hanno fatto rapidamente il giro del mondo.
    “Mi sembrava di essere in paradiso” racconta a Vogue dopo aver provato quell’abito, “poter indossare un abito come quello realizzato con tutta la magia degli atelier Dior è stata un’esperienza assolutamente unica. Il dettaglio del ricamo era eccezionale e sono stata così onorata di partecipare alla prima del film insieme a tutte quelle celebrità”.
    Raducanu sarà il volto di Dior sia per le collezioni donna di Maria Grazia Chiuri che per l’offerta di prodotti per la cura della pelle e il trucco del marchio, supervisionato da Peter Philips.
    “Il lavoro di Maria Grazia consente alle donne di sentirsi sicure con l’iconico taglio Dior, che ritengo davvero unico”, continua Emma. “La sincerità del suo approccio e il modo in cui trasforma gli spettacoli in eventi collettivi e significativi hanno senza dubbio influenzato nella mia scelta di accettare la proposta”.
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    Murray: “Norrie è un esempio per tutti”

    Cameron Norrie, campione a Indian Wells

    L’ascesa di Cameron Norrie rende il 2021 “Brit” davvero speciale. Dopo la clamorosa esplosione di Emma Raducanu, vincitrice a US Open a soli 18 anni, il successo di Norrie ad Indian Wells riporta in auge anche il settore maschile. Una crescita impetuosa, che ha sorpreso anche Andy Murray. Lo scozzese ne ha parlato nella press conference pre torneo ad Anversa, elogiando il connazionale per il grande sforzo profuso per arrivare tra i migliori tennisti al mondo.
    “Mentirei se dicessi che l’avevo previsto, per essere onesti”, ha dichiarato Murray in merito alla vittoria di Cameron in California, “tuttavia ho trascorso una discreta quantità di tempo con lui e mi sono allenato molte volte insieme. È un ragazzo che lavora molto duramente. Penso che sia un ottimo esempio non solo per i giocatori britannici ma per tutti i giocatori di tennis. Se ti impegni giorno dopo giorno, ti dedichi adeguatamente allo sport e hai un atteggiamento come il suo, puoi ambire a percorrere una lunga, lunga strada”.
    “Il suo risultato è stato fenomenale. Ma ritengo che forse l’intera stagione che sta vivendo sia ancor più impressionante della settimana a Indian. Ogni settimana vince partite. Ha giocato sei finali in questa stagione, e quest’anno finirà per vincere più partite del tour di quante ne abbia mai vinte sommando tutta la sua carriera in precedenza. È notevole” conclude Andy.
    Norrie ha vinto il suo primo titolo ATP a Los Cabos lo scorso luglio prima di Indian Wells. Il 26enne vanta attualmente un record di 47 vittorie e 20 sconfitte nel 2021. Solo tre colleghi hanno ottenuto più successi in stagione. Il numero 16 del mondo ha iniziato il 2021 con un record di 51 vittorie e 60 sconfitte in tutta la sua carriera Pro, debuttando nel 2017.
    “I numeri parlano chiaro” chiosa Murray sul connazionale, “mostrano quanto sia importante il suo miglioramento. Sapevo che fosse un bravo tennista, ma ritrovarlo tra i primi 20 al mondo e in corsa per conquistare un posto alle Finals di Torino è uno sforzo incredibile”.
    Norrie in grande crescita, continuo come risultati stagionali e assai versatile. Nel 2021 ha raggiunto due finali su terra battuta (Estoril e Lione, entrambe perse), una su erba (Queen’s, sconfitto da Berrettini) e a San Diego, poco prima della grande vittoria ad Indian Wells.
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    Prime parole di Djokovic dopo US Open: “Giocherò nel 2021, non so in Australia. Non voglio partecipare alla guerra sui vaccini”

    Novak Djokovic

    Novak Djokovic torna a parlare dopo la dolorosissima sconfitta patita a US Open. Dopo un allenamento in patria, è stato intervistato dal media Blic, informando sulle proprie condizioni e sul suo prossimo programma. Si è detto sicuro di rientrare per il 1000 di Bercy, ATP Finals di Torino e Coppa Davis, mentre non ha ancora certezze per l’Australian Open, viste le restrizioni per i non vaccinati e la sua nota posizione no-vax. Ecco alcuni estratti del pensiero del n.1 del mondo, intervistato dopo un allenamento con Olga Danilovic.
    “Ho iniziato ad allenarmi oggi. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui avevo preso in mano una racchetta. Sì, ho allenato il mio fisico, ma oggi è stata la prima volta di nuovo in campo”. Come se Novak avesse bisogno di staccare, totalmente, dopo la rincorsa al Grande Slam, stoppata all’ultimo passo, a tre set dall’impresa leggendaria.
    Ecco il programma per il resto della stagione 2021: “Ho intenzione di giocare a Parigi, le ATP Finals a Torino e la Coppa Davis. Starò qui tutta la settimana, a Belgrado, e la settimana prima di Parigi lascerò la Serbia per dedicarmi di più all’allenamento. Il compleanno di Stefan è tra pochi giorni e noi saremo qui, a festeggiarlo con la famiglia. Ho trascorso la maggior parte del mio tempo qui a Belgrado. Sono impegnato nello sviluppo del Tennis Center e della mia futura Academy. Questo progetto mi dà molte soddisfazioni. Il mio desiderio è quello di trasmettere la storia della mia vita e carriera ai più piccoli”.
    Il capitolo più lungo è quello relativo alla delicata questione Australian Open. Ricordiamo che lo stato di Victoria dallo scorso 15 ottobre ha stabilito che solo atleti vaccinati possono competere in tornei e campionati professionistici. Un ostacolo enorme per ogni persona che rifiuta il vaccino anti-covid. Ecco il pensiero di Djokovic: “Sto seguendo quello che sta succedendo in Australia e credo che tra due o tre settimane verrà presa una decisione definitiva. Non credo che le condizioni cambino molto rispetto a quanto già sappiamo. Ci saranno molte restrizioni. Stanno cercando di migliorare le condizioni quest’anno. Il problema è che viaggi in aereo con una persona positiva, vaccinata o meno, e devi passare una quarantena di 14 giorni in camera tua. È successo a 70 giocatori quest’anno. Vorrei che tutti i giocatori si riunissero di più e fossero coinvolti nel processo decisionale. Mi sembra che non ci venga chiesto nulla. La verità è che non so se giocherò gli Australian Open. La situazione non è affatto buona”.
    Continua Novak: “Quest’anno in Australia non è stata una bella esperienza. Passare così tanto tempo nella stanza e poi dover giocare al meglio dei cinque set… Se queste decisioni vengono mantenute, penso che molti giocatori si chiederanno se andranno o meno, se vale la pena andarci… Non ho ancora deciso se giocherò a Melbourne. Ci sono molte speculazioni. I media speculano molto. C’è molta divisione nella società, tra chi è stato vaccinato e chi no. Questo, per me, è terrificante. Che qualcuno venga giudicato se vuole capire e decidere se vaccinarsi o meno… mi fa sentire deluso dalla società. Non rivelerò se sono vaccinato o meno. È una questione privata. Qualunque cosa tu dica, i media diffonderanno la paura tra la gente. Non voglio partecipare a questa guerra. Voglio andare in Australia, ma non so se lo farò. Al momento posso dire solo questo”.
    Parole importanti quelle di Djokovic, in cui conferma la propria delusione per la situazione generale, la volontà di capire come muoversi prima di prendere una decisione definitiva, ma vista la fermezza mostrata “down Under” dall’inizio della pandemia, pare difficile che possa essere offerto una sorta di “salvacondotto” a chi volesse giocare agli Australian Open da non vaccinato.
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    Hurkacz in top10, è il secondo polacco nella storia

    Hubert Hurkacz, neo top10

    Hubert Hurkacz è uno dei personaggi della settimana. I quarti di finale raggiunti ad Indian Wells lo hanno portato al best ranking e soprattutto al n.10 della classifica ATP, scavalcando Roger Federer e Felix Auger-Aliassime. È un risultato storico per il 24enne di Wroclaw: diventa il secondo polacco nella storia ad entrare tra i migliori 10 tennisti al mondo. 
    Il campione di Miami 2021 pareggia il best ranking del connazionale Wojtek Fibak, che fu numero 10 del mondo il 25 luglio 1977. Una progressione importate per Hurkacz, che aveva iniziato la stagione al numero 34 del mondo. Era fiducioso sulle proprie potenzialità, di poter crescere in stagione e ritagliarsi un ruolo da protagonista, come ha dichiarato al sito ATP: “Lavoriamo con il mio allenatore (Craig Boynton) già da un paio d’anni, il lavoro che abbiamo svolto ogni singolo giorno, anche l’anno scorso, è stato molto intenso. Penso che sia un processo importante, sto migliorando il mio gioco. Cerco di migliorare ogni singolo giorno”.
    Il polacco è il 174esimo tennista ad entrare tra i migliori 10 al mondo (da quando la classifica è stilata al computer), e secondo nel 2021, dopo Casper Ruud.
    Hurkacz è famoso sul tour per essere uno dei ragazzi più educati, cordiali e sportivi. Su di lui la scorsa settimana ha speso belle parole Grigor Dimitrov, suo “giustiziere” nei quarti ma solo al tiebreak decisivo. “Ha servito in modo straordinario. Gliel’ho detto anche dopo la partita alla stretta di mano. Penso che sia migliorato incredibilmente al servizio quest’anno. Ad un certo punto della partita ho iniziato buttarmi da una parte cercando di indovinare dove avrebbe servito” afferma il bulgaro. “Hubert è un ragazzo magnifico, è bello averlo sul tour. Sempre molto cordiale, è facile e gradevole parlare con lui. Ci siamo allenati parecchie volte a Monte Carlo, ci troviamo bene insieme”.
    Il suo coach spiega il segreto del successo di Hurkacz: “È un grande lavoratore e siamo sempre alla ricerca di miglioramenti, vuole provare a migliorare qualcosa ogni giorno finché non arriva l’ora di mettere le racchette nella borsa. Ciò su cui lavori può cambiare in fretta, perché ti siedi e ti poni una serie di obiettivi, una volta raggiunti devi sostituirli subito con altri nuovi. Più diventi bravo, più devi lavorare per il miglioramento dei dettagli, così la crescita continua”.
    Nella Race to Turin, Hurkacz è attualmente al nono posto con 2955 punti, quindi visto il sicuro forfait di Rafa Nadal sarebbe matematicamente tra i magnifici 8 del Masters. Deve tuttavia guardarsi le spalle da Cameron Norrie, fresco campione a Indian Wells, e Jannik Sinner, staccato di 360 punti dal polacco. Le ultime settimane di tornei, e probabilmente il M1000 di Bercy, saranno decisive.
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    Indian Wells, il torneo delle sorprese

    Cameron Norrie

    Prima dell’avvio di questo Indian Wells “autunnale”, si pensava che il torneo potesse regalarci qualche sorpresa. La nuova collocazione, le diverse condizioni, molti giocatori già provati da 9 mesi di tennis spesso vissuti in ambienti complicati dalle regole anti-covid, un mix di elementi perfetti per creare una scossa. Tuttavia ritrovarsi al sabato mattina con in semifinale Dimitrov vs. Norrie e Fritz vs. Basilashvili, questo proprio no, era inimmaginabile. Oltretutto i due grandi favoriti ieri, Tsitsipas e Zverev, hanno pure perso “male”, Sasha con la chance di vincere, Stefanos con un match incomprensibile.
    Non serve perdersi in grandi ricerche per affermare che queste semifinali, oltre che sorprendenti, sono probabilmente quelle con in campo i tennisti “peggiori” rispetto alla classifica in un torneo di questa categoria, e se non lo sono in assoluto siamo molto vicini. È il segnale di un tennis che sta cambiando, senza la costante presenza dei big 3 (più Murray), ma anche di una sorpresa che ogni tanto ci sta. E meno male che nello sport accadono ancora, altrimenti sai che noia…
    Davvero difficile a questo punto pronosticare chi la spunterà, e forse è bello proprio per questo. Ognuno dei giocatori rimasti in gara ha dimostrato di essere in grande condizione, e di poter ambire al titolo. Solo Dimitrov in carriera ha già vinto un Masters 1000, nel 2017, il suo anno migliore, chiuso con il successo alle ATP Finals. Per gli altri sarà una occasione incredibile.
    Potrebbe essere un torneo decisivo per Norrie, tennista cresciuto in modo incredibile negli ultimi due anni. Attualmente il britannico è al 14esimo posto nella Race to Turin, con 1840 punti. Se vincesse IW, farebbe un balzo clamoroso, con sorpasso a Felix Auger-Aliassime e in piena lotta con Sinner e Hurkacz e Ruud per un posto al Masters. La semifinale vs. Dimitrov sarà una partita molto interessante. Grigor è tornato finalmente in piena efficienza atletica dopo un periodo gustato da vari problemi, e soprattutto sembra aver ritrovato fluidità e fiducia nel suo gioco. Il bulgaro ha sempre giocato bene, ma con quel tennis così complicato e non sempre molto incisivo, è riuscito a giocarsela contro i big solo nelle fasi di carriera in cui ha trovato la massima fiducia e la miglior condizione fisica. Alla fine gli è sempre mancato qualcosa per eccellere, un filo di velocità di braccio, un po di servizio, una difesa più stabile e meno funambolica, meno pause. Dopo anni di “vivacchiare”, ad Indian Wells potrebbe riprendersi un ruolo da protagonista. Norrie proverà a sbarrargli la strada cercando di non farlo creare, imponendo alti ritmi e buttandolo lontano dalla riga di fondo. La risposta al servizio di Cameron potrebbe essere il colpo decisivo: se annullerà il servizio del rivale, la sua grandissima fiducia e spinta da fondo campo potrebbero portarlo al successo. Se invece sarà Grigor a comandare le operazioni, avrà ottime chance per il successo.
    Fritz sta giocando il torneo della vita. Ieri dopo aver sconfitto Zverev ha dichiarato: “Non puoi allenare tutto questo, cosa vuol dire superare queste situazioni. Non le puoi simulare in un allenamento, devi fidarti del tuo tennis, di quello che stai facendo. Devi riuscire a mettere in campo, sotto la massima pressione e difficoltà tutto il lavoro svolto, riuscire a dare il massimo. Non sempre ci sono riuscito, stavolta è un sogno che si avvera. È difficile non emozionarsi per tutto questo. Ho lavorato molto duramente per tutta la mia vita per arrivare a giocare queste partite e provare queste emozioni”. L’”ammazza italiani” continua a volare. Serve bene, risponde profondo, è intenso e con pochi cali. È nella sua California, ha il pubblico, è “in-the-zone” come dicono da quelle parti, quindi può essere pericolosissimo per tutti. Basilashvili è un vero colpitore di potenza, può spaccare in due la pallina, ma ha bisogno di tempo per esprimere il suo miglior tennis. Forse ha approfittato anche delle condizioni piuttosto lente del torneo, davvero non così distanti da molti eventi sul rosso. Sarà una partita molto incerta, probabilmente l’americano è favorito, ma il georgiano resta un tennista con la potenza necessaria a completare l’impresa ed issarsi addirittura in finale. “Mi sto allenando bene da settimane, non sono sorpreso dal risultato”, ha dichiarato Nikoloz.
    Molti appassionati forse saranno non solo sorpresi, ma anche un po’ delusi dai quattro semifinalisti. In realtà, questo accade con frequenza nei momenti storici di passaggio. Questo torneo e molto altro conferma che stiamo attraversando esattamente una fase del genere. E non necessariamente dobbiamo ammirare “i soliti noti” per gustarci bel tennis ed emozioni.
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    Archeo Tennis: 15 ottobre 1983, Aaron Krickstein vince a 16 anni un torneo ATP, è record assoluto di precocità

    Aaron Krickstein

    15 ottobre 1983, Tel Aviv. Il torneo Open tornato sul Grand Prix dopo un anno di stop viene vinto dal formidabile teenager statunitense Aaron Krickstein, che a soli 16 anni e 73 giorni diventa il più giovane vincitore della storia in un torneo del Tour maggiore. 
    Classe 1967, Aaron Krickstein è stato uno dei primi talenti emersi della rivoluzionaria scuola di Nick Bollettieri in Florida, insieme a Jimmy Arias (classe 1964). Nel 1983, il 16enne Krickstein si impose in varie competizioni nazionali U18, quindi mosse i primi passi sui tornei del Gran Prix. C’era grande attenzione per questo ragazzo magro e veloce, capace di colpire la palla con forza e precisione, ma soprattutto un anticipo davvero straordinario per quei tempi. Il primo risultato importante lo raggiunse agli US Open, dove sconfisse l’altra stella nascente Stefan Edberg al tiebreak decisivo del quinto set, e poi l’esperto Vitas Gerulaitis (allora n.16 del mondo) rimontando due set di svantaggio. La sua corsa a NY si arrestò agli ottavi, sconfitto dal campione in carica di Roland-Garros (e numero 4 del mondo) Yannick Noah.
    Sull’onda di quell’ottimo risultato, Aaron si presentò a Tel Aviv in grande forma e già con gli occhi puntati da parte di moltissimi appassionati di tennis. Non era passato inosservato quel suo gioco “estremo” per anticipo e velocità. Si sprecavano i confronti con il rovescio in anticipo di Jimbo Connors, ma il giovane prodotto di Bollettieri sparava pallate a ritmi e potenza nettamente superiori, facendo intravedere ampi margini di miglioramento, anche se la “mano” non sembrava tra le più “morbide” e l’incedere un po’ “robotico”.
    Nel torneo israeliano Krickstein iniziò comodamente, eliminando il n. 24 del mondo Henrik Sundstrom (e testa di serie n.1) per ritiro, in vantaggio 6-3 1-0. Al turno successivo, concesse solo 7 game a Schalk Van Der Merwe, quindi nei quarti di finale fu impegnato duramente dal tennista di casa Shahar Perkiss, superato solo 7-6 al terzo set. Aaron mise in mostra una forte capacità di resistenza mentale, nonostante la giovanissima età e poca esperienza di tennis Pro. In semifinale superò con un duplice 6-4 il britannico Colin Dowdeswell (tennista giramondo, che in carriera aveva giocato anche per Svizzera e Rhodesia). Anche nella parte bassa del tabellone ci furono molte sorprese. La seconda testa di serie e favorito del pubblico Shlomo Glickstein si arrese all’esordio, per la delusione dei fan israeliani, tanto che a giocarsi il posto in finale furono due tedeschi poco conosciuti, Rolf Gehring e Christoph Zipf. Prevalse quest’ultimo, classe ’62, discreto talento e vittorioso di buoni titoli a livello junior, per poi non confermarsi ad alto livello tra i Pro.
    La finale, disputata il 15 ottobre, vedeva quindi di fronte due tennisti alla prima chance per alzare un titolo professionistico. Krickstein impose la sua maggior potenza da fondo campo e soprattutto restò più calmo e focalizzato, vincendo 7-6 6-3. Trionfò alla sesta apparizione in un evento Pro, stabilendo il record, ancora imbattuto, di giocatore più giovane a vincere un torneo dell’ATP Tour.
    Krickstein, insieme a Jimmy Arias, divenne un vero “caso” nel mondo della racchetta, sia per la ventata di innovazione del suo tennis che le astute mosse promozionali del suo coach, Nick Bollettieri. La vera generazione di fenomeni del tennis USA, plasmata dalla visione e metodi assai particolari del coach, arrivò da lì a pochi anni: Agassi, Courier, Chang (e Sampras, solo in parte formato da Nick).
    Purtroppo Aaron non riuscì a diventare quel super-campione che la precocità aveva fatto immaginare, frenato da tanti infortuni ma anche da alcune carenza tecniche che non riuscì mai a superare totalmente. Con il suo tennis di sbarramento e pressione, regalò spesso bei match contro i tanti attaccanti dell’epoca. In carriera vinse nove titoli, toccando un best ranking al n.6 nel 1990, pochi mesi dopo aver ottenuto la sua migliore prestazione in un Grande Slam, agli US Open del 1989, dove sbarcò in semifinale (sconfitto di Boris Becker). Terminò la sua carriera nel 1996.
    Krickstein resta il più giovane vincitore di un torneo ATP. Guida una ideale “top10” di precocità che vede a seguire Michael Chang (16 anni e 7 mesi – San Francisco 1988), Lleyton Hewitt (16 anni e 10 mesi – Adelaide 1998), Guillermo Perez Roldan (17 anni e 6 mesi – Monaco 1987), Boris Becker (17 anni e 6 mesi – Queen’s 1985), Andre Agassi (17 anni e 6 mesi – Itaparica 1987), Bjorn Borg (17 anni e 7 mesi – Auckland 1974), Pat Cash (17 anni e 7 mesi – Melbourne 1982), Mats Wilander (17 anni e 9 mesi – Roland Garros 1982) e Andrei Medvedev (17 anni, 9 mesi – Genova 1992).
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    Sinner, una sconfitta figlia “della crescita” (di Marco Mazzoni)

    Jannik Sinner a Indian Wells

    Altro che derby azzurro a Indian Wells… I sogni dell’appassionato italico di gustarsi un bel Berrettini vs. Sinner negli ottavi, con prospettive molto intriganti per il resto del torneo, sono stati infranti dal ciclone Taylor Fritz, issatosi ad “ammazza italiani” nella sua California. L’americano ha estromesso sia Matteo che Jannik, uno dopo l’altro, curiosamente lo stesso score ma in due partite assai diverse. È giusto applaudire Taylor, più oggi di ieri, perché se la prestazione di Berrettini era stata decisamente sottotono, stanotte Fritz ha giocato un’eccellente partita, è stato complessivamente superiore a Sinner e si è meritato ampiamente l’accesso ai quarti di Indian Wells.
    Eppure il match per Jannik era iniziato molto bene, era in vantaggio, il suo tennis scorreva via veloce. Preciso, intenso, caricava diritti e rovesci con potenza e ricavava bei punti in pressing. Si era portato avanti con merito. Fino al 4-2 nel primo set era stato superiore nella spinta, meno devastante rispetto a quello ammirato nell’esordio del torneo, ma un buon Sinner. Al servizio sul 4-3, il match ha cambiato improvvisamente direzione, ed è andato in scena, purtroppo per l’azzurro, un “film già visto” in altre sconfitte stagionali. La prima palla si è inceppata… il segnale del passaggio a vuoto imminente. Il braccio ha perso fluidità, la spinta è diventata meno precisa, fioccano gli errori. Un doppio fallo sulla palla break riporta non solo il set in equilibrio ma rimette fisicamente in partita un Fritz che era invece in difficoltà in quel momento nel contenere la spinta dell’azzurro. Un break regalato all’americano, quasi solo errori non provocati. È stato l’inizio della discesa agli inferi per Sinner, che servendo sotto 4-5 ha commesso troppi errori: un doppio fallo per iniziare il game, un diritto sparacchiato largo per troppa fretta e frenesia, un pallonetto-passante mal gestito con un tocco un po’ goffo per uno con le sue qualità; quindi ai vantaggi altri due doppi falli. I due punti decisivi se li è presi l’americano, con un pressing molto incisivo. 4 giochi di fila per Taylor e Set vinto, per un suo crescendo avviato dagli errori e calo di Jannik, purtroppo.
    Qua Fritz ha di fatto vinto la partita, è salito moltissimo col servizio e ha iniziato a rispondere meglio, mentre quel brutto finale di primo set ha guastato definitivamente il gioco Jannik, diventato più falloso. Troppo falloso, con chance per scappare via all’avvio del secondo sprecate e quindi il break subito nel secondo game, anche qua sprecando più di una occasione e giocando quasi soltanto con la seconda di servizio. Troppo poco per arginare un Frtiz ora “in the zone”. Dal 4-2 Sinner nel primo, l’azzurro ha perso 8 games di fila, fino al 6-4 4-0 per l’americano. Un buco troppo profondo per risalire a questo livello, che non ti puoi permettere. Con la sconfitta ad un passo, l’azzurro ha finalmente liberato il braccio, si è ripreso un break di svantaggio ed è tornato fisicamente in partita, più incisivo col diritto e profondo nello scambio col rovescio, ma era ormai troppo tardi. Bravo è stato il californiano a salvare due delicatissime palle break sul 5-3 (Ace esterno e bello scambio comandato dal centro) che avrebbero clamorosamente riaperto la partita, e quindi trasformare il primo Match Point con un rovescio lungo linea molto bello.
    Jannik ci ha messo del suo in questa sconfitta, ma è giusto riconoscere a Fritz il merito di aver alzato il livello appena Sinner è calato. L’americano è stato molto bravo a scegliere tempi di gioco rapidi, entrare senza indugio col diritto sulla prima palla più corta di Sinner. Col diritto cross ha spesso sfondato l’azzurro trovando angolo e profondità, ed ha sorpreso per la quantità di molti rovesci lungo linea tirati con velocità e precisione. Complessivamente, Fritz è stato superiore a Sinner nei colpi di inizio gioco, servizio ma anche risposta, più continuo e meno falloso.
    Il tennis è uno sport particolare, di situazione, in cui tutto può cambiare in un attimo. Capitano giornate in cui le cose non vanno, o in cui qualcosa si inceppa e finisci in un vortice perverso che ti fa perdere sicurezza e troppi game, fino a perdere la partita. Capita soprattutto quando sei in un momento di crescita, in cui stai mettendo mano al tuo gioco dal punto di vista tecnico e tattico, e quindi non hai ancora assimilato le novità. In quelle fasi, basta poco per perdersi, col rischio di tornare conservativi sui vecchi schemi e meccaniche, facendo errori e scelte sbagliate. La crescita nel tennis è sempre a scale, mai lineare. Ci sono momenti in cui hai fiducia, in cui tutto scorre e produci meraviglie in campo; altri in cui non hai buone sensazioni o ti perdi per strada per un dettaglio, per un’incertezza, per un dubbio, ed è difficile a quel punto riprendersi perché senza aver vissuto più e più volte quella sensazione, non sai a cosa aggrapparti, cresce la tensione e vedi solo nero. Sembra proprio quel che è accaduto oggi a Sinner. Con una regolarità, però.
    Quale? Il tennis di Jannik non può fare a meno del servizio. Non parlo solo dei punti “facili”, diretti strappati con la prima. Il “concetto” di servizio nel suo gioco è più ampio. Quando prende ritmo con la prima di servizio, tutto il suo tennis scorre perché con la prima in campo riesce ad iniziare lo scambio in una posizione di vantaggio, mentalmente è più sciolto, i suoi colpi scorrono più fluidi e precisi. Sinner produce in campo un tennis difficile, spara palle con grande potenza prendendosi alti rischi. Giocare sciolti è molto importante. La sicurezza di iniziare con la prima in campo è decisiva. È evidente che il lavoro intrapreso con il suo staff è quello di dotarlo di una capacità di scambio ad altissimo ritmo e meno rischio, un 70-80% di velocità con buon margine, e quindi via nel saper scegliere il momento per l’affondo, il cambio dalla progressione travolgente alla ricerca del vincente se il puro pressing non ha prodotto l’errore del rivale. In questo processo serve continuità e fiducia. Serve insistere, e ripeto, è un tennis tutt’altro che facile perché si gioca a ritmi molto intensi e gli avversari fanno – ovviamente – l’impossibile per guastare il ritmo e trovare la chiave per uscirne.
    Proprio per l’alta componente di rischio intrinseca in questo schema tattico, è decisivo poter affidarsi a colpi di inizio gioco incisivi, servizio ma anche risposta. Pure in risposta oggi Sinner non ha convinto. Molto bene in alcune fasi (quella iniziale e l’ultima reazione prima della sconfitta), troppo impreciso nella parte centrale del match, dove Fritz ha potuto governare i suoi turni di servizio con discreto agio, giocandosi molto bene le palle break da salvare.
    C’è delusione per la sconfitta, Sinner ha un tennis superiore per qualità a quello di Fritz, ma oggi non è riuscito a produrlo con la continuità necessaria a superare il rivale. Sarebbe sbagliato esagerare con le critiche, soprattutto insinuando dubbi sul processo di crescita. Jannik sta cambiando il servizio, sta cambiando le dinamiche di spinta nella progressione, sta insistendo su tante piccole cose da affinare e metabolizzare, per poterle esplodere sotto pressione, nei momenti decisivi. Aspettiamolo ai prossimi tornei in Europa, sperando che possa esplodere la sua classe e regalarsi (e regalarci) una clamorosa qualificazione alle Nitto ATP Finals di Torino. Qualora non avvenisse, poco male. Si guarda avanti ad un 2022 che potrebbe essere spettacolare.
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    Ons Jabeur nella storia: sarà top10 dopo Indian Wells, prima “racchetta araba” tra le migliori

    Ons Jabeur, prima tennista araba in top10

    Ons Jabeur ad Indian Wells ha scritto una nuova pagina di storia del tennis. Con la sua vittoria (6-2 6-2) sulla russa Anna Kalinskaya nel quarto turno del WTA 1000 californiano, ha accumulato i punti necessari per entrare nella top10 del ranking la prossima settimana. La talentosa tunisina diventa così la prima tennista araba varcare la soglia dei migliori 10 nel ranking ATP/WTA. Un record assolutamente meritato, conquistato con una crescita continua ed un tennis di talento.
    Jabeur si trova questa settimana al numero 14 in classifica, una posizione che già pareggiava il miglior ranking mai ottenuto da un tennista arabo nella storia delle classifiche ATP o WTA, quello del marocchino Younes El Aynaoui, 14esimo nel 2003 e nel 2004.
    Ons nella sua continua ascesa verso il vertice del tennis femminile ha stabilito diversi primati assoluti per una tennista di origine araba. Fu la prima a raggiungere un quarto di finale in un torneo del Grande Slam agli Australian Open 2020 (da allora ne ha disputato un altro a Wimbledon 2021); è stata la prima ad entrare nella top 50 WTA (grazie all’ottimo Australian Open 2020); è stata la prima donna araba ad alzare un titolo WTA al 250 di Birmingham quest’anno. Un successo su erba, per una ragazza nata e cresciuta su terra battuta, segnale evidente del suo talento tecnico e di quella grande “mano” che le permette di toccare la palla in sicurezza, variare angoli e rotazioni, producendo così un tennis vario, completo e divertente.
    Dopo il successo di ieri, la tunisina ha dichiarato: “Sono davvero contenta della mia prestazione e di tutto quel che sto raggiungendo nella mia carriera. Agli inizi sognavo di vincere gli Open di Francia, sono riusciva a vincerlo da junior, e poi ho sempre detto a mia madre che voglio essere la numero 1. Ci ho sempre creduto, ma vincere sul WTA tour è un sogno che si avvera ogni volta. Spero di poter ispirare la nuova generazione, non giocano così tanti ragazzi nel mio paese, ma io sono la dimostrazione che anche in Tunisia ce la possiamo fare, a crescere e diventare ottimi tennisti. Lavorando duro, credendo in te stesso, ce la farai”.
    Davvero una bella storia e carriera quella di Ons, tennista tutt’altro che banale, orgogliosa delle sue radici ed esempio straordinario per tutto il mondo arabo, di cultura sportiva, di successo e libertà.
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