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    Djokovic: “In partita provo un milione di emozioni, a volte il mio comportamento mi imbarazza”

    Djokovic nell’instervista a Vijesti (foto: Boris Pejović)

    Novak Djokovic confessa l’infinito amore per il tennis e la voglia di continuare la propria carriera nonostante l’età che avanza perché le tante emozioni che prova nel corso delle partite sono un’energia ineguagliabile e restano la strada per migliorarsi come persona. Tuttavia è consapevole che a volte tutto questo lo porta ad esagerare nelle sue reazioni in campo, provando un certo imbarazzo per alcuni suoi comportamenti. Il campionissimo ne ha parlato in una lunga intervista rilasciata al magazine montenegrino Vijesti, che si apre proprio con il suo rapporto col paese balcanico, quello dei suoi nonni.
    “Ho trascorso molto tempo in Montenegro negli ultimi quattro anni, soprattutto in estate o in primavera, quando sulla costa fa più caldo perché ho la possibilità di unire in qualche modo le vacanze e iniziare i preparativi per i tornei” racconta Djokovic. “Il tennis è uno sport che si gioca quasi tutto all’aperto, “inseguendo il sole”, come piace dire a noi tennisti, e quindi ho bisogno di queste condizioni. Sulla costa montenegrina mi trovo bene, sarò felice di ritornare quest’anno in quel periodo”.
    Il legame col Montenegro viene da lontano: “Le mie radici sono di qui, mio ​​nonno, il mio bisnonno, da Čevo sono scesi a Jasenovo Polje, Nikšić, e poi sono andati a Kosovska Mitrovica, e alla fine a Belgrado. Sono molto orgoglioso delle mie radici, cerco di mantenere i contatti con la famiglia allargata, ero anche ad un incontro a Jasenovo Polje qualche anno fa. Poi a un matrimonio a Sveti Stefan nel 2014: questi sono i ricordi più belli per me, non solo del Montenegro ma in generale della mia vita. Abbiamo chiamato i nostri due figli pensando anche al Montenegro: Stefan come Santo Stefano, Tara come il fiume Tara. Ci sono molte belle connessioni. Ho trascorso qui parte della mia infanzia, soprattutto perché abbiamo legami familiari ma anche perché il mare montenegrino è quello più vicino e più bello per tutti noi che veniamo dalla Serbia. Non sono venuto in Montenegro per un lungo periodo della mia carriera, quindi ho iniziato a tornarci di nuovo nel 2019 e ora non mi perdo nemmeno un’estate”.
    Novak afferma di aver recuperato dall’infortunio muscolare sofferto agli Australian Open: “Ho recuperato quasi al 100% dall’infortunio e sono pronto per nuove vittorie. Ho il via libera dall’équipe medica, posso allenarmi bene in visto del torneo di Doha. Ho avuto qualche infortunio in più ultimamente rispetto ai primi 15 anni della mia carriera. Probabilmente questo deriva dall’età, ma il mio corpo mi “ascolta” ancora, ho ancora una fiamma ardente dentro e la voglia di raggiungere altri risultati importanti“.
    Djokovic ricordiamo è a caccia del titolo n.100 in carriera. “Spero che il centesimo trofeo possa arrivare a Doha, in qualche modo lo inseguo da molto tempo. Grazie a Dio so che arriverà, vedremo quando e dove. Per quanto riguarda i tornei del Grande Slam, è una sfida più grande, un’impresa più difficile, ma credo di poter vincere ancora: se non credessi di poter competere a quel livello con i migliori tennisti del mondo, smetterei. Con la vittoria contro Alcaraz agli Australian Open penso di aver dimostrato di poter ancora competere per i trofei più importanti”.
    Djokovic ha spiegato in quale fase della sua carriera si trova attualmente, dal punto di vista mentale e psicologico. “In questo momento sono, come dire, a metà tra il desiderio e il bisogno di godermi i risultati raggiunti e mi avvicino alle partite e ai tornei un po’ più rilassato rispetto a quello a cui ero abituato; ma dall’altro lato non abbandono la mentalità di vincere e pensare che solo alzare il trofeo è un successo, il resto no. In qualche modo mi sono abituato a questo, il che forse è un bel “problema” da avere in questa fase della mia vita e carriera… Diciamo che sono rimasto un po’ sorpreso da quante persone hanno visto il mio piazzamento in semifinale agli Australian Open come un successo: forse suona un po’ stupido dirlo, ma per me quando qualcuno dice ‘hai fatto la semifinale…’ considerando quello che ho ottenuto nella mia carriera, non è quello che mi rende felice, non mi accontento. Queste sono tutte le emozioni e i pensieri che mi attraversano la testa, ma ho ancora la passione e l’amore per lo sport e la competizione e sono grato per il sostegno che ricevo. Quelle persone e quel supporto mi incoraggiano a continuare a viaggiare e a competere, mi danno la motivazione per nuove vittorie”.
    Novak così risponde alla domanda su dove trova la motivazione per andare avanti: “Per l’amore per il tennis e per lo sport. In secondo luogo, penso che attraverso il tennis cresco di più come persona, per quanto strano possa sembrare. Sul campo da tennis durante una partita provo un milione di emozioni, alcune delle più belle, altre terribili, e provo anche molti dubbi. È vortice di estasi, piacere, rabbia, tutto il resto… E in quelle occasioni, a volte mi imbarazzo anche per quello che sto passando e per come mi comporto… In ogni caso sono orgoglioso di poter affrontare tutto questo in modo umano e sportivo. Penso che questi siano i valori che lo sport trasmette e il motivo per cui le persone si identificano con gli atleti. Soprattutto negli sport individuali, dove devi prima battere te stesso per battere chi sta al di là della rete. Queste sono tutte le lezioni di vita che sto imparando e, in secondo luogo, sento davvero che con il mio gioco posso ispirare le generazioni più giovani a prendere in mano una racchetta, non solo nel nostro paese, ma anche nel mondo. Questo è ciò che mi motiva, mi dà davvero la forza”.
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    Nassar (direttore esecutivo PTPA): “Sinner si trova in una situazione ingiusta, una disputa tra WADA e ITIA”

    Ahmad Nassar, direttore esecutivo di PTPA

    Ahmad Nassar, direttore esecutivo della PTPA (il nuovo sindacato dei tennisti promosso da Djokovic e altri giocatori), si schiera dalla parte di Jannik Sinner nella delicata questione del caso Clostebol e sul nuovo giudizio al TAS di Losanna previsto per il prossimo aprile, affermando che la posizione in cui si trova il n.1 del mondo è ingiusta, nel bel mezzo di una disputa tra WADA e ITIA, mentre lo scopo dell’attività antidoping deve essere solo quello di trovare chi bara per alterare le proprie prestazioni. Un sistema che definisce “terribile” per gli atleti, con Jannik bloccato da mesi e mesi in una posizione incerta.
    Nassar si è espresso su X attraverso un lungo e dettagliato post in risposta ad appassionati che chiedevano lumi sulla posizione della PTPA dopo varie dichiarazioni del recente passato, alcune non chiarissime.
    “Il post con cui ero d’accordo il 28 settembre 2024 affermava specificamente ‘non è colpa di Jannik’. Non ho idea di come ciò possa essere interpretato come ‘concordo con la WADA’. È falso. Ho ripetutamente affermato nelle interviste che l’intero sistema è ingiusto per TUTTI i giocatori. E ho ripetutamente incluso Jannik, per nome, in quella valutazione” afferma Nassar, che poi entra maggiormente nel dettaglio col lungo post che riportiamo.

    So, when I say the entire anti-doping system is unfair, here’s what I mean. Warning – this is a long list 🙂
    1. The anti-doping system should be concerned with catching dopers. Dopers are those who are trying to improve their performance via illegal substances.
    2. Players care…
    — Ahmad Nassar (@ahmad4athletes) February 11, 2025

    “Quando dico che l’intero sistema antidoping è ingiusto, ecco cosa intendo. Attenzione: questi punti formano una lista bella lunga 🙂
    1. Il sistema antidoping dovrebbe preoccuparsi di trovare i dopati. I dopati sono coloro che cercano di migliorare le proprie prestazioni tramite sostanze non consentite.
    2. I giocatori sono interessati più di chiunque altro nel trovare i dopati. I giocatori vogliono e hanno bisogno di uno sport pulito e devono essere sicuri che i loro avversari stiano giocando secondo le stesse regole.
    3. Le sostanze illegali e le soglie de test per chi risulta positiv0 dovrebbero essere progettate tenendo presente il punto 1.
    4. Il punto 3 è quello che non accade. È come un doppio fallo (scusatemi per il gioco di parole). Quantità irrisorie, cose che in realtà non migliorano le prestazioni, ecc. Questo è l’inizio dell’ingiustizia per tutti.
    5. A complicare le cose, il processo dei test antidoping è poco pratico e oneroso per gli atleti che viaggiano per il mondo. È irrazionalmente gravoso e, ancora una volta, apparentemente più preoccupato per gli atleti che commettono “falli di piede” che per catturare che effettivamente si dopa. Questo è ingiusto e lo è per tutti.
    6. Poi entriamo nel dettaglio di cosa succede se qualcuno risulta positivo al test. Il sistema di appello deve funzionare per tutti ed essere coerente e fornire a tutti gli atleti il ​​giusto processo e la possibilità di difendersi. NON si tratta di favorire i dopati, si tratta di un sistema che funzioni correttamente e sia legale.
    7. Per quanto riguarda il punto 6, dobbiamo notare che @ptpaplayers lavora per tutti i giocatori. Il nostro lavoro NON è esprimere opinioni sulla colpevolezza o innocenza di un caso o di un atleta specifico. Il nostro compito è assicurarci che il sistema sia equo e funzioni per tutti. Un sistema rigoroso con un processo regolare e risorse per la difesa accessibili rende il punto 1 più realizzabile. Evita anche situazioni più sfortunate in cui la reputazione e la carriera dei giocatori vengono rovinate (troppi esempi da citare).
    7. L’accesso alle risorse per organizzare una difesa adeguata è un problema da sempre. Parte di ciò è naturale e rispecchia i problemi della società  (ad esempio, le persone più ricche possono permettersi gli avvocati). Ma questo è anche ingiusto per tutti i giocatori: coloro che non possono permetterselo perdono l’opportunità di organizzare una difesa adeguata, mentre coloro che possono permetterselo devono spendere i propri soldi per farlo.
    8. I sistemi di appello ITIA e WADA sono costruiti su queste (e altre) premesse imperfette. Ogni giocatore coinvolto nel loro sistema, anche quelli con risorse, è colpito da questa ingiustizia. Soprattutto considerando i mesi/anni che spesso ci vogliono per risolvere questi casi.
    9. Nel caso specifico di Jannik, è stato messo in una situazione ingiusta. L’ITIA sostiene di aver seguito il suo processo e le sue regole. La WADA non è d’accordo e sente la necessità di respingere l’ITIA. Sfortunatamente, questo non è stato un risultato sorprendente per persone come@TaraMoore92 e me. Ciò non significa che siamo d’accordo con la sostanza dell’appello della WADA o con la decisione originale dell’ITIA (vedi il punto n. 7 sopra). Né l’ITIA né la WADA stanno realmente contestando i fatti sottostanti nel caso di Jannik. Ciò è importante, ma anche ingiusto. Lui è, di fatto, coinvolto in una disputa politica/legale tra l’ITIA e la WADA. E sta ancora aspettando quasi un anno dopo che il suo caso venga completamente risolto. Di nuovo, ciò è ingiusto.
    10. Come spero sia chiaro ora, questo intero sistema è terribile per gli atleti (come gruppo e come individui), per i tifosi e lo sport in generale. Deve cambiare”.

    Una spiegazione dettagliata che entra nel merito della questione. L’attività antidoping deve essere quella del punto 1, con l’importantissima specifica del punto 3. Se come scrive Nassar di PTPA (riporto nuovamente): “Né l’ITIA né la WADA stanno realmente contestando i fatti sottostanti nel caso di Jannik”, ossia sono concordi che non ci sia stata attività e intenzione di agire per alterare le prestazioni, allora… di cosa stiamo parlando? Questa è LA domanda, e questa la ingiustizia che sta subendo Jannik Sinner da mesi.
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    Barazzutti intervistato a Buenos Aires: “Musetti può diventare un top 5. L’Italia vince perché si è creato un sistema”

    Barazzutti in campo a Buenos Aires con Musetti (foto La Nación)

    “Mi piace l’Argentina. Mia nonna, la nonna materna e altri parenti, vennero qui dopo la guerra, quando Buenos Aires era fiorente. Con Guillermo (Vilas) abbiamo passato tanto tempo insieme, molte battaglie. Eravamo giovani…”. Con un bel sorriso e un pizzico di nostalgia Corrado Barazzutti ricorda il proprio passato, sportivo e umano, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Nacion mentre prepara l’esordio del suo assistito Lorenzo Musetti all’ATP 250 da poco scattato nella capitale albiceleste. Barazzutti aveva un bel rapporto con Vilas, tanto aver condiviso più volte l’appartamento con lui nelle trasferte in giro per i tornei a cavallo degli anni ’70 e ’80. “Ricordo che una volta, con lui e Panatta, giocammo diversi tornei di seguito in Canada e negli Stati Uniti, ci spostavamo e poi dormivamo tutti insieme in una casa famiglia, per quattro settimane; Guillermo passava ogni notte a scrivere un libro. Ora so che la sua salute non è molto buona, mi dispiace molto”.
    Barazzutti nell’intervista parla di molti temi, soffermandosi sul grande momento del tennis italiano, sul dominio di Sinner e ovviamente anche su Lorenzo Musetti, con il quale lavora insieme a Simone Tartarini. “Musetti credo sia uno di quelli che gioca il miglior tennis del circuito. Sta migliorando tanto, deve lavorare sulla costanza del rendimento. Può essere uno dei migliori cinque al mondo. Con Lorenzo viaggio quindici settimane all’anno. E quando sono in Italia non ho tempo libero! Lavoro tutti i giorni, in accademia. Vorrei riposarmi la domenica (sorride), ma ho tre nipoti, 11, 8 e 6 anni, giocano tutti a tennis e quando vengono a trovarmi vogliono sempre che gli insegni. Il tennis è la mia vita e continuerà ad esserlo fino all’ultimo giorno”. Ascolta ancora il rock anni ’70 e non gli pesa stare tutti i giorni sul campo, nonostante a breve spegnerà 72 candeline.
    Forte della sua enorme esperienza maturata come giocatore e poi come coach, così spiega alla stampa argentina la chiave dei successi del tennis italiano, mai così forte nella storia, anche più di quando lui, Panatta e Bertolucci fecero sognare il Belpaese negli anni ’70 con la vittoria in Davis. “Non c’è un segreto per il successo del tennis italiano, le vittorie arrivano grazie a diverse cose. Abbiamo molte scuole per la base in cui lavoriamo bene. Ci sono buoni insegnanti. Poi abbiamo buoni allenatori per i professionisti, tecnici che girano il mondo con i giocatori che conoscono fin da bambini. Ad esempio Flavio Cobolli: ad allenarlo è il padre Stefano. Tartarini con Musetti, lo segue da quando era un bambino, e Vincenzo Santopadre lo ha fatto con Berrettini. Simone Vagnozzi con (Jannik) Sinner, sono tutti ottimi allenatori. Poi c’è una federazione che ha tanti soldi e può supportare i giocatori. Abbiamo preparatori atletici e fisioterapisti pagati dalla federazione per aiutare i team privati dei giocatori, un aiuto molto importante. Ci vuole anche fortuna ovviamente, perché capita di avere la materia prima, lavorare e i risultati non vengono… Sono cicli. Importante anche la presenza di tanti tornei in Italia così i giovani possono giocare con le wild card. La Francia ha più soldi dell’Italia; con il Roland Garros guadagnano 150 o 200 milioni di euro ogni anno e non hanno i nostri risultati. L’Italia si trova nella condizione ideale: materiale umano, allenatori, una federazione forte per aiutare, infrastrutture, tutto insieme. E per la prima volta nella storia abbiamo il numero 1 del mondo, una cosa incredibile“.
    Scontata la domanda su Sinner… Così Barazzutti: “In questo momento è un extraterrestre. Non è solo bravo, è fantastico! Gioca al livello di un giovane Djokovic, di un giovane Nadal, di un giovane Federer. Lui è al top, ritengo poi che gli altri giocatori non sono al suo livello. Alcaraz, quando gioca bene, è l’unico che può competere con Sinner, quando non ha alti e bassi; questa invece è la forza di Jannik, riesce a vincere anche quando non gioca bene. Oggi Sinner gioca al miglior tennis del mondo. Medvedev e Tsitsipas non giocano più così bene. Stiamo aspettando Rune, è giovane. Djokovic è destinato a smettere. I giovani che possono avvicinarsi sono Musetti, Rune, Shelton, i cechi Mensik e Machac, il brasiliano Fonseca, sono loro i nuovi giocatori che prenderanno il posto di Tsitsipas, Rublev, Medvedev, Ruud. Vedremo se i giovani raggiungeranno il livello di Sinner. Se non lo fanno, Jannik vincerà da adesso fino a… Jannik ha una testa molto forte“.
    Ci vuole molta testa per tenere questo livello di gioco nonostante la spada di Damocle della prossima sentenza del TAS… “Ha continuato a giocare  la sua faccenda e non sembra influenzarlo affatto” continua Barazzutti. “Non è facile, nessuno sa cosa accadrà. Alcuni dicono che non succederà nulla, altri che lo sanzioneranno per uno o due anni. Sinner è il numero 1 al mondo perché ha una testa fortissima. Ha la capacità di mettere da parte possibili forti interferenze alla sua carriera e giocare pensando solo al suo miglior tennis. Per alcuni Alcaraz gioca un tennis migliore e più attraente, ma Sinner fa sembrare tutto facile, quando in realtà non lo è. Ha una testa molto forte. È una persona calma. È empatico, umile. Non vuole essere una superstar. Gli piace la famiglia, gli amici, non cerca la notorietà. Lui è l’antidivo”.
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    Caso Vukov: conclusa l’inchiesta. WTA conferma la sospensione dell’ex coach di Rybakina

    Stefano Vukov ed Elena Rybakina

    Con uno stringato comunicato, la WTA ha comunicato che l’inchiesta indipendente su Stefano Vukov, ex coach di Elena Rybakina, si è conclusa e che la sospensione dell’allenatore “resta in vigore” per violazione del codice di condotta. Riportiamo il tweet della collega Reem Abulieli che riporta il comunicato originale.

    The WTA has concluded its investigation into Stefano Vukov and has announced that his suspension “remains in place”WTA’s statement below: pic.twitter.com/cjB2nexP52
    — Reem Abulleil (@ReemAbulleil) February 11, 2025

    Nel comunicato si legge che per proteggere i dati confidenziali dell’inchiesta, non saranno diffusi ulteriori particolari.
    Vukov ha allenato la ex campionessa di Wimbledon per anni, dal 2019 fino alla fine dell’estate scorsa quando il rapporto tra i due si è interrotto bruscamente e la giocatrice si è ritirata da US Open ufficialmente per problemi alla schiena. Di lei si sono perse le tracce per diverse settimane, fino alle parole pesantissime della giornalista russa Sofia Tartakova (molto vicina ai tennisti russi o di paesi che gravitavano nella vecchia URSS) che senza mezzi termini affermò che Rybakina aveva sofferto gravissimi problemi per il comportamento aggressivo ed eccessivo del suo allenatore, tanto da arrivare a chiedere aiuto alla famiglia per allontanarlo, sprofondata in un esaurimento nervoso, il vero motivo dell’allontanamento dalle competizioni. Pur non affermandolo con chiarezza, le indiscrezioni della cronista russa hanno subito fatto pensare che Elena abbia subito un qualche tipo di molestia, fisico o psicologica (o entrambe), e da qua l’indagine della WTA.
    Oltre alla indiscrezione, c’era un fatto: Vukov era stato cancellato dalla lista dei coach accreditati dalla WTA, senza ulteriori spiegazioni. Il diretto interessato negava ogni addebito a suo carico, anche che fosse in corso una indagine, ma a sua volta tagliò corto, senza entrare nei dettagli. Dopo mesi di incertezza, la faccenda divenne di dominio pubblico quando Rybakina ad inizio anno annunciò clamorosamente l’intenzione di far tornare Vukic nel suo team, al quale si era unito nel frattempo Goran Ivanisevic, che dopo quest’affermazione disse in modo secco di non sapere per quanto sarebbe rimasto a fianco di Elena, visti gli sviluppi… chiaro il riferimento al possibile ritorno di Vukov, certamente poco gradito. Rybakina tuttavia fu stoppata clamorosamente dalla stessa WTA, che fu costretta a confermare che Stefano fosse sotto indagine e quindi sospeso. Uscì infatti un articolo sul magazine USA The Athletic nel quale si riportava la sospensione di Stefano Vukov dalla Women’s Tennis Association per via di una violazione del Codice di condotta in corso di accertamento. La dichiarazione odierna conferma la conclusione dell’indagine e la sospensione di Vukov, che così non può allenare una professionista negli eventi WTA.
    La vicenda è lungi dall’essere chiarita, ma suona come una condanna per Vukov. Vedremo se in futuro potrà tornare ad allenare sul tour WTA oppure se trapeleranno altri dettagli. In questo momento l’importante è la salute e benessere di Rybakina, che certamente deve aver vissuto un periodo difficilissimo. Resta da capire il perché fosse tornata sui suoi passi, affermando che Vukov sarebbe tornato a suo fianco. Una storia che non avremmo mai voluto raccontare e che probabilmente è tutt’altro che conclusa.
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    Jaite (direttore ATP Buenos Aires): “Fonseca ha una famiglia sana, non si comporta come un divo”. Joao afferma: “Non ho bisogno di uno psicologo”

    Joao Fonseca a Buenos Aires

    Tutti matti per Joao Fonseca. A Buenos Aires è da poco scattato il classico ATP 250, principale e ormai tristemente unico torneo rimasto in Argentina, e nonostante nel main draw ci siano stelle come Zverev, Rune e i migliori tennisti locali, il giocatore più atteso e chiacchierato è sicuramente il 18enne brasiliano che ha destato enorme impressione dal finale della scorsa stagione e agli Australian Open. Il direttore del torneo Marin Jaite (ex buon giocatore negli anni ’80) ha rilasciato parole al miele per Fonseca, non solo sperando di riaverlo in futuro (la vicinanza con il torneo di Rio gioca a suo favore…) ma perché gli ricorda da vicino i modi, l’educazione e la mentalità di grandi campioni del presente e del passato.
    “La prima volta che lo vidi dal vivo fu l’anno scorso, a giugno, al Tenis Club Argentino Challenger, dove perse in semifinale e si faceva già notare con la sua presenza” racconta Jaite. “Mi sembra un ragazzino semplice, genuino, ma ha qualcosa di diverso. È calmo, molto educato. Lo vedi camminare e ha qualcosa di diverso. Osserva tutto con grande attenzione e ti trasmette qualcosa, non è il classico 18enne”.
    “Non si atteggia come un farebbe un divo” continua Jaite, “il suo manager mi ha detto che era molto contento che lo avessimo chiamato, inizialmente, per invitarlo. L’unica cosa che mi ha detto è che Joao era molto stanco, perché è partito presto dal Brasile per giocare un Challenger a Canberra, che ha vinto, poi ha giocato in Australia e la Coppa Davis, per questo ha chiesto di giocare al martedì. Sarà una bella partita con Etcheverry, anche se mi dispiace che uno dei due venga escluso, perché sono due tra i più attesi e si affrontano subito. Credo che Fonseca abbia tutto quel che serve per diventare un grande, ma dobbiamo vedere come si adatterà ad essere una persona molto conosciuta. Sono fiducioso per lui perché chi gli sta intorno mi sembra che abbia la giusta attitudine. Per quello che vedo mi ricorda molto Alcaraz, che arrivò qui quando aveva 19 anni e aveva intorno una famiglia molto sana, con persone molto ben inserite e serenità”.
    Jaite racconta che dal manager di Fonseca non è arrivata nessuna richiesta particolare per quanto riguarda il trattamento. Questo lo apprezza molto e racconta di come stia affrontando i suoi primi passi nel mondo Pro. “Noi lo trattiamo come se fosse uno dei top, con una camera superior in un albergo a cinque stelle, di fronte all’Obelisco. Ci hanno chiesto dei biglietti per questo martedì perché viene molta gente dal Brasile e ovviamente non ci sono stati problemi. Per noi è anche una scommessa sul futuro, per farci considerare bene nei prossimi anni. Sembra uno di quei giocatori che non sai se torneranno, come accadde all’epoca con Auger-Aliassime. Rafa, ad esempio, è arrivato nel 2005 da giovanissimo e ha impiegato dieci anni per tornare. La cosa bella, in questo caso, è che il torneo di Rio de Janeiro è a seguire e questo gioca a nostro favore”.
    “È un ragazzo molto educato, si comporta bene e rispetta tutti. Lo vedi fare quei piccoli, grandi gesti che parlano della sua buona educazione e di come sta cominciando a “capire il gioco” delle pubbliche relazioni. Un esempio? Stringe la mano ai membri dello staff, anche i giornalisti quando conduce interviste più intime, cosa che non tutti fanno (lo faceva Federer per esempio, quasi nessun altro). Esprimere rispetto e gratitudine, mostrare disponibilità con chi lavora per far funzionare un torneo non è una cosa da tutti. Ha carattere e ha la testa ben salda sulle spalle” conclude Jaite.
    Fonseca di par suo ha rilasciato poche dichiarazioni. Un paio tuttavia sono interessanti e riguardano come è stato salutato in Brasile al ritorno dall’Australia, con la bellissima prestazione e vittoria contro Rublev, e anche sul ritenersi abbastanza stabile e sereno da non sentire il bisogno di lavorare con uno psicologo, a differenza di moltissimi suoi colleghi, anche giovani.
    “La settimana scorsa ero in Brasile” racconta Joao sorridendo ai presenti. “Stavo camminando per strada per andare dal fisioterapista e alcune persone mi hanno fermato per fare delle foto. È stato strano perché è una cosa nuova per me. Dopo l’Australia sono successe cose nuove. Oggi ho molta più visibilità, sempre più persone hanno iniziato a riconoscermi. Internamente cerco di essere come sempre. Quando sono arrivato in Brasile mi sono accorto che tutti erano più attenti a me, ero diventato famoso”.
    Fonseca racconta di usare pochissimo il cellulare e di aver deciso di non guardare i social network nel corso di un torneo perché portano solo distrazione. La sua testa deve essere focalizzata solo sulla prestazione, e proprio la testa ritiene che sia uno degli aspetti più importanti per competere al massimo. “Non ho uno psicologo. Ho provato ma non ha funzionato, non mi piaceva. Se ne avrò bisogno in futuro ci andrò, ma penso di avere una buona testa per capire cosa succede intorno a me. Nella mia carriera le cose sono successe molto velocemente: sono passato da junior a raggiungere la top 100 nel mio primo anno da professionista. Essere umile e lavorare sodo è ciò che devo fare. Parlo tanto con il mio allenatore, i miei genitori, ho anche degli amici con cui mi apro, per ora mi trovo bene così”.
    “Non mi piace sentire paragoni perché ognuno ha il suo tempo. Guga è uno dei miei idoli ed è il grande idolo di tutti i brasiliani. Dicono che posso essere come lui, ma in realtà io voglio essere solo Joao, voglio fare la mia strada e spero un giorno di essere ricordato per questo, non per un confronto con un altro giocatore” conclude il brasiliano.
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    “Shapo”, non è mai troppo tardi

    Denis Shapovalov, campione a Dallas (foto ATP site)

    La fretta che affligge la società moderna è il vero male del secolo. Tutto e subito, colpa dell’incredibile sviluppo tecnologico che ci ha portato a fare mille cose tutte insieme e pretendere che ogni questione si possa fare, gestire ed ottenere con un click, scorrendo un dito su di uno schermo o via dicendo. Tutto poi deve essere eccezionale, grandissimo, incredibile. O arrivi al n.1 o niente, non c’è la via di mezzo. Si è perso il gusto dell’attesa e, nella vita come nello sport, la serena accettazione che non si possa vivere di superlativi; anche che la maggior parte delle volte si perde perché banalmente c’è qualcuno più bravo di noi, che ha lavorato meglio o possiede abilità superiori. Immagini te stesso al massimo perché senti di averne le qualità e il contesto intorno ti fa credere che la scalata sia lì a un passo, che non manchi proprio niente per farcela. Invece, non accettare i propri difetti è quel che ti fa cedere giù, sempre più in basso… Questo preambolo è necessario per inquadrare nel tennis l’accettazione della difficoltà nel maturare e raggiungere risultati importanti, anche quando si è animati da un talento vero, colpi incredibili e un potenziale notevolissimo. È quello che ha vissuto sulla propria pelle Denis Shapovalov, talento considerato epocale ma scivolato nell’ombra per colpa di problemi fisici e soprattutto una grave difficoltà nel crescere dal punto di vista personale, della mentalità e nella gestione dello stress che è implicito nel tennis. Il canadese è salito agli onori della cronaca per il bellissimo successo all’ATP 500 di Dallas, il suo più importante titolo in carriera, terzo in assoluto dopo Stoccolma 2019 e Belgrado 2024. Sono passati ben 5 anni dal primo alloro in Svezia, alla fine quella stagione, e il secondo in Serbia, alla fine dell’anno da poco andato in archivio. In questi cinque anni di mezzo ne è passata di acqua sotto ai ponti e il buon Denis ha vissuto qualche momento di grande spolvero, come la semifinale a Wimbledon 2021, ma anche e soprattutto una serie infinita cadute rovinose, bruttissime, figlie di ataviche debolezze tecniche e mentali. Dopo i gravi problemi fisici al ginocchio che hanno penalizzato il suo ultimo anno e mezzo, “Shapo” sembra rinato. Soprattutto, è un po’ cambiato.
    Già a Belgrado 2024 si era visto uno Shapovalov più calmo. Sereno forse ancora no, ma decisamente meno su giri, privo quell’attitudine un po’ “bullesca” che tanto lo ha penalizzato e obnubilato, rendendolo incapace di capire il contesto intorno a se, cosa stessa facendo l’avversario e quindi tarare giusto un minimo i suoi fendenti per applicare un briciolo di razionalità alla sua smisurata esuberanza. Questa settimana a Dallas si è avuta la conferma di quanto Denis stia migliorando nella gestione delle emozioni e nella selezione dei suoi colpi. Certamente il fisico è tornato in grande spolvero e le sue gambe formidabili sono tornate a generare tantissima spinta, ma è nella misura e lucidità ad aver fatto un deciso passo in avanti. Non puoi battere 3 top10 in un torneo (Fritz, Paul e Ruud) in match belli tirati se non riesci a tenere i nervi più saldi e giocare colpi non solo spettacolari ma anche efficaci al momento giusto. L’evidenza viene in finale, ieri sera vs. Ruud: 13 Ace nel primo set, molti tirati in momenti chiave. Il “classico Shapo” (o “sciupo” come bonariamente in passato l’ho ribattezzato in diverse brutte sconfitte…) lì avrebbe tirato a 300 all’ora per scappare emotivamente dal momento duro, o la va o spacca. Invece stavolta no, contro il tosto norvegese ha piazzato diversi Ace con un servizio controllato e preciso, come tanti sono stati i diritti calibrati con spin e quel mezzo metro di margine rispetto alle righe che sempre gli era mancato. Non ha perso il suo essere show-man, l’attacco un po’ spericolato e la spallata di rovescio a tutto braccio, ma quelli sembrano non esser più la base del suo gioco.
    Tanto e bene sembra aver lavorato Janko Tipsarevic, al suo fianco da un po’ di mesi. Il serbo è sempre stato tennista solido, in grado di contenere l’estro nella praticità, arrivando a risultati eccezionali in rapporto dal suo tennis. “Lui conosce cosa sto passando e cosa sento nel corso dei match, può guidarmi molto nel tornare al massimo livello. Ho sofferto tanti problemi fisici e di altro tipo, sono animato solo dalla voglia di tornare al massimo del mio potenziale, se ero arrivato in top10 non era stato per caso, sento di potercela fare di nuovo” aveva affermato il canadese lo scorso gennaio in Australia all’inizio dell’anno. Un focus superiore, che lo rende propositivo ma meno distruttivo. Questa era forse la parola che meglio descriveva il suo malessere agonistico in passato: una negatività che lo portava a non prendersi mai la responsabilità per i propri errori e problemi, trovando sempre un’ottima scusa per non fare un salto di qualità. Solo accettando i propri difetti e ascoltando chi ti è a fianco forse ce la puoi fare. È inutile riguardare i filmati delle proprie sconfitte esaltandosi per 3-4 giocate da Highlights se non cogli i motivi che ti hanno portato a sbagliare troppi colpi e gestire male emozioni e tattica, venendo sconfitto. Probabilmente Denis ha finalmente capito i veri motivi dei suoi problemi agonistici, e in campo lo si nota meno agitato, più calmo e pensante.
    Nel tennis la maturazione è un percorso del tutto personale, difficile e non privo di insidie. Shapovalov nella settimana di Dallas ha affermato di sentirsi molto tranquillo, con il suo team, la fidanzata e anche un piccolo cane con il quale si è messo a giocare prima dei match, ricavandone serenità. Forse la serenità era anche quel che gli mancava, troppo animato da una smania di arrivare che finiva per bloccarlo. “Questo successo non è solo mio, ma anche della mia squadra. Tutti hanno fatto un grande sforzo affinché potessi competere di nuovo al massimo e sentire fiducia nel mio ginocchio per esibirmi al mio miglior livello. Ci sono stati momenti in cui dubitavo di poter continuare a essere un tennista, quindi questo titolo significa molto per me perché ho attraversato un periodo in cui era impossibile giocare a tennis senza soffrire” ha affermato dopo il successo in Texas. “È chiaro che devo basare il mio tennis sull’essere aggressivo e conquistarmi il punto, ma sto cercando di essere più intelligente nella selezione dei colpi. Accumulare fiducia è vitale affinché ciò accada e la vittoria di questa settimana contro Fritz mi ha fatto capire che sono in grado di battere ancora i migliori”. Difficilmente in passato Denis affermava cose del genere, piuttosto si lagnava per qualcosa o assicurava che avrebbe battuto tutti a furia di pallate. Non è così che si vincono i tornei.
    C’è stato un altro passaggio nella finale di Dallas che rivela alla perfezione il “nuovo” Shapovalov. Tiebreak del primo set, lo gioca benissimo, aggressivo e in spinta. Commette un errore banale col diritto, ma rimedia subito servendo da campione e portandosi avanti 6 punti a 4, a due set point. Serve, attacca col diritto ma il passante del rivale è deviato dal nastro e perde il punto. Ecco, Denis 1.0 avrebbe bestemmiato contro tutte le divinità possibili invocando una sfiga atavica che lo perseguita proprio nei momenti cruciali, avrebbe perso focus e si sarebbe incaponito, con rabbia alle stelle, tirando tre pallate senza senso, ovviamente fuori, perdendo così il tiebreak, il focus sull’incontro e venendo irrimediabilmente sconfitto. Invece stavolta il Denis 2.0 non ha battuto ciglio, è tornato in risposta e si è preso il punto, il tiebreak, decollando quindi come un Concorde verso il meritato successo. Non c’è un altro sport come il tennis nel quale sia così decisivo accettare e gestire la frustrazione. Se Shapovalov finalmente ci riesce, beh, abbiamo ritrovato un grande talento ed è una bellissima notizia. Non è mai troppo tardi per maturare e svoltare. Ognuno ha i suoi tempi e modi. Denis forse c’ha messo un bel po’ e serviranno altre conferme prima di “cantare vittoria”, ma l’imperfezione è parte della bellezza di ciascuno di noi, è quello che ci rende unici e affascinanti. Proprio come quei colpi impossibili del canadese, quelli che fanno sognare…
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    Navone: “In Argentina i ragazzi devono formarsi anche sui campi veloci. Sinner? Tiene un ritmo superiore. Per il suo caso non c’è astio tra noi giocatori”

    Mariano Navone (foto ATP site)

    Il tennis maschile torna sul “rosso” con l’avvio della breve stagione di tornei in America Latina. Si parte con Buenos Aires, ATP 250 di lunga tradizione, poi Rio di Janeiro e Santiago. Solo tre tornei d’ora in poi nel calendario ATP (confermato anche per il 2026) per la delusione di appassionati, giocatori e sponsor in Sudamerica, ma evidentemente chi governa il tennis non crede nel potenziale commerciale del continente deprezzando anche la passione di milioni di persone ed agonisti. Chissà che un’eventuale esplosione al massimo livello del brasiliano Fonseca non possa cambiare le carte in tavola, per ora questo passa il convento tanto che in Argentina e Cile è aperto il dibattito sull’opportunità di insistere sugli storici campi in terra battuta o spostarsi maggiormente sul sintetico, ormai dominante ovunque. Ne ha parlato Mariano Navone, uno dei prossimi protagonisti a Buenos Aires, in un’intervista concessa a La Nacion nella quale spazia su molti temi, personali e del tour. L’argentino nelle prossime settimane sarà chiamato ad alzare al massimo il suo livello visto che a breve scadranno i 355 punti della finale conquistata a Rio; poi in aprile i suoi migliori risultati del 2024, la vittoria al Challenger di Cagliari, la finale e Bucarest e la semifinale a Marrakech. Proprio a Baires potrà aumentare il suo bottino e per questo sarà uno degli osservati speciali, ancor più dopo aver conquistato in Davis Cup il punto decisivo nella sfida in Norvegia, vittoria che l’ha portato in prima pagina nella stampa nazionale.
    “Nel volo di ritorno verso l’Argentina non riuscivo a dormire” racconta Navone, “l’emozione era sempre tanta. Giocare rappresentando una squadra è diverso. In uno sport così individualista come il tennis, quando ti ritrovi in una squadra e tutti si impegnano al massimo per tirare dalla stessa parte è una sensazione diversa. È fantastico”.
    L’intervista si focalizza sul discorso superfici. Navone è il classico “terraiolo”: è nato e cresciuto sul rosso, i suoi colpi e schemi sono prettamente quelli da campi da terra battuta. Per questo l’argentino riflette su come l’anno scorso per lui sia stato tutto nuovo dopo l’ascesa improvvisa e la classifica per giocare nei grandi eventi sui campi veloci. Un apprendimento che sta continuando. “Per il mio 2025 l’idea principale è mantenere quello che ho fatto l’anno scorso, mantenere la classifica, i risultati… Per farlo devo crescere come giocatore. Ho avuto bisogno di un periodo di adattamento, quindi sono diventato più competitivo. In Davis ho giocato meglio, in Australia a inizio anno ho fatto una bella tournée, non tanto come risultati ma come gioco. Ho giocato quattro partite e ne ho vinta una, ma quelle perse avrei potute vincere tranquillamente. Dopo aver giocato per molti anni solo sulla terra, tutto è cambiato e ho affrontato novità, come giocare sull’erba. È stato difficile. Ho imparato molto e sono cresciuto. È bello sapere che puoi essere un giocatore capace di competere tutto l’anno e non solo sulla terra. Voglio continuare a crescere, essere un giocatore più completo. Non sono mai stato il tipo che si pone un obiettivo di classifica, o di vincere un titolo ATP, perché questo ti mette pressione. Voglio dare priorità al miglioramento della tecnica e diventare più completo in ogni momento della partita”.
    23 anni per Navone, ma scarsissima esperienza al di fuori della terra fino all’anno scorso. Classico per chi è nato, cresciuto e rimasto in America Latina e Argentina per anni e anni, tra difficoltà economiche per viaggiare e una programmazione tesa a massimizzare le abilità apprese da giovane, come accadde in passo a Baez per esempio. Per questo è indispensabile che il movimento del suo paese guardi ai campi veloci per evolvere. “Il tennis argentino deve smettere di essere centrato sui campi in terra battuta e iniziare a formare i giovani anche sul cemento. È necessario che accada perché il circuito mondiale va lì. L’ATP, ultimamente, prende tutte le decisioni a favore del gioco sui campi in cemento. Sarà importante che i ragazzi crescano sempre di più sui campi veloci, che ci siano più campi in cemento in Argentina, che i club abbiano quella superficie, che mandino i ragazzi a giocare lì, a crescere… Gli europei che giocano molto bene sulla terra in inverno si allenano sul cemento indoor e lo fanno in modo naturale. Sarebbe importante anche per noi una crescita del genere a livello professionale. Ti dà altri strumenti. Il servizio migliorerà direttamente se giochi tanto sui campi in duro, inizierai a rispondere più dentro al campo che dietro. Giocare sul veloce tecnicamente ti insegna molte cose. Man mano che tutto diventa più veloce, devi essere sempre più perfezionista in tutti i movimenti. Sarebbe importante investire in questo perché aiuterà molto i ragazzi domani”.
    Così Navone vede Sinner: “Quello che distingue dagli altri è che lui è che riesce a mantenere un livello alto per quattro o cinque ore, fa pochi errori e gioca molto bene tutta la partita, non ha cali. Non l’ho mai visto fare una brutta partita con il rovescio, con il diritto inside out riesce a creare spazio, ha tante qualità. A livello mentale è costante. Non è facile mantenere il ritmo per così tanto tempo, la sua media supera quella degli altri e di molto. Penso che Carlitos (Alcaraz), quando sta bene e regge mentalmente, piò batterlo perché ha creatività e una serie variazioni che possono far uscire Sinner dalle sue certezze. Ciò che Sinner sta facendo è impressionante. Non perde mai, è il migliore”.
    Questo invece il suo pensiero sul caso Clostebol che vede coinvolto il n.1: “No, non ne ho mai parlato con lui, praticamente non ci parlo. Non lo vedi tanto nei tornei, è un ragazzo piuttosto timido, molto riservato, parla poco e poi io essendo intornio al n. 40 del mondo condivido con lui pochi spazi nei tornei. Quando è successa questa situazione (la positività, ndr), nello spogliatoio tra i giocatori si è parlato, ma ammetto che non ho visto astio contro di lui. È una faccenda molto personale, ognuno ha la sua reazione in merito”.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    ATP 500 Rotterdam: De Minaur troppo veloce e solido, la corsa di Bellucci si ferma in semifinale

    Mattia Bellucci a Rotterdam (foto ATP site)

    Il tennis è uno sport di situazione e nelle sue mille possibili variabili ci sono dei confronti di caratteristiche che proprio non funzionano. No Way dicono a Londra, dove il tennis è nato. Mattia Bellucci nella semifinale dell’ATP 500 di Rotterdam si è trovato di fronte Alex De Minaur, avversario perfetto per mandare in crisi i suoi punti di forza, senza possedere le qualità per diventare pericoloso e incisivo. Lo score impietoso della partita, 6-1 6-2 a favore di De Minaur, rende bene l’idea di come la fantasia, tagli e variazioni del lombardo siano state del tutto inefficaci a mettere in difficoltà l’australiano. Non ha pesato solo la maggior esperienza a questo livello, che pur si è vista, e magari anche un pizzico di brillantezza in meno di Mattia viste le tante partite giocate nel torneo a un livello finora sconosciuto. È proprio l’aspetto tecnico – tattico ad aver deciso la partita a favore dell’australiano: Bellucci non ha la potenza, il “punch” per sfondare nello scambio De Minaur, come fa ad ogni occasione Sinner per esempio che va sopra alla spinta dell’australiano e non gli lascia scampo; in questo confronto i tagli e variazioni di Mattia non fanno male perché Alex è un fulmine nel reagire e adattarsi coi piedi a ogni contesto, traiettoria o angolo, e la modesta potenza dei colpi di Mattia non manda mai in crisi l’avversario, troppo bravo e rapido ad avventarsi sulla palla e imporre il suo ritmo superiore, sbagliando complessivamente pochissimo.
    “Demon” è stato perfetto nel giocare pulito, solido, lucido, andando dritto per dritto per mettere grande pressione a Mattia, incapace così di creare, toccare la palla e variare, finendo fuori ritmo per uscire da uno scambio dove alla lunga veniva stroncato. Inoltre il suo servizio mancino e i suoi ganci angolati sono stati inefficaci (tantissimo rispetto a ieri vs. Tsitsipas) poiché sul lato del rovescio Alex è fortissimo, sente la palla e ha un timing formidabile anche in allungo. Solo rispondendo con massima aggressività e buttandosi a rete con attacchi perfetti forse poteva esserci partita, ma De Minaur è stato troppo bravo a comandare e gestire, rincorrendo alla perfezione ogni palla corta e chiudendo come un gatto sul net. Non c’è stata una sola situazione tattica a favore del nostro bravo giocatore che si è ritrovato come disarmato, non potendo nemmeno contare sull’esperienza per cercare un appiglio, una via d’uscita. Anche il tabellino di fine match è impietoso: ben 30 errori e fronte di 7 vincenti (per tennistv) per Bellucci, numeri che purtroppo confermano come sia stato in grave difficoltà e nettamente sconfitto.
    Non c’è molto da commentare sull’andamento del match. De Minaur è in grande forma, sia fisica che tecnica. È reattivo, veloce, in fiducia, lo si è visto fin dai primi punti per come ha gestito con totale scioltezza ogni tentativo di Bellucci di mandarlo fuori ritmo e fuori posizione, colpendo pure diritti e rovesci di contro balzo senza perdere controllo o profondità. Questo forse ha ancor più mandato in crisi Mattia, la sensazione di impotenza di fronte ad ogni tentativo rischiato. Ha cercato di aprire l’angolo a tutta, e Alex ha corso come un fulmine appoggiandosi sulla gamba esterna e rimettendo palle precisissime e profonde; ha cercato di alzare la parabola e rallentare, ma l’altro ha anticipato e schiacciato la palla senza problemi; ha rischiato la via della rete, ma il passante di Alex ha marcato presente. Ha pure rischiato la palla corta Mattia, ma qua “amico mio” vai a stanare un tigre che prontamente ti ha sbranato vista la velocità di “Demon” nel correre avanti. Oggi Bellucci si è ritrovato davvero un Demone davanti, un tennista attrezzato delle qualità per rispondere ad ogni mossa e risolvere i problemi. Bravo lui, poco da dire. Del resto nello sport e nel tennis in particolare è così che va, tende a vincere chi è più bravo ad adattarsi alla situazione e colpi proposti dall’avversario. Bellucci ha colpi e schemi clamorosi per per mettere alle corde moltissime tipologie di giocatori, non un De Minaur, così rapido e capace di adattarsi. Mattia non ha proprio la forza fisica, la Criptonite per sconfiggere l’australiano.
    Resta un torneo eccezionale per Bellucci, una settimana che lo issa tra i primi settanta nel ranking ATP e che regala al grande tennis un giocatore diverso, uno che ti fa divertire e che sempre vale il prezzo del biglietto. Benvenuto Mattia!
    Marco Mazzoni

    La cronaca
    Il match inizia con De Minaur alla battuta, ma è Bellucci a regalare spettacolo con una grande rincorsa e addirittura il vincente col colpo sotto le gambe in avanti. Alex è un fulmine nella copertura del campo, comanda lo scambio e accelera con precisione confermando l’ottima forma di quest’inizio di stagione. 1-0. Bellucci si scontra subito con le insidie dell’ottima risposta di De Minaur, in particolare di rovescio che va a depotenziare la curva mancina del suo servizio, che a Tsitsipas ha dato discretamente fastidio e che ha sorpreso Medvedev. Infatti nel primo turno del lombardo c’è lotta e un errore di rovescio ai vantaggi costa un’immediata palla break da difendere. Purtroppo un nastro beffardo allunga la seconda palla di battuta, per il doppio fallo che significa BREAK De Minaur, 2-0. Può fare corsa di testa Alex e gioca sciolto, solidissimo, pochi fronzoli e tanta profondità, e Bellucci non regge l’intensità del rivale cercando variazioni perdenti. Solo 13 minuti, 3-0 ADM, solo un punto ceduto nei suoi due game dal “canguro”. E come si allunga l’australiano, è bravissimo a gestire i tagli di Mattia, gli propone sempre un palla in più e mai banale. Un paio di errori in scambio aiutano Bellucci, muove lo score, 3-1. L’azzurro inizia a rispondere (ne trova una bellissima), ma De Minaur è un fulmine nell’adattarsi ai tagli del nostro giocatore, li gestisce senza affanno, e Bellucci manca del “punch” per mandare in crisi nello scambio il rivale. 4-1 De Minaur, propositivo, rapido e in comando dello scambio. Bellucci sbaglia più dei match precedenti, forse è anche un filo meno brillante fisicamente viste le tante partite giocate dalle qualificazioni, e poi la risposta di De Minaur è pungente, come quella di rovescio sullo 0-15. Sotto 0-30 Mattia chiede il massimo al servizio, non può farne a meno… Trova due ottime battute, poi sul 30 pari arriva lo scambio più lungo del match e alla fine è De Minaur a prenderselo perfetto nell’appoggiarsi alla palla non così potente dell’italiano. C’è un’altra palla break. Bellucci fa tutto bene, spinge tanto e tira due accelerazioni a tutta, ma non basta perché “Demon” è un vero demonio e tutto rimanda. Non basta un colpo sotto le gambe a distrarre Alex, si prende il secondo BREAK, 5-1. Prova ad alzare il ritmo Mattia, ma De Minaur non sbaglia MAI, rimette tutto e lo fa bene, profondo, intenso. 40-30 e Set Point per Alex. Con un diritto vincente (palla pure “aggiustata” da nastro) De Minaur chiude il set 6-1. Incredibile il 29% di prime palle dell’australiano, ma nonostante tutto ha dominato lo scambio e messo in crisi Bellucci con la risposta. Bellucci troppo leggero per mandare in crisi la velocità del rivale.
    Secondo set, Bellucci scatta alla battuta. Non trova punti diretti col servizio, e commette un doppio fallo, ma grazie a una discesa a rete in contro tempo vince il game, 1-0. Ci prova al massimo in risposta Mattia, fa bene perché lasciare il tempo di gioco in mano all’avversario è la tattica peggiore, ma va sopra ritmo e sbaglia per primo. E nemmeno la smorzata funziona perché nonostante sia ben eseguita “Demon” ci arriva così bene da rimettere la palla profondissima. È dura per l’azzurro, l’avversario ha tutte le carte per metterlo in difficoltà. Quando si scambia verticale, dritto per dritto, Alex mette tanta pressione a Mattia che non riesce a creare, toccare la palla e variare, ma anzi sbaglia portato fuori ritmo. Anche il S&V non funziona, ancor più se va a sbattere sulla risposta di rovescio di ADM. Niente, la palla corta è un suicidio per Bellucci, De Minaur arriva tocca bene e chiude. Palla break… e il diritto troppo avventato costa caro all’azzurro. BREAK, 2-1 De Minaur, in totale controllo del match. C’è un dato impietoso nel match: Alex non sbaglia quasi niente, Mattia molto per cercare di creare qualche condizione per invertire l’inerzia. Non fa fatica De Minaur, si appoggia alla perfezione alle palle di Bellucci, ne gioca anche qualcuna di contro balzo e con controllo. Troppo bravo oggi, 3-1. Non c’è un game comodo per Bellucci, risponde bene De Minaur e pure sul net trova tocchi molto incisivi. 15-30 e poi 15-40 con un diritto fulminante lungo linea. Troppo rapido nell’anticipare sulla palla troppo morbida dell’azzurro. Niente, errore banale scambio di Mattia. BREAK, 4-1, è la resa. L’incontro termina 6-2 senza altre scosse. Bravo De Minaur, davvero top10 meritato e solidissimo, è andato a nozze con il tennis troppo leggero di Mattia. Bellucci esce tra gli applausi. A Rotterdam è “entrato in società”, il suo gioco così variopinto e diverso affascina. Benvenuto!

    Alex de Minaur vs Mattia Bellucci ATP Rotterdam Alex de Minaur [3]66 Mattia Bellucci12 Vincitore: de Minaur ServizioSvolgimentoSet 2A. de Minaur 0-15 15-15 15-30 30-30 40-30 ace5-2 → 6-2M. Bellucci 15-0 30-0 40-05-1 → 5-2A. de Minaur 0-15 15-15 30-15 30-30 df 40-304-1 → 5-1M. Bellucci 15-0 15-15 15-30 15-403-1 → 4-1A. de Minaur 0-15 15-15 30-15 40-152-1 → 3-1M. Bellucci 0-15 15-15 15-30 30-30 40-30 40-40 40-A1-1 → 2-1A. de Minaur 15-0 30-0 30-15 30-30 40-300-1 → 1-1M. Bellucci 15-0 30-0 40-0 40-15 df 40-300-0 → 0-1ServizioSvolgimentoSet 1A. de Minaur 15-0 15-15 15-30 30-30 40-305-1 → 6-1M. Bellucci 0-15 0-30 15-30 30-30 30-404-1 → 5-1A. de Minaur 15-0 15-15 15-30 30-30 40-303-1 → 4-1M. Bellucci 0-15 15-15 30-15 40-15 40-303-0 → 3-1A. de Minaur 15-0 30-0 40-02-0 → 3-0M. Bellucci 15-0 30-0 30-15 30-30 40-30 40-40 A-40 40-40 40-A df1-0 → 2-0A. de Minaur 15-0 30-0 40-0 40-150-0 → 1-0

    Statistica
    De Minaur 🇦🇺
    Bellucci 🇮🇹

    STATISTICHE DI SERVIZIO

    Valutazione del servizio
    288
    190

    Ace
    1
    0

    Doppi falli
    1
    2

    Prima di servizio
    18/44 (41%)
    24/45 (53%)

    Punti vinti sulla prima
    14/18 (78%)
    17/24 (71%)

    Punti vinti sulla seconda
    18/26 (69%)
    5/21 (24%)

    Palle break salvate
    0/0 (0%)
    0/4 (0%)

    Giochi di servizio giocati
    8
    7

    STATISTICHE DI RISPOSTA

    Valutazione della risposta
    263
    53

    Punti vinti sulla prima di servizio
    7/24 (29%)
    4/18 (22%)

    Punti vinti sulla seconda di servizio
    16/21 (76%)
    8/26 (31%)

    Palle break convertite
    4/4 (100%)
    0/0 (0%)

    Giochi di risposta giocati
    7
    8

    STATISTICHE DEI PUNTI

    Punti vinti al servizio
    32/44 (73%)
    22/45 (49%)

    Punti vinti in risposta
    23/45 (51%)
    12/44 (27%)

    Totale punti vinti
    55/89 (62%)
    34/89 (38%) LEGGI TUTTO