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    Fognini con 392 vittorie è diventato l’italiano con più match vinti sull’ATP Tour nella storia

    Fabio Fognini, l’italiano con più vittorie sul tour

    Il successo di ieri contro Andujar a Indian Wells ha un sapore doppiamente dolce per Fabio Fognini. L’azzurro infatti nel dopo partita ha appreso di aver segnato un record storico per il tennis italiano. È stata la sua vittoria n.392 sull’ATP Tour, che lo trasforma nell’azzurro con più match vinti sul circuito professionistico. Il precedente record apparteneva ad Adriano Panatta con 391.
    “È bello, davvero, non sapevo prima della partita, credetemi”, ha detto Fognini ATP Tour.com. “Sono statistiche, ma ovviamente sono felice. Ora mi confrontano con i grandi. Adriano era un idolo quando ero giovane, quindi sono davvero felice. Non è la fine. Continuerò a combattere e vediamo cosa succede”.
    “Si va avanti giorno dopo giorno, torneo dopo torneo, anno dopo anno. Se guardo indietro alla mia carriera, ho fatto qualcosa di grandioso. Probabilmente negli ultimi due mesi, soprattutto dopo l’Australia, ho iniziato a godermi un po’ di più il mio tennis, anche se è difficile viaggiare senza la mia famiglia”, continua Fognini. “Questo lavoro non durerà per sempre, quindi sto cercando di godermi i miei ultimi anni di gare e vedremo. Ma al momento sono molto felice”.
    La classifica dei primi 5 italiani per vittorie sul tour è la seguente:
    1° – Fabio Fognini – 392
    2° – Adriano Panatta – 391
    3° – Andreas Seppi – 386
    4° – Corrado Barazzutti – 317
    5° – Renzo Furlan – 223
    Una carriera lunga, segnata da alti e bassi, ma ricca di grandissimi successi (Monte Carlo, le vittorie in Davis, le imprese contro Nadal e non solo) e soprattutto tanti momenti di tennis bellissimo, divertente e spettacolare. Il talento “maledetto” di Fognini, quel braccio capace di produrre magie tecniche, resterà nel nostro sport ben oltre i numeri. Complimenti Fabio!
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Opelka spara sull’ATP: “Gaudenzi dovrebbe dimettersi. Serve un commissioner non legato al mondo del tennis”

    Reilly Opelka

    Reilly Opelka spara a zero. Non le cannonate micidiali del suo servizio, ma parole al veleno contro l’ATP e la leadership nel mondo del tennis. Per il gigante americano, la gestione dell’ATP è carente, ricca di conflitti di interesse, incapace di valorizzare il prodotto e premiare adeguatamente i giocatori. Ne ha per tutti Reilly in un’intervista a dir poco pirotecnica rilasciata a tennis.com in quel di Indian Wells. Ne riproponiamo i passaggi salienti, che certamente non passeranno inosservati.
    “Oggi sul tour non puoi monetizzare il talento e il nostro tempo è limitato. Guarda Andrey Rublev, per esempio. Rublev avrà 24, 25 o 26 anni solo una volta nella vita e mi dispiace per lui. Quello che ha fatto l’anno scorso è stato impressionante, ma è facile per la gente dire che è un ragazzo fortunato e che sta facendo un sacco di soldi. Quello che fa Rublev è tutt’altro che normale. Lavora a un livello che non ho mai visto fare a nessuno, e lo rispetto moltissimo. So che ha avuto difficoltà, e vedo cosa fa: sei, sette ore di allenamento. È in palestra, colpisce la palla tutto il giorno. Mi sento male nel pensare che non sia ricompensato come dovrebbe. Dovrebbe guadagnare milioni. Dovrebbe guadagnare molto di più di quello che ha, perché si sta “spaccando il culo” per questo. È un peccato. Prendete la MLB (Major League Baseball), è stata in sciopero lottando per una crescita di percentuali molto più piccole di quelle che abbiamo noi complessivamente. Odio la politica, mi piace giocare a tennis. Non mi piace dovermi lamentare, ma questa è la situazione. Non va bene”.
    Le critiche di Opelka vanno direttamente al cuore del funzionamento del sistema, dopo uno scambio polemico di messaggi social con Vallverdù: “Ha fatto su Twitter un commento sulla politica sul conflitto di interessi che è stata approvata dall’ATP la scorsa settimana. Se leggete la posta che ci è pervenuta, afferma che quei conflitti devono essere al di sopra di una certa soglia. La descrizione del sistema è irregolare. Qual è esattamente quella soglia? Permettere a persone come Gavin Forbes, Charles Smith, Herwig Straka, agenti o formatori (come lo stesso Vallverdù) di essere membri del Consiglio (ATP Board)? Dani (Vallverdù) ha recentemente fatto domanda per un posto nel Consiglio, pur essendo anche membro del Consiglio dei giocatori. Il Player Council vota per i membri del Council, è così che funziona il processo, quindi è assolutamente comico. So che è nella natura umana cercare di fare il meglio per se stessi, cercare di avere il più possibile, ma come può il sistema permetterlo? E non incolpo Dani per aver votato per se stesso o altro, ma in pratica non dovrebbe essere in quella posizione”.
    Ecco l’attacco diretto al vertice dell’ATP: “Andrea Gaudenzi deve dimettersi. Abbiamo bisogno di una nuova leadership. Non c’è niente di personale contro di loro. Sono bravi ragazzi. Massimo (Calvelli, amministratore delegato dell’ATP) è un bravo ragazzo. Ma non capisco. Perché scegliamo persone che sono già state nel tennis? Senza offesa per Massimo, non puoi assolutamente passare dall’essere un rappresentante Nike, inviare pacchi o ricevere le giuste scarpe da terra battuta per Rublev, a diventare l’amministratore delegato di uno dei più grandi sport mondiali del mondo. Non succede in nessun altro sport. E non sto solo criticando Massimo, ho detto la stessa cosa di Chris Kermode: era dirigente al Queen’s. Come puoi passare dall’essere un manager al CEO di uno dei più grandi sport del mondo, in un momento in cui hai i tre migliori giocatori nella storia attiva?”
    La soluzione per Opelka, trovare per l’ATP un commissioner di alto profilo, come quelli delle leghe Pro USA, manager che arrivano da alti contesti, non abbiano legami col tennis e siano focalizzati solo al business: “Penso che dovremmo rompere giocattolo e scegliere un visionario. Scegli il braccio destro di Adam Silver (Commissoner NBA), oppure scegli un ragazzo che ha lavorato al fianco di un Adam Silver o di un altro CEO di grande successo, e poi scommetti su di lui, perché il nostro sport non va. Se c’è così tanta trasparenza e tutto va bene, come è possibile che il montepremi ad Acapulco quest’anno sia stato inferiore rispetto al 2019? Hai avuto cinque dei sei migliori giocatori del mondo: Nadal, Zverev, Tsitsipas… un tabellone d’élite, non ci sono limiti di capienza e per di più in un nuovo stadio ancora più grande che si riempie ogni notte. Perché allora stiamo andando indietro? E perché dovremmo scegliere qualcuno al di fuori del regno dell’ATP? Perché l’ATP si comporta come un club chiuso. Dai un’occhiata ai membri del Consiglio: è un club. Qual è l’esperienza di Dani Vallverdú quando si tratta di essere un direttore di torneo? Nessuna. Ma quando un nuovo torneo appare nel calendario ATP, un membro del Players Council, Dani Vallverdú, riesce a essere il direttore di quel torneo (San Diego ATP). Perché lo scelgono? Perché è un club ristretto. E questo deve cambiare, quella cultura deve essere cambiata. Sceglierei qualcuno meno coinvolto nel tennis, perché quando hai qualcuno così vicino a questo, qualcuno abituato al vero pasticcio che è l’ATP, tutto resta com’è, non si faranno mai passi avanti. L’ATP è un circo da molto tempo. Tutti gli altri sport mondiali stanno andando alla grande, ma l’unico che non lo è è il tennis, e penso che sia per colpa della sua leadership.”
    Non è la prima volta che Opelka critica il sistema, ma in quest’intervista è andato dritto al punto, al cuore dei problemi che a suo dire affliggono il mondo del tennis e non gli permettono di generare un giro economico paragonabile a quello di altri sport professionistici. Una presa di posizione netta, che esterna un malumore che cova da tempo tra i giocatori.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Zverev: “Mi vergogno, a volta chiedere scusa non basta”

    Alexander Zverev

    Alexander Zverev ha parlato ad Indian Wells dopo la chiusura dell’indagine e sanzione (sospesa con la condizionale) per i gravi fatti che l’hanno visto protagonista ad Acapulco. Le sue parole sono dure con se stesso, non cerca scuse prendendosi la responsabilità per quella scenata inaccettabile.
    “Mi vergogno di quello che ho fatto. Ho una strana sensazione quando cammino nello spogliatoio tra i miei compagni, ma so che tutti commettiamo errori. Da essere umano quale sono, posso garantirvi che non agirò mai più in quel modo, nella mia vita. È stato sicuramente il momento peggiore di tutta la mia carriera, per quello che ho fatto e per come l’ho fatto, a volte chiedere scusa non basta”
    Continua l’autocritica di Sasha: “Spero che la gente mi perdoni, ci sono tante pressioni esterne a cui siamo sottoposti che magari non si vedono dall’esterno, vi assicuro che questo momento che sto attraversando è estremamente complicato. Ma me lo merito, merito di vivere un momento come questo dopo quello che ho fatto. Farò tutto ciò che è in mio potere affinché non accada più, per mantenere la promessa che ho fatto con me stesso e con tutti gli altri”.
    “Nelle ultime settimane ho lavorato sulla meditazione. Penso che ci siano situazioni stressanti nella vita in cui cose del genere possono succedere a chiunque. Non sono il primo a cui succede questo, né sarò l’ultimo . So chi sono come persona e questo non mostra affatto chi sono”.
    Quindi Zverev prova a dare una spiegazione di quel che l’ha portato ad agire così, pur sottolineando di non cercare scuse: “Il giorno prima ho giocato fino alle 05:00 del mattino, lo stesso giorno sono tornato in campo per giocare la partita di doppio. Io sono una persona che dà tutto in campo, penso che molti giocatori di singolare, nella mia posizione, sarebbero scesi in campo nel doppio senza dare il 100%, non gli avrebbe importato molto di perdere la partita, sarebbe stata anche una buona notizia . Ero fisicamente e mentalmente stanco, finché purtroppo ho perso il controllo. A volte accadono cose del genere, sono situazioni molto frustranti, anche se quello che ho fatto non ha scuse”.
    Accetta la sensazione (fin troppo benevola…) e si spinge oltre: “Non potrei mai colpire qualcuno per fargli male. Se faccio di nuovo una cosa del genere, l’ATP ha tutto il diritto di punirmi. Ci sono stati altri episodi simili in passato in cui la decisione presa è stata simile a questa. Ho detto cose che non avrei dovuto dire, i gesti erano terribili, ma alla fine l’ATP ha usato lo stesso metro applicato in altri casi simili. Se qualcosa di simile mi accade di nuovo, significherà che non ho imparato nulla da quanto sopra. Credo che tutti nella vita meritino una seconda possibilità, ma se commetti errori ripetutamente, significa che non hai imparato”.
    Parole ferme, di dura autocritica, che non cancellano il fattaccio ma almeno dimostrano la presa di coscienza di quel che è accaduto. Ora a sta lui cambiare rotta, mostrarsi più sereno e meno aggressivo.
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    Djokovic out anche a Miami. “Ho aspettato per vedere se qualcosa poteva cambiare sull’entrata negli USA”

    Novak Djokovic salta la trasferta americana

    Dopo Indian Wells, Novak Djokovic conferma l’impossibilità di giocare anche al 1000 di Miami. Il serbo ha scritto un breve post sui propri social, spiegando la situazione. Fermo sulla propria posizione contraria al vaccino, non può entrare negli USA, ma ha aspettato fino all’ultimo poiché le normative sono in continua evoluzione. Ecco le parole dell’ex n.1.
    “Nonostante sia iscritto automaticamente nei tabelloni di Indian Wells e Miami, sapevo, date le condizioni di ingresso negli Stati Uniti, che poter viaggiare lì sarebbe stato davvero complicato. Ho voluto aspettare per vedere se qualcosa poteva cambiare, dal momento che le normative internazionali in materia di Covid e permessi sono in continua evoluzione. Il CDC (Centro di controllo e prevenzione sulle malattie, ndr) ha confermato oggi che non ci saranno modifiche alle regole attualmente in vigore, il che significa che non potrò giocare negli Stati Uniti. So che i miei fan stanno aspettando di vedermi di nuovo in campo, spero di tornare presto in torneo così da poter giocare per loro. Buona fortuna a tutti quelli impegnati in questi grandi tornei negli Stati Uniti!”.

    While I was automatically listed in the @BNPPARIBASOPEN and @MiamiOpen draw I knew it would be unlikely I’d be able to travel. The CDC has confirmed that regulations won’t be changing so I won’t be able to play in the US. Good luck to those playing in these great tournaments 👊
    — Novak Djokovic (@DjokerNole) March 9, 2022
    Una spiegazione plausibile, ma resta un danno al torneo, visto che il sorteggio era già stato effettuato e la cancellazione last-second ha di fatto sbilanciato le teste di serie.
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    Coric torna ad Indian Wells: “Niente racchetta per sette mesi. Dico ai giovani, attenti al proprio corpo”

    Borna Coric, finalmente torna in campo

    Il Masters 1000 di Indian Wells quasi sicuramente dovrà fare a meno di Novak Djokovic, ma di sicuro riabbraccia Borna Coric. Proprio in California il croato ha ottenuto uno dei migliori risultati in carriera, la semifinale del 2018 (sconfitto dopo una dura battaglia da Roger Federer). Nel novembre di quell’anno toccò il best ranking, n.12. Il suo gioco era in piena evoluzione, anche quel diritto che sempre l’aveva fatto penare iniziava a diventare più stabile ed efficace. Poi sono iniziati mille problemi fisici, che l’hanno costretto a continui alti e bassi. A Rotterdam 2021 quasi non riusciva più a servire, per questo ha scelto di sottoporsi ad un delicato intervento alla spalla. Di lui si erano perse praticamente le tracce, ma la sua voglia di tornare è stata più forte del dolore e di una lunga riabilitazione.
    Nel main draw del torneo ha pescato lo spagnolo Davidovich Fokina, uno tosto ed in buona forma, non sarà un rientro agevole. Ma per Borna già esser di nuovo in torneo è un grande successo. L’ha intervistato Tennis Major, una lunga chiacchierata in cui Coric racconta i momenti difficili molto altro. Ecco alcuni passaggi del suo pensiero.
    “Come mi sento? Non posso paragonare questa sensazione a nient’altro, dal momento che questa è la prima volta che sono stato costretto a farsi da parte per un anno intero. La mia ultima pausa così lunga risale a quando avevo 12-13 anni e ho subito un intervento chirurgico al polso. Ho ripreso gli allenamenti il 1° novembre, ancora senza servire. Le cose ora vanno molto meglio, è una sensazione splendida essere qui”.
    Il dopo intervento non è andato liscio come sperava, ma non ha mai avuto davvero paura di non farcela: “Quando un atleta professionista subisce la chirurgia, non è mai garantito che torni come prima. Ho avuto complicazioni dopo l’intervento chirurgico, perché il dolore è stato presente più a lungo del previsto. Parlando da questo punto di vista, forse c’era da aspettarselo, ma in quel momento mi sembrava di essere piuttosto in ritardo con la mia riabilitazione. Non mi sentivo sicuro, stavo servendo con leggerezza e sentivo ancora dolore, insieme a uno spasmo muscolare, che mi era stato detto che a quel punto doveva essere sparito. I dubbi si sono insinuati, ma sapevo che dovevo fare la mia parte ogni giorno in modo da poter tornare al posto in cui ero, fisicamente e dal punto di vista del servizio. Il medico che ha eseguito l’intervento mi ha detto che c’era una possibilità che potessi essere pronto per gli US Open. Quando è arrivato quel momento, non avevo ancora preso in mano una racchetta, quindi era normale avere dei dubbi… ce la farò? Per fortuna, ora sto bene”.
    Il suo fisioterapista è stato fondamentale in tutto il processo, non solo dal punto di vista medico: “Il mio fisioterapista Yiani Louizos, sottolineo sempre il suo contributo. Senza di lui, di certo non sarei qui dove sono ora. È molto devoto, un esperto nel suo campo, e ha sempre scelto le parole giuste da dirmi. Non è stato facile, perché la riabilitazione è durata dagli otto ai nove mesi con molti alti e bassi: faceva male, non faceva male e così via… Yiani ha gestito tutto molto bene e non mi ha abbandonato in un momento in cui non c’erano garanzie per il futuro. È rimasto con me, ha creduto nel nostro lavoro e nella mia capacità di tornare al 100% fisicamente e che la mia spalla sarebbe stata migliore di prima. Anche quando non ci credevo, lui ci credeva, e mi rassicurava, spingendomi a mettermi all’opera anche quando non ne avevo voglia. L’etica del lavoro non è mai stata un problema per me, ma sono abituato alla pratica del tennis e agli allenamenti pesanti. E poi, all’improvviso, tutto ciò che ho dovuto fare per due ore è stato muovere delicatamente la spalla su e giù e avanti e indietro. È stato davvero impegnativo per me mentalmente”.
    Coric rientra con un nuovo team: “Il mio nuovo allenatore è Mate Delic (ex numero 150 del mondo), siamo solo io, Yiani e lui. Mate mi ha aiutato negli ultimi quattro anni, da quando ha smesso di giocare a livello professionistico. Mate ed io ci conosciamo da molto tempo, lui mi conosce davvero nei dettagli: il mio gioco e come sono, la mia personalità. È relativamente nuovo nell’allenamento, ma siamo ottimi amici e ho sentito che era il momento giusto per lavorare insieme”.
    Ecco il passaggio più interessante dell’intervista. Coric si rimprovera di non aver fatto tutte scelte giuste in passato, e ammonisce i giovani a non lasciar correre certe situazioni, soprattutto sul lato fisico, perché possono diventare molto problematiche quando meno te lo aspetti… “Guardandolo dalla mia prospettiva attuale, mi dispiace di non essere stato in grado di formare una squadra migliore quando ero più giovane. D’altra parte, è un circo molto popolato – tante persone, tanti allenatori – quindi è davvero difficile valutare chi sia il vero affare e chi non va bene. Non posso davvero incolpare me stesso, soprattutto perché ero molto giovane, ma me ne pento comunque. Ecco perché ritengo che per i giovani giocatori sia fondamentale essere consapevoli di dove potrebbero nascondersi i problemi futuri. Ad esempio, se avessi fatto una scansione adeguata della mia spalla quando avevo 18 anni, non credo che si sarebbe arrivati ​​a questo. Se avessi saputo cosa stava succedendo alla mia spalla, avrei fatto gli esercizi di conseguenza. Sono quasi sicuro che questo non sarebbe successo, o sarebbe successo in dieci anni, e ho problemi alla spalla da quando avevo 23 anni. Il corpo di tutti ha un punto debole e la mia è sicuramente la spalla. Non me ne sono preso cura nel modo giusto quando ero più giovane. Il tennis è uno sport molto impegnativo in termini di programmazione: ho capito qual era il problema quando avevo 23-24 anni, ma non ho mai avuto il lusso di prendermi 10-12 settimane di pausa per dedicargli tutta la mia attenzione. E poi peggiora”.
    “Ormai non mi pongo più obiettivi. Nel 2018, quando ero arrivato molto in alto, certo che ne avevo. Poi le cose sono girate male, ho rischiato di smettere, ho convissuto col dolore. Quindi, basta programmi di lungo termine. Quello che posso dire è che questa pausa mi ha fatto capire quanto amo il tennis, mi è mancato così tanto. Negli ultimi sette o otto anni mi è sembrato di essere schiacciato, con tutta la pressione e le aspettative. Quindi, in un certo senso, quello che è successo è stato positivo, perché ho avuto la possibilità di resettare, rinnovare la mia passione e rendermi conto di quanto mi godo la mia vita di tennista”.
    Coric compierà 26 anni il prossimo 14 novembre, è ancora un tennista estremamente giovane. Rientrare dopo i suoi problemi non sarà affatto facile, ma gli auguriamo tutto il meglio.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Musetti in Davis, più di una vittoria (e bravo Volandri)

    Lorenzo Musetti, che esordio con la maglia azzurra

    Nel tennis le partite non sono tutte uguali. Ci sono delle vittorie (e, purtroppo, delle sconfitte) che ti cambiano un torneo, una stagione. Persino una carriera. Vittorie che arrivano in periodi particolari, di crescita, quando sei in una fase in cui stai spingendo per fare un salto ma ancora non ci sei riuscito, perché le certezze su cui stai lavorando ancora non sono così solide. O perché i pezzi del puzzle sono ancora disordinati nella tua testa e nel tuo gioco. Questo è quello che potrebbe esser accaduto ieri a Lorenzo Musetti a Bratislava, in Coppa Davis. Il successo contro Gombos nel match decisivo, che porta l’Italia avanti nella competizione quando le cose si erano fatte maledettamente complicate, è più di una vittoria, per tutto il team azzurro e soprattutto per Musetti.
    Intanto è bene sottolineare che Musetti è il primo italiano nella storia a esordire in Davis con una vittoria sul 2-2 di una sfida di Davis. Non era mai accaduto (grazie a Giorgio Spalluto per la nota, molto interessante), fatto questo che rende ancor più merito al giovane toscano e sottolinea ancor più la bellezza e importanza del successo. Alcuni penseranno, “sì, ok, bella vittoria, ma era Gombos…”. Vero… ma la Davis è una “brutta bestia”, solo chi l’ha giocata e vissuta sulla propria pelle può capire che razza di frullatore sia. Tanti campioni sono crollati, hanno avuto la gambe tremanti di fronte al “peso” di una maglia nazionale, di un pubblico ostile, di una partita decisiva. Sampras, Edberg, Lendl, per citarne tre non esattamente scarsi, e l’elenco potrebbe esser ben più lungo. Musetti ha vinto una partitona, perché il buon Norbert era “on fire”.
    Quando sei in Davis il ranking conta il giusto. Lo slovacco ha tirato fuori per oltre un’ora il meglio del suo repertorio, bordate piatte, potenti, offensive, con pochissimi errori. Ha vinto il primo set, col pubblico che l’ha portato per mano, la situazione per il nostro team era a dir poco precaria. L’eliminazione era vicina. Qua è venuto fuori il Giocatore, quello che con classe ha tirato fuori la propria cattiveria agonistica, ha approfittato del primo calo del rivale per “montargli addosso”, con una grandinata di rovesci uno più bello dell’altro, finalmente un paio di risposte ottime, senza tremare, ma trasformando in adrenalina positiva le tensione del momento. La partita pareva in controllo, invece ha perso il vantaggio nel terzo, con l’altro di nuovo molto incisivo con i propri colpi. Ecco la conferma della forza del nostro. “Muso” non è crollato, è restato calmo. Prima ha sparato due Ace per portarsi 5-4 e poi è andato a prendersi il match con un break decisivo nel decimo game. Ha approfittato della tensione nel braccio del rivale, ha spinto con fermezza e lucidità senza esagerare. Puoi farlo quando hai mano, talento, visione, ma soprattutto ti senti forte dentro, ami la sfida, sai giocarti i punti importanti. “Vatti a prendere il punto” ha urlato Filippo Volandri all’ultimo game, e Lorenzo ha non solo eseguito, ha brillato.
    In tutto questo la vittoria è importantissima. Per il momento, per il contesto, per come Musetti ha retto il peso di un match pesantissimo all’esordio in Nazionale. Ma soprattutto per come se l’è giocata. Lorenzo non ha prodotto un match strabiliante dal punto vista tecnico. Questa vittoria non risolve i nodi ancora irrisolti nel suo tennis. C’è tantissimo da fare sulla seconda di servizio, sulla risposta, sul trovare fluidità e tempo d’impatto quando cerca di avvicinarsi alla riga di fondo per spingere, passaggio necessario anche se difficile. Questa vittoria però è la conferma di quanto sia giocatore, di quanto sia forte nei momenti caldi, della sua capacità di tirare fuori il meglio nei grandi contesti. Una vittoria che deve dargli ancor più fiducia, convinzione e spinta per crescere tecnicamente, sospinto da questa forza agonistica. Questo successo può cancellare finalmente quella fase grigia attraversata nella seconda metà del 2021, in cui troppi dubbi l’hanno fiaccato, finendo per impoverire anche il suo gioco, tornato flebile, troppo difensivo, poco incisivo. Questa vittoria è nettare purissimo di energia positiva. Quando hai un talento come suo, la positività è indispensabile, perché giochi sul momento, devi sentire la libertà che ti fa correre il braccio. Un talento a-la-Musetti vive di questo.
    Voglio fare i miei personali complimenti anche a Filippo Volandri, che nel weekend (e già nelle ultime finali di Davis) si è preso qualche critica ingiusta. Ha avuto molto coraggio a buttare in campo il più giovane ed esordiente per vincere il match decisivo (io al posto suo avrei fatto lo stesso), lo ha stimolato per tutto il match, tenuto calmo, focalizzato. Si è preso un rischio, perché un’eventuale brutta sconfitta poteva essere una mazzata micidiale per Lorenzo. Poteva brucialo. Ma lui conosce il “Muso” benissimo, l’ha visto lavorare in settimana. Ha sicuramente sentito che era il momento per dargli questa responsabilità, che era pronto ad accettare la sfida e dare il suo meglio per farcela. I grandi capitani hanno visione e coraggio. Oggi “Filo” ha dimostrato di essere un ottimo capitano, perché sembra ancora uno di loro, ma l’arguzia per stimolarli e spingerli al meglio.
    “Nemmeno a sognarlo un esordio così” ha detto Musetti a caldo, appena vinta la partita, ai microfoni si Supertennis. A volte i sogni diventano realtà, quando si è bravi a cogliere il momento.
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    Murray si affida di nuovo a Lendl, obiettivo la stagione su erba

    Murray e Lendl, tra poco li rivedremo in campo

    Andy Murray è a caccia di vecchie certezze, e forse per questo sceglie di tornare alle origini dei suoi maggiori successi. Lo scozzese si affida di nuovo alla “cura” Ivan Lendl, ex campione cecoslovacco con il quale riuscì a dare una vera svolta alla propria carriera e diventare campione a Wimbledon, e non solo.
    I due inizieranno a lavorare assieme dopo la trasferta USA di Indian Wells e Miami, con l’obiettivo di lavorare alcuni mesi per la stagione su erba, dove Andy crede di essere ancora competitivo. Infatti già da tempo Murray ha annunciato l’intenzione di saltare completamente i tornei su terra battuta in Europa, focalizzandosi sui prati.
    Adesso lo farà insieme al suo storico coach, con il quale riuscì ad elevare il proprio livello e finalmente imporsi negli Slam sconfiggendo i suoi grandi rivali (Djokovic, Federer e Nadal). Con la guida di Lendl, Murray  ha vinto due titoli a Wimbledon, gli US Open 2012 e due medaglie d’oro olimpiche.
    Il loro rapporto si interruppe per la prima volta nel 2014, poiché l’otto volte campione del Grande Slam non era disposto a impegnarsi a tempo continuo sul tour, come Andy desiderava. Nel maggio del 2016 i due tornarono insieme e il tennis dello scozzese decollò nuovamente, toccando probabilmente il suo apice: vinse il suo secondo titolo a Wimbledon e con una seconda parte di stagione esaltante concluse l’anno come numero uno del mondo. La partnership terminò formalmente nel novembre dell’anno successivo, con Murray già pesantemente debilitato del suo grave infortunio all’anca, che in seguito richiese due operazioni per esser risolto.
    Chissà se anche stavolta il supporto di Ivan riuscirà a risollevare la carriera di Murray. Di sicuro la guida dello “zar” è sempre stata molto efficace sul tennis di Andy, ma stavolta, con la protesi all’anca e milioni di km nelle gambe, sarà ancora in tempo per tornare tra i grandi?
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    Vajda: “Ero contrario ai giochi di Tokyo, lì abbiamo iniziato a separarci con Novak”

    Marian Vajda

    La separazione tra Novak Djokovic e Maria Vajda è uno dei fatti più importanti accaduti nel 2022 tennistico. Dopo i ringraziamenti di rito, lo slovacco ha parlato al media nazionale Sport.sk, spiegando il suo punto di vista sulla rottura con l’ex n.1 del mondo. Una frattura inaspettata che ha interrotto un percorso incredibile, fatto di 20 Slam e record inimmaginabili quando i due hanno iniziato a lavorare assieme. A detta di Vajda, la miccia che ha provocato la frattura è stata la decisione di Novak di giocare alle Olimpiadi di Tokyo, scelta che l’ex coach non ha affatto condiviso.
    “Abbiamo raggiunto un accordo ufficiale dopo le ATP Finals di Torino, anche se le cose si erano già guastate dopo la finale degli US Open contro Medvedev. Novak non è riuscito a vincere il suo 21esimo Slam e il Grande Slam nello stesso anno. Mi aveva promesso che sarebbe venuto a Bratislava per parlare con me e che in qualche modo avremmo finito tutto bene, ma ci sono stati momenti difficili e alla fine mi ha invitato a Torino dove abbiamo terminato il rapporto. Non era giusto che la decisione fosse comunicata nel corso dello scorso dicembre, piuttosto burrascoso, e con il suo viaggio sbagliato in Australia in seguito. Ma il giornalista Sasa Ozmo lo ha scoperto e pubblicato, quindi Novak non ha avuto altra scelta che rilasciare la nostra dichiarazione congiunta”.
    Ecco il passaggio in cui spiega i veri motivi dell’addio: “Le cose non andavano bene già da luglio. Agli US Open aveva esaurito gran parte delle sue forze dopo la fatica fatta alle Olimpiadi. Non ero favorevole alla sua partecipazione ai Giochi, i tempi erano troppo ristretti, troppo poco per prepararsi a vincere a New York visto lo sforzo psicofisico enorme che lo attendeva. Ovviamente ho capito il suo obiettivo, dare alla Serbia un oro. Questo ci ha portato a una frizione. E poi è arrivata la questione della non vaccinazione, il fatto che non giocherà molti tornei da non vaccinato e che ha già una squadra potente con Goran Ivanisevic a suo fianco. Dopo aver valutato tutte le circostanze, abbiamo deciso di comune accordo di interrompere la nostra collaborazione professionale”.
    Vajda è molto modesto quando gli chiedono sul proprio contributo ai successi di Djokovic: “Non è stato un percorso facile. Mi sono sempre fidato di Novak, devo dire che sono stato in grado di aiutarlo nella sua carriera e quindi c’è del mio merito nei suoi successi. È una soddisfazione enorme dopo tanto sacrificio. Anche se devo sottolineare che giocatori come lui non escono esattamente tutti i giorni. Oggi posso affermare di aver allenato il miglior tennista di sempre”.
    Si era scritto che Marian aveva scelto di lasciare Djokovic per starsene finalmente a casa dopo anni e anni sul tour. In realtà, dalle parole dello slovacco traspare la voglia di trovare un’altra sfida dopo una pausa: “Dopo tanti anni di viaggio, vuoi riposarti e trascorrere del tempo a casa. Ma so che non ci starò per sempre. Mi piacerebbe sperimentare qualcosa di nuovo più avanti, una nuova sfida con un altro giocatore, anche se l’asticella è molto alta. I migliori allenatori non sono sempre fortunati con i loro allievi. Lendl ha trionfato con Murray ma non si è adattato a Zverev o anche Agassi ha ottenuto quasi niente con Djokovic”.
    Vajda è sempre stato un porto sicuro per Djokovic. L’ha seguito per mano fin dai primi anni di carriera, assistendolo nel completamento tecnico (diritto e servizio, diventati colpi incredibili nel tempo) e agonistico. Da grande talento poco resistente nella lotta, Novak è diventato un muro, senza punti deboli, dominante. Il lavoro con il coach slovacco ha portato dividendi stellari. Vajda è stato certamente un coach attento e discreto, mai in prima pagina, dedito al lavoro e alla compattezza del team, accettando anche l’ingresso in squadra di personaggi ingombranti come Becker prima e Ivanisevic poi. È impossibile attribuire una percentuale della “mano del coach” ai successi di un giocatore, tuttavia appena Vajda vorrà rimettersi in pista, la sua esperienza, calma e serietà potrebbe far terribilmente comodo a tantissimi giocatori, giovani e non. Anche di casa nostra…
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO