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    Murray: “Djokovic è il più efficace nello scegliere il colpo migliore per la situazione, ma non negli ultimi tornei”

    Andy Murray negli ultimi giorni è stato particolarmente attivo con i media e insieme Gael Monfils nel progetto “Twitch stream” per l’ATP. Tra le sue interessanti dichiarazioni, spiccano le parole su Novak Djokovic. Secondo lo scozzese, il calo di risultati del n.1 da Roland Garros a fine stagione è dovuto non solo a motivi fisici […] LEGGI TUTTO

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    ATP Finals: Medvedev è il “Maestro” 2020. Sconfigge Thiem in tre set in una partita tattica, varia e spettacolare

    Daniil Medvedev

    Daniil Medvedev chiude alla grande il 2020 vincendo per la prima volta le ATP Finals, le ultime a Londra alla O2 Arena. Ha sconfitto un ottimo Dominic Thiem per 4-6 7-6 6-4, in una finale davvero bella, varia e intrigante. C’era attesa per questa finale, “la migliore possibile” se il tennis vuole guardare avanti, trovare nuove rivalità e nuovi grandi campioni, ma lo spettacolo offerto dai due è andato oltre alle previsioni. Allo scorso US Open, Dominic e Daniil avevano giocato una bella partita, ma più ricca di tensioni ed errori che di qualità. Oggi i due si sono sfidati a tutto campo, di forza ma soprattutto di fioretto e di testa, e questo ha regalato al pubblico televisivo uno spettacolo tennistico che non si vedeva da tempo.
    E’ stata una partita molto particolare, con fasi estremamente tattiche ed altre di tennis più verticale e rapido, con molte discese a rete. Un match quasi d’altri tempi e soprattutto un bello spettacolo, perché c’è stata grande varietà, molti cambi di ritmo in un tennis assai cerebrale e mai banale. Non uno sfiancante braccio di ferro “mortale” a massima rotazione, ma un gioco più raffinato, con palle a volte lente e tagliate, altre velocissime, in cambi di ritmo spettacolari. Tennis ragionato, anche da parte di Thiem, che troppo spesso viene relegato al ruolo di “picchiatore palestrato”. Il tennis dell’austriaco è sempre molto energetico, ma oggi ha disputato una partita diversa: non riuscendo a sfondare il rivale di solo pressing, il colpo più decisivo nel suo match dopo il servizio è stato il back di rovescio, arma grazie a cui ha tolto ritmo e punch al rivale, guadagnando tempo e spazio per l’affondo. Medvedev infatti si appoggiava benissimo alla potenza di Thiem, e i migliori momenti dell’austriaco sono venuti quando riusciva a girarsi col diritto dopo aver rallentato per spingere cross o inside out; o rischiando una botta lungo linea di rovescio clamorosa. Thiem è andato molto vicino a vincere la finale: avanti di un set, a metà del secondo ha avuto alcune occasioni quando Medvedev ha mixato così tanto le soluzioni da finire lui stesso in confusione. Lì il russo è stato bravo a reggere, ha trovato alcuni servizi eccellenti ma soprattutto è stato coraggioso, con discese a rete continue per mettere pressione al rivale. E bravissimo anche nel tiebreak, quando sotto 0-2 ha infilato 7 punti di fila.
    Medvedev ha complessivamente meritato il successo perché nell’arco di un match molto vario e tattico è stato quello più propositivo e con più spesso il pallino del gioco in mano. Ha governato i ritmi, con palle lente d’incontro, tagli e quindi accelerazioni improvvise; è stato ottimo nel credere nel proprio gioco sotto rete, verticalizzando nei momenti chiave e mettendo fretta a Thiem, che invece necessita di spazio per aprire e colpire. Medvedev ha mostrato un campionario completo, con cui tessere una ragnatela che ti avvolge e poi ti stritola, portandoti all’errore o subendo un’improvvisa fiammata. In condizioni indoor oggi Medvedev è probabilmente il più forte, come dimostra la doppietta Bercy-Masters con cui ha chiuso il 2020: 10 vittorie. Soprattutto Medvedev in queste Finals ha battuto tutti, inclusi i tre migliori in classifica: Djokovic, Nadal e Thiem. Non era mai accaduto alle Finals. Applausi, ma anche a Thiem, che ha disputato un bellissimo torneo ed una ottima finale, persa davvero di poco.
    Marco Mazzoni

    Ecco la cronaca della finale.
    Si inizia alle 18.14 ora del Big Ben, con Medvedev alla battuta. Molto aggressivo il russo, spinge e viene avanti, regalando anche una volée bassa di rovescio delicatissima e tecnicamente ineccepibile. Dopo un doppio fallo, con un paio di Ace muove lo score, 1-0 Medvedev. Daniil risponde ai servizi di Dominic, che all’avvio non riesce a sfondare e anzi è costretto a lavorare col back di rovescio per rubare tempo e quindi spingere. Si va ai vantaggi e arriva la prima palla break per il russo. Servizio esterno e botta col diritto, Thiem la cancella a suo modo, di forza. Tiene il game di servizio l’austriaco, dopo aver cancellato col servizio una seconda palla break. Due minuti la durata del primo game, undici quella del secondo… In quest’avvio Daniil non soffre la spinta di Dominic, a meno che non trovi un’accelerazione a tutta prendendosi un grande rischio; e gli unici punti che l’austriaco vince rapidamente sono quelli in cui parte con una prima quasi vincente. Segnale evidente di come il russo sia superiore nello scambio. Il set avanza seguendo i turni di servizio, fino al quinto game. Thiem vince 4 punti di fila, grazie ad ottime difese (ed un disastroso smash di Medvedev), procurandosi la prima palla break del match. Doppio fallo! Medvedev regala letteralmente il break a Thiem, partendo da 40-0. 3-2 e servizio Thiem, primo allungo del match. Imbufalito, il russo commette altri errori, infastidito dal sentirsi in comando nel gioco ma indietro per i troppi errori. 4-2 Thiem, con qualche grattacapo, ma consolida il vantaggio. Dominic ora serve bene, scegliendo principalmente la botta al centro, e scaraventando una mazzata cross subito dopo; Medvedev non riesce a fare la differenza con la risposta, 5-3 Thiem. Daniil resta in scia, Dominic va servire per chiudere il primo set sul 5-4. Il campione di US Open gioca con attenzione, sotto 15-30 stringe l’angolo a tutta col diritto, sbattendo Medvedev sui teloni. Un’ottima prima gli vale il set point dopo 48 minuti di tennis. Fortunato Thiem nel punto decisivo: Medvedev comanda, affonda, corre a rete ma un passante al centro è deviato in modo beffardo dal nastro, imprendibile per il russo. 6-4 Thiem, un set vinto con quel break maldestramente regalato da Medvedev. I numeri dei due sono praticamente identici, solo 2 vincenti in più per l’austriaco.

    Secondo set, si inizia con Daniil alla battuta. Facilmente si porta avanti 1-0. Risponde sicuro “Domi”, 1 pari. Scambi più brevi in quest’avvio di secondo, i due servono bene e cercano l’affondo più velocemente, o corrono avanti. Un rovescio lungo linea splendido vale al russo il punto del 2-1. Medvedev cerca con più insistenza l’accelerazione lungo linea (soprattutto di diritto) dopo aver mosso il rivale. Stessa tattica per Thiem, ma col rovescio lungo linea, dopo averne giocato uno in back, per rompere il ritmo e guadagnare tempo. Quinto game, come nel primo set, suona l’allarme in casa Russia. 30 pari, Medvedev rischia una botta lungo linea ma gli esce di un niente, è palla break per Thiem. Ace! Si salva il russo, molto aggressivo in questa fase, deciso ad accelerare i tempi nello scambio rispetto al primo set, molto più tattico e contraddistinto da scambi lunghi. Si porta avanti 3-2, senza break. Settimo game, Thiem lavora benissimo col back, Medvedev va fuori ritmo e si innervosisce. 30 pari, troppa fretta del russo, che sparando un diritto lungo in scambio offre un’altra palla break al rivale, pericolosissima. Medvedev si prende un rischio totale, andando a rete dietro al servizio e nemmeno giocando una volée ottima, non punita da un errore in avanzamento di Thiem. Un altro errore in spinta costa al russo la seconda palla break del game. Ace, si salva col servizio (settimo del suo match, secondo del set ed entrambi su palla break). Stavolta è Dominic a regalare, tirando lungo un diritto a campo aperto dopo uno scambio infinito. Ma Medvedev è ora in confusione: prova una smorzata che nemmeno arriva a rete, continua a scendere a rete alla garibaldina, si salva solo grazie al servizio e si porta 4-3. Ottavo game, stavolta è Thiem ad aver fretta, e continua a sbagliare col diritto, come nel gioco precedente, quando ha graziato il rivale. 15-30. Ace. Sul 30 pari arriva uno scambio bellissimo, ricco di cambi di ritmo e variazioni, lo chiude il russo con un bel cross. Palla break Medvedev! Bordata di diritto, sulla riga, grande Thiem a cancellarla. Il match è tornato molto tattico, lunghi scambi, cambi di ritmo, c’è un buonissimo spettacolo tecnico e tattico. Dal 4 pari il set scorre sui servizi, sempre con giocate tattiche e divertenti. Medvedev si porta 6-5, tutta la pressione è sulle spalle di Thiem al servizio. Ha spalle larghe “Domi”, a 15 vola al tiebreak.
    Inizia male Daniil, comanda lo scambio ma il diritto gli muore sul nastro. 1-0 Thiem. Medvedev comanda un lungo scambio di back e vola a rete, vincendo un punto alla risposta. Continua a spingere, 2 pari e 3-2 Medvedev. Bravo il russo ad aggredire la seconda dell’austriaco, corre avanti e Thiem sbaglia il passante. 4-2 Medvedev, quattro punti di fila per il russo. Scambio rapido, angolo aperto, Thiem sparacchia out un diritto in corsa. 5-2 Medvedev, ora al servizio. 6-2 e quattro set point per Daniil. Ace! 7-2, sette punti di fila e un set pari. Bravo Medvedev a reagire ad un momento di grande difficoltà a metà secondo set, quando il match pareva indirizzato dalla parte dell’austriaco, e dominare il “decider”.
    Terzo set, Thiem alla battuta. Non inizia bene Dominic, niente prima e diritti lunghi. 0-30. Reagisce alzando il ritmo, ai vantaggi vince il primo game del terzo. Medvedev tesse la sua tela, di nuovo non da alcun ritmo: palla alta, palla bassa, tagli e poi immediata bordata. Thiem perde sicurezza, e nemmeno il servizio lo assiste. Un rovescio tirato malissimo gli costa un terribile 0-40, tre chance per il russo per volare via. Con forza e coraggio l’austriaco si salva, grazie ad alcune di prime finalmente precise. 2-1 Thiem. Si segue i servizi fino al quinto game, quando un diritto forzato out di Thiem gli costa una palla break. Con potenza estrema la cancella, grande diritto cross. Il game è spettacolare, con alcuni scambi mozzafiato, a tutto campo, che mettono in mostra la classe di entrambi. Medvedev finalmente riesce a strappare il servizio a Thiem alla terza chance nel game, con un attacco contro tempo chiuso di volo. Scaltro come un rapace. Break Medvedev, avanti 3-2 e servizio, e proprio col servizio consolida il vantaggio, portandosi 4-2 (pure un paio di errori di Thiem, un po’ nervoso). Dominic trova un bel game di servizio, resta in scia 3-4, ma deve trovare un gran game in risposta per tornare in partita. L’ottavo game è ben giocato dal russo, tiene l’iniziativa e non lascia spazio al rivale (ha perso solo 5 punti al servizio nel terzo set in 5 game). 5-3 Medvedev, ad un passo dalla vittoria. Thiem serve per restare nel match, ma commette un paio di gravi errori (incluso uno smash) che gli costano il 15-30. Di rabbia avanza e si porta 4-5. Medvedev serve per il match. Inizia bene col servizio, 30-0; non molla niente Thiem, con un rovescio clamoroso si riporta 30 pari, ma sbaglia la risposta seguente. Match Point Medvedev. Servizio esterno, vincente. Game Set Match, Medvedev è il 51esimo Maestro, chiudendo alla grande la stagione con la doppietta Bercy-ATP Finals. 10 vittorie di fila, ha vinto tutti i match e sconfitto tutti i migliori. Applausi anche a Thiem, che non ha mollato fino al match point e giocato un torneo eccellente, con la perla assoluta della vittoria su Nadal nel girone, partita più bella del torneo insieme alla finale.
    Si chiude qua la stagione ATP 2020 (Challenger a parte). Speriamo a breve di aver notizie sul calendario 2021, e soprattutto che a gennaio, in qualche modo, il tennis riparta in sicurezza.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Australian Open nel caos: possibile slittamento a marzo o aprile

    Rod Laver Arena a Melbourne

    Arrivano notizie tutt’altro che rassicuranti dall’Australia. Secondo i media nazionali (tra cui l’affidabile news.com.au), le trattative tra governo del paese ed organizzatori del primo Slam stagionale sono in una fase di stallo, visto che le autorità non hanno alcuna intenzione di cedere sull’obbligo di quarantena “dura” per i giocatori in arrivo dal di fuori del paese, per proteggere la popolazione da una temutissima nuova ondata di Covid-19. Le politiche molto restrittive adottate nell’ultimo periodo hanno portato ad ottimi risultati (il numero di contagi e soprattutto decessi è infinitamente minore rispetto agli altri continenti), nessuno vuole prendersi la responsabilità di guastare lo status quo e rischiare di compromettere i risultati raggiunti.
    Per questo le richieste avanzate da Craig Tiley e tutto lo staff di tennis Australia pare siano state respinte con fermezza. Questo è un problema enorme per il torneo, poiché di voli per l’Australia non ce ne sono moltissimi, ed i giocatori dovrebbero già iniziare a programmare il viaggio per arrivare in tempo per i primi di gennaio.
    Il premier dello stato di Victoria Daniel Andrews ha affrontato la questione questa mattina (in Australia), è emerso un rapporto secondo il quale una decisione finale verrà presa nei prossimi tre giorni. Il rapporto dell’analista di tennis australiano Brett Phillips ha rivelato che l’Australian Open 2021 sarà ritardato fino a tre mesi, mentre i funzionari di Tennis Australia stanno cercando di trovare una soluzione con ATP e WTA per questo slittamento importante, che avrà ripercussioni significative sull’intera stagione 2021. Phillips ha dichiarato a SEN Radio a Sydney che l’evento sarà sicuramente ritardato, ma non è stata raggiunta una decisione finale in merito alla quantità del ritardo, settimane o addirittura mesi.

    Phillips  ha ammesso che “sono tempi incredibili per Tennis Australia. Non vorrei essere un amministratore sportivo in questo momento… L’anno prossimo non si tornerà alla normalità per tanti sport. La mia sensazione, proprio sulla situazione che è accaduta a Victoria negli ultimi sette o otto mesi, e sul nostro Premier, che ha ricevuto un bel po’ di critiche per la gestione delle quarantene all’inizio della pandemia, è che stiano adottando un approccio molto cauto. Ad oggi ho la sensazione che l’Australian Open sarà rinviato forse a marzo o aprile. Questo è sicuramente uno degli scenari che era sul tavolo, di cui si è parlato. Non c’è dubbio che gli Australian Open non si svolgeranno nella data prevista“.
    È già stato annunciato che la versione junior degli Australian Open non si disputerà nel 2021 nel tentativo di ridurre il gruppo di 1500 giocatori, staff e funzionari che dovrebbero arrivare a Melbourne Park.
    Ecco le ultimissime dichiarazioni del premier Daniel Andrews: “Il governo dello stato sta lavorando “a stretto contatto” con Tennis Australia, che “a sua volta” sta lavorando con gli sponsor, i broadcaster e i partner globali. Questo non è un problema semplice. Quello che era importante ieri era confermare che dal 7 dicembre potremo far tornare i voli a Melbourne e un sistema di quarantena in hotel sarà ripristinato. Non è una cosa semplice, però, ricevere molte centinaia o addirittura potenzialmente ben più di 1000 atleti e personale che li supportano, oltre ai media, essendo qui per un evento molto importante. Tutto deve essere fatto in sicurezza, deve essere fatto bene. Sono molto fiducioso che avremo un Aussie Open nella prima parte del prossimo anno, stiamo lavorando per questo, per noi è importante. La tempistica esatta, le disposizioni esatte che stiamo mettendo in atto, non sono ancora state stabilite e non appena saranno stabilite, sarò più che felice di condividerle con voi. Ma non leggerei troppo alcuni rapporti… Molte persone stanno parlando fin troppo di queste cose e mentre stanno parlando, stiamo andando avanti con il lavoro in modo da poter avere uno dei nostri eventi più importanti, non solo per il nostro stato ma anche per l’intera nazione. Viviamo tempi terribili con il Covid-19, ma cercheremo di far svolgere le nostre attività il più normale possibile, per quello che ci sarà consentito”.
    Quindi un bel caos, tra quel che trapela da analisti e stampa, e la versione ufficiale del governo. Nessuno si sbilancia, ma è possibile che il ritardo nella programmazione dei tornei australiani possa essere collegato anche alla speranza che la prima diffusione dei vaccini contro il Covid-19 possa essere efficace e iniziare così il lungo percorso che dovrebbe portarci a sconfiggere il virus.
    Su di una cosa stamattina possiamo essere certi: l’Australian Open 2021 si dovrebbe disputare nella prima parte dell’anno prossimo, ma non nelle date classiche a gennaio.
    Continueremo a seguire la vicenda, che avrà una ripercussione enorme sul prossimo calendario ATP 2021.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Djokovic alle ATP Finals ha la peggior percentuale tra vittorie e sconfitte nei grandi eventi

    Novak Djokovic perde più spesso al “Masters”

    Riportiamo una statistica interessante, tratta dall’aggiornatissimo profilo twitter “TennisMyLife”.
    Il n.1 del mondo Novak Djokovic è quasi imbattibile agli Australian Open (oltre il 90% di partite vinte), mentre alle ATP Finals – ad oggi – ottiene “solo” il 71,69% di vittorie.
    Ecco la sua straordinaria classifica, stilata sulla percentuale di vittorie sui match disputatati nei grandi tornei (Slam, Finals, M1000):
    Australian Open: 83 partite – 75 W e 8 L – 90,36% di vittorie

    Wimbledon: 82 partite – 72 W e 10 L – 87,80% di vittorie
    M1000 Shanghai: 39 partite – 34 W e 5 L – 87,17 % di vittorie
    M1000 Miami: 51 partite – 44 W e 7 L – 86,27% di vittorie
    US Open: 87 partite – 75 W e 12 L – 86,12% di vittorie
    M1000 Roma: 64 partite – 55 W e 9 L – 85,93% di vittorie
    M1000 Indian Wells: 59 partite – 50 W e 9 L – 84,74% di vittorie
    M1000 Canada: 44 partite – 37 W e 7 L – 84,09 % di vittorie
    Roland Garros: 89 partite – 74 W e 15 L – 83,14% di vittorie
    M1000 Paris-Bercy: 45 partite – 37 W e 8 L – 82,22 % di vittorie
    M1000 Madrid: 36 partite – 28 W e 8 L – 77,77 % di vittorie
    M1000 Cincinnati: 52 partite – 40 W e 12 L – 76,92 % di vittorie
    M1000 Monte Carlo: 45 partite – 34 W e 11 L – 75,55 % di vittorie
    ATP Finals: 53 partite – 38 W e 15 L – 71,69 % di vittorie LEGGI TUTTO

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    Open Court: 20 anni fa Safin divenne n.1. La storia di Marat, bello e impossibile (di Marco Mazzoni)

    Marat Safin

    20 novembre 2000. Venti anni fa. Il mondo era un tantino diverso da quello attuale. Non avevamo ancora vissuto lo shock dell’“11 settembre”, gli smartphone ed i social network non avevano ancora invaso il nostro quotidiano, delle pandemie ne parlavano solo i libri di scuola, al passato. Il mondo della racchetta intravedeva in Roger Federer un talento immenso, ma lo svizzero era ancora un progetto di campione, mentre Rafa e Novak erano solo dei giovanissimi impegnati nei tornei under. Il 20 novembre 2000 è una piccola data storica nel mondo della racchetta: Marat Safin divenne n.1 della classifica mondiale. Restò per poco in vetta al ranking, giusto due settimane, per poi tornarci un paio di volte l’anno successivo, per un totale di nove. Il russo ha vinto “solo” due Slam, qualche Masters 1000, e una Davis. Un palmares importante, ma non così impressionante. Eppure pochi tennisti dell’epoca moderna hanno lasciato un segno così profondo, direi indelebile, appassionando milioni di fan in tutto il mondo, che lo ricordano con affetto e rimpiangono le fortissime emozioni vissute assistendo i suoi match.
    Approfittiamo di questa ricorrenza per un ricordo del grande talento russo, uno dei giocatori più affascinanti e controversi degli ultimi anni.

    Croce e delizia, spettacolo e disastri, rabbia e rimpianti. Bello e impossibile, per altri insopportabile. Sbruffone, “piacione”, pigro e arrogante. Delizioso e talentuoso, indolente e rissoso. Spettacolare. Molti, fin troppi, sono gli aggettivi con cui possiamo ricordare il gioco, il talento, la carriera e la personalità di Marat Safin. Quale Safin? La macchina da guerra che annichilì Sampras? Il furibondo spacca racchette? O peggio ancora “l’ex giocatore” che resta docile in un angolo accettando la sconfitta dal carneade di turno, anzi, regalandogli un pomeriggio di notorietà? Raccontare la storia di Marat è un’impresa mica facile. È necessario addentrarsi nella vita del tennista più intricato ed intrigante degli ultimi anni. La strada è perigliosa perché linearità e raziocinio non saranno mai presenti nel racconto di questo bizzarro personaggio. Non vincente quanto Roger, non consistente quando Nadal, ma che fascino…
    Marat Safin, classe 1980, vive nella natia Mosca i primi anni di vita già con la racchetta in mano. Figlio di Misha Safin, gestore di un piccolo tennis club con la moglie Rausa Islanova, severa maestra di tennis e primo coach di Marat e della sorellina Dinara, il piccolo Marat prende sul serio il tennis a sei anni, almeno la storia ufficiale questo racconta. Cresce più o meno serenamente a Mosca, ma ancora siamo alla prima Russia “libera”, manca di tutto. Il padre pare che a volte trovi con difficoltà delle palle da tennis accettabili per sostituire quelle usurate, per non parlare delle corde.
    Anni non facili economicamente, tirare avanti è faticoso, così che sfondare nel tennis non è solo un sogno, piuttosto una necessità. Il passo, quello grande, lo compie da teenager, quando decide tredicenne (d’accordo con la mamma, che a strappi ha guidato buona parte della sua carriera, spesso da lontano) di muoversi in Spagna per provare a diventare un campione, visto che il talento abbonda nel suo DNA. Non è un periodo facile, perché il passaggio dalla fredda e caotica Mosca del post-comunismo alla solare e colorata Valencia è uno shock. E plasma di brutto la sua personalità.
    Marat è uno con la testa dura, caparbio e poco incline a chinare il capo, in campo e fuori. Anche per pigrizia nell’imparare la lingua non riesce a farsi capire in Spagna, tanto da meditare un rientro a casa dopo pochi mesi. Sgomita tutto il tempo, e solo un coach navigato a paziente come Rafael Mensua, che in lui vede un talento fuori dal comune, lo imbriglia in routine di lavoro “relativamente stabili”. Il talento è unico. Questo ragazzone dai piedi pesanti colpisce la palla con la violenza di un pugile e la precisione di un killer, però c’è tanto, tanto da fare. L’umiltà in campo non sa nemmeno cosa sia, la disciplina nella vita e nel lavoro idem, ancor più con la dolce “movida” spagnola che lo circonda, una Sirena irresistibile per un ragazzo che ama “vivere” come lui. Grattacapi infiniti, notti insonni (Marat per la nostalgia di casa, ebbene sì, o perso nei locali; Mensua per il classico “ma chi me l’ha fatto fare?”), ma alla fine il botto c’è, e bello vigoroso.
    Da junior non è un blockbuster. Si fa conoscere al mondo all’edizione 1998 del Roland Garros, dove questo marcantonio con racchetta infila un filotto clamoroso: da n.116 ATP passa le dure qualificazioni parigine, beccandosi Agassi al primo turno, uno dei suoi idoli. Una grandinata di pallate investirà Andre, che scuotendo il capo pensa che la coppa dei Moschettieri non sarà mai sua (un anno Andre, e poi il tuo sogno sarà realtà). Non contenta, la malasorte (punti di vista) gli offre il campione in carica Guga Kuerten, che viene ugualmente maltrattato dal treno russo. La sua corsa si ferma agli ottavi, ma il nome di Marat Safin si impone come quello del talento più devastante visto su di un campo da tennis dai tempi della covata magica USA Agassi-Courier-Sampras. La crescita però non è impetuosa, si nota immediatamente che questo Marat è un cavallo di razza, ma è alquanto bizzarro. Atteggiamenti rudi, a volte brutali in campo, cali di tensione continui, giocate mozzafiato e pause inspiegabili.
    Un episodio che ci riguarda da vicino spiega tante cose. San Marino, l’avversario di un giovane Marat è Vincenzo Santopadre, bravissimo ragazzo e tennista dalla mano straordinaria, ma un po’ leggero come gioco e consistenza; come si spiega il quasi cappotto che il romano riesce ad infliggere a Marat, aggravato da uno warning dell’arbitro per scarso impegno? Inglorioso, tanto che se ricordate al russo questa giornata, il buon Marat si inalbera tutt’ora… Di episodi simili e pagine nere la sua carriera ne vivrà più d’una; ma anche tanti pomeriggi, e soprattutto serate nei palazzetti indoor dove Marat ha dato il suo meglio, partite in cui vederlo giocare è stata un’esperienza indimenticabile.

    Talento unico
    Pochissimi tennisti sono riusciti a produrre un tennis così potente ma allo stesso tempo di talento. Non solo mazzate brutali, ma colpi ricchi d’anima, di quella drammatica ed intrigante indole tutta russa che li fa esser uno dei popoli più affascinanti e allo stesso tempo incomprensibili. Chi intravide nella potenza di Marat un tennis disumano, capiva ben poco di questo sport. La finale degli Us Open 2000, proprio quella in cui Marat demolì Pete Sampras a casa sua, resta una delle più grandi dimostrazioni di tennis totale mai viste nell’era moderna. Mai in carriera Sampras ha subito in una finale un simile trattamento. Annientato.
    Quello resta uno dei due match capolavoro della carriera di Safin, insieme alla semifinale degli Australian Open 2005, quando sconfisse un Federer al top 9-7 al quinto set. Nella finale di New York 2000, Safin affrontò Sampras dominandolo in tutti i settori del gioco. Servì in sicurezza, dritti e rovesci precisi e potenti, e soprattutto schiantò Sampras al servizio grazie ad un’ora e mezza di risposte che nemmeno il miglior Agassi era mai stato capace in carriera di produrre contro Pete. Marat toccò dei picchi di gioco poche volte sfiorati nella storia recente del tennis.
    E come fai a spiegare al ragazzino che appena lo conosce, che questo immenso talento abbia vinto una miseria di grandi tornei? Non è facile. Forse impossibile. E se lo chiedi a Marat, la sua risposta sarà un sorriso complice, della serie “It’s my life, baby”. Genio e sregolatezza, questo abusato cliché calza a pennello al nostro eroe, il tennista che ha vinto di meno negli ultimi anni in rapporto all’immensa magia del suo braccio.
    L’ultimo Safin che ricordo al top fu quello di un gelido (per noi) venerdì di gennaio, anno 2005. Melbourne il luogo del delitto: Safin sfida il “cannibale” Federer nella semifinale degli Australian Open. Match clamoroso, tecnicamente il migliore che io ricordi da quel giorno, uno dei migliori di sempre. Marat doma quello che è considerato “il migliore” dell’era Open con un 9-7 al quinto, annullando un match point e giocando con classe e continuità tennis stellare per potenza, precisione, varietà di soluzioni. Dove Safin vinse il match? Difficile trovare una sola chiave nell’epica impresa; l’efficacia del servizio fu determinante, non tremò mai il suo braccio al momento di recapitare Ace o servizi vincenti. Nello scambio quello che “matò” Federer fu certamente il rovescio del russo. Sempre consistente nella diagonale, con una palla lunga e potente che non ha mai permesso a Roger di governare lo scambio con le sue magiche mezze volate in anticipo. Alla consistenza aggiunse in dose industriale il colpo del miglior Safin: il cambio improvviso col rovescio lungo linea. Grande appoggio coi piedi, Marat arrivava bene sulla palla, raccolto; apertura breve con la racchetta dietro e via, per un’accelerazione composta, quasi rannicchiato, con la racchetta che non si allontanava dal corpo nello swing, per un impatto imperioso per timing e potenza. Un lampo, un attimo, con la palla che scappava velocissima e retta, cambiando direttrice e filando lungo linea con un sibilo mortale per il rivale; anche un certo Roger Federer nel climax della sua efficacia. Gesto di una bellezza da Michelangelo del tennis, per quella forza carica di grazia sportiva. Difficile per un comune mortale infrangere le leggi della fisica, che ti fanno scappare larga la palla, ma non per Safin. Il controllo dimostrato da Marat in tale situazione è quasi misterioso, e quel venerdì sera di quindici anni fa pizzicò spesso il campo scoperto da Roger. E così molte altre volte, nelle serate giuste.
    Tuttavia non si può inquadrare Marat solo in questa esecuzione, perché il russo (quando decideva di giocare al suo meglio, s’intende) possedeva una tecnica praticamente perfetta in tutte le situazioni di gioco. Un dritto micidiale per potenza, soprattutto in cross; una sensibilità nei pressi della rete di prim’ordine, un servizio devastante; una risposta che nella finale degli Us Open 2000 fece apparire il servizio di Sampras (sì, proprio il colpo che ritengo più decisivo nella storia del tennis) quello di un carneade. Quando Marat girava a tutta, produceva un tennis da numero uno, e che numero uno. Peccato che ci abbia regalato solo alcune perle di quel valore assoluto, in mezzo a troppi pomeriggi grigi, nebbiosi o rabbiosi, passati alla storia per sceneggiate da attore di provincia. Furia autodistruttiva, una testa “ballerina”, troppo distratto da mille cose, donne e non. Nel tennis moderno (già quello di Marat), imbruttito da materiali così performanti da far prevalere la forza alla grazia, la potenza senz’arte alla tecnica, il livello medio è così agguerrito ed il lato fisico del gioco così importante che un braccio baciato dagli Dei non è più sufficiente, anche se ti chiami Marat Safin.

    Genio e sregolatezza
    Marat è entrato nella storia del nostro sport, ahimè, più come clamoroso tombeur de femme, come rockstar con racchetta, che per le coppe alzate al cielo. Non si contano le fiamme che l’hanno acceso, in tutti gli angoli del mondo. Iconico il vezzo machista sventolato ai quattro venti in una ormai “mitica” conferenza stampa di qualche anno fa: “Mai pagata una donna per venire nel mio letto, più facile che potesse accadere il contrario …o che abbia pagato per mandarla via”, un po’ rozza nella sostanza, ma in pieno Safin style, quindi genuina, perché lui è stato sempre vero, limpido. Eccessivo sì, bugiardo mai. Passò alla storia la battuta di David Nalbandian, che lagnandosi a Monte Carlo per esser stato messo in campo alle 10 di mattina, se ne uscì con un’acida battuta: “Non mi possono mettere in campo alla ora in cui Marat rincasa dalla discoteca….”. Per non parlare delle notti bollenti a Tashkent, dove con Kafelnikov non aveva altro che l’imbarazzo della scelta tra le starlette di casa… Vodka, ragazze, anche amicizie non proprio ortodosse, tanto che nella natia Mosca è stato coinvolto in qualche rissa, rimediando anche un occhio nero poco prima di un torneo. Gli aneddoti dei suoi anni migliori sono più delle sue vittorie, come l’indimenticabile “Family”, ossia le tre “biondone” che l’hanno accompagnato in tribuna durante la sua campagna all’Australian Open 2002, quando giocò un torneo perfetto sino alla finale contro Thomas Johansson, svedese nemmeno dei più forti, eroe per un giorno grazie a Marat. Il russo prese totalmente sottogamba quel match, trascinato in finale da un talento irreale ma poi finendo per giocare l’incontro decisivo in modo terribile, passando da sbruffone a gattino impaurito e masticando poi amarissimo all’ennesima, bruciante, sconfitta.
    Eppure il suo istinto un po’ rozzo nasconde un cuore da bravo ragazzo, non troverete mezzo collega tennista che vi parlerà male di lui. Perché Marat è genuino al 100%. Preferisce tirarti un pugno in faccia e poi invitarti a bere una vodka piuttosto che sparlare di te alle spalle. Contagiosa la sua simpatia, contagioso nel suo mostrarsi nudo e crudo, ammettendo anche i tanti sbagli di una vita vissuta sempre premendo sull’acceleratore e, soprattutto, non rimpiangendo mai nulla.
    Uno degli episodi più bizzarri fu quando partì per il Tibet, convinto di poter scalere una vetta da 8000 metri, senza un allenamento specifico. Arrivato a quota 5000 metri, dove inizia l’ultima fase di acclimatamento, fu preso da terribili mal di testa per l’altura. Macché pillole, pare che solo un buon whisky riuscisse a lenirgli i dolori, forse per abitudine. Fece i bagagli e tornò indietro sconfitto dalla montagna, ma dichiarò di aver conosciuto gente incredibile, e che una volta smesso di giocare avrebbe viaggiato un bel po’, conoscendo gente e paesi nuovi, come Sud Africa, Messico, Nuova Zelanda.

    Il declino, testa e infortuni
    Verità, esagerazioni. Vero che Safin ha buttato al vento buona parte della sua carriera per troppa “bella vita”. Ma c’è anche dell’altro. Marat è stato influenzato pesantemente da una sensibilità spiccata e da una personalità controversa, spesso celata da atteggiamenti da sbruffone nel classico “giocarsi contro”, creandosi alibi per la disfatta. Un po’ piagnone, incarnando quel non so che di uomini perdenti dall’indole tutta russa, uomini profondi e mai banali, arrovellati in pensieri autodistruttivi. Una sensibilità ed intelligenza mal sfogata in esplosioni che mascheravano un coprirsi a riccio, per difendersi dalle proprie mille insicurezze.
    Testa e non solo. Le tante sconfitte di Safin e i suoi lunghi periodi “off” sono quasi sempre stati archiviati con la sua indole non proprio professionale. In realtà, quel ragazzone russo ha anche sofferto di una miriade di infortuni, anche per colpa di corpo imponente e non sempre ben allenato a resistere alle terribili sollecitazioni del tennis moderno. Solo fino al 2003 non ha patito importanti infortuni. Da lì in poi, troppe volte il fisico gli ha presentato il conto, con infortuni più o meno seri ma che l’hanno molto limitato. L’inizio della sua fine è arrivato quando Marat ha perso fluidità. Negli ultimi anni divenne un tennista troppo rigido, tanto da passare dall’essere un formidabile costruttore di gioco con mano fatata a energumeno “tira-pallate”, senza quella capacità di accompagnare il colpo che invece ad inizio carriera era incredibile per coordinazione, tecnica e tempismo. Risultato? Una pallata tirata ad occhi chiusi ti può entrare, magnifica, di rabbia. Ma una sola, o poche, sporadiche. Al Safin d’annata uscivano fucilate d’autore; da metà 2005 divenne un tennista da grande impresa, senza continuità. Indoor, dove si esalta il tennis più tecnico, ha continuato a regalare perle d’autore. Serate bellissime.
    Oltre ai problemi fisici, mai è riuscito a tenersi un buon coach, per mantenere un indirizzo vincente e una routine “sportiva di alto livello”. Solo con Chesnokov al fianco s’è visto qualche miglioramento tattico, ma l’incantesimo è durato pochi mesi. Inoltre fu un errore lasciare il preparatore atletico Landers (poi morto prematuramente per un tumore al cervello), che guarda caso lo tirò a lucido nell’autunno 2004 portandolo al successo a Melbourne l’anno seguente. Poi è calato il sipario sulla sua preparazione fisica, con importanti problemi alla schiena ed un ginocchio. Non è un caso che proprio sull’erba Wimbledon 2008 (sì, quella che dichiarò “adatta alle vacche” facendo inorridire i sudditi di Sua Maestà…) sia venuto il suo ultimo exploit (semifinale): la superficie più soffice lo facilitava negli appoggi, da sempre fondamentali affinché potesse scaricare a terra l’enorme potenza del suo fisico.
    Vedi il palmares di Safin e leggi solo 2 titoli dello Slam e la Coppa Davis, oltre a molte finali perse e varie occasioni mancate. Marat ha gestito male il periodo di interregno tra Sampras e Federer, proprio quando fece una breve apparizione sul trono ATP, secondo russo nella storia dopo Kafelnikov. Quello fu il momento di Hewitt, incredibile agonista ma con mezzi nemmeno paragonabili a quelli del Safin ventenne, ancora sano sul lato fisico. Se Marat deve recriminare qualcosa nella sua carriera, è non aver approfittato di quel momento storico, in cui poteva infilarsi e sfruttare al meglio il suo talento. È un delitto che Marat non sia stato il terzo incomodo dalla nascita della rivalità Roger-Rafa a metà anni 2000. Aveva tutto quel che serve per ricoprire, alla grande, quel ruolo.
    Safin ci ha regalato sprazzi di grande tennis ed intense emozioni, nel bene e nel male. Di sicuro da quando ha appeso la racchetta al chiodo il tour ha perso uno dei talenti e personaggi più intriganti degli ultimi anni.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Andy Murray: “Il tennis deve trovare il modo di accelerare i ritmi e differenziare gli stili di gioco”

    Andy Murray

    Andy Murray tra i top player è sempre stato quello più diretto nell’esprimere il proprio pensiero, meno ancorato all’ormai abusato “politically correct” e pronto a criticare ATP, Slam e colleghi. Chi segue il suo profilo Twitter può apprezzare la sua ironia e spesso battute al vetriolo. Lontano dalla O2 Arena, dove si svolge quel Masters che ha vinto nel 2016, lo scozzese è stato intervistato dal tabloid Uk Metro, rilasciando alcuni concetti molto interessanti sul gioco di oggi e su quello che, a suo avviso, il tennis dovrebbe fare per diventare ancor più attrattivo, soprattutto per i più giovani. Ecco alcuni estratti del suo pensiero, che riteniamo assai interessante.
    “Quando ero giovane portavo in campo un tipo di gioco assai più creativo, mi piaceva cercare cose diverse, ma quando ho iniziato a fare pressione su me stesso per vincere grandi tornei ho scartato quell’idea. Purtroppo mi sono reso conto che un gioco solido paga molto di più di uno vario e spettacolare, se vuoi ottenere grandissimi risultati. Mi manca produrre uno stile unico e creativo, i tennisti che hanno il proprio stile contribuiscono moltissimo allo spettacolo, come ad esempio i francesi, che ci tengono sempre molto a crescere senza snaturare il proprio talento e unicità. È positivo per i fan ammirare cose diverse in campo e soprattutto per i bambini, vedere che il tennis può essere giocato in molti modi. Non vorrei che il tennis venisse omogeneizzato ancor più, lo è già troppo. Si parla tanto di spettacolo, per averlo è fondamentale proporre giocatori e stili gioco diversi “.
    Ricordano ad Andy le forti critiche che ricevono i tennisti che ultimamente provano il servizio da sotto, o la “mitica” SABR” di Federer, ossia una risposta super offensiva con i piedi quasi sulla riga del servizio e via a rete. Murray risponde in modo tranciante, nel suo “rusty style”: “Non capisco le persone che criticano questo. Ricordo di aver letto un articolo anni fa in cui Becker criticava Roger per aver proposto quel colpo, la sua risposta al limite. Se ti riesce e hai successo con quella tattica, perché non farla? Ogni volta che vediamo un giocatore di tennis battere da sotto, molti commentatori sono scioccati e chiedono se sia irrispettoso. Mi sembra incredibile, è una giocata del tutto legittima e ancora di più oggi visto che moltissimi giocatori rimangono molto indietro alla risposta. Mi sembra davvero una cosa molto intelligente poter sfruttare quella soluzione. Forse se perdi il punto facendola, ti senti un cretino, ma la mia sensazione è che la percentuale di punti vinti servendo dal basso sia altissima, perché sorprendi l’avversario e in troppi ormai rispondono da metri e metri dietro“.

    Murray pensa che il tennis di oggi sia ancora affascinante, ma anche che sia indispensabile guardare al futuro e muoversi per rendere il tennis più veloce, vario ed elettrizzante. L’inserimento dello shot clock, a suo modo di vedere, è insufficiente, anzi, quasi inutile: “L’ATP ha inserito misure volte ad accelerare il gioco, ma non si stanno dimostrando efficaci. Tutti i giocatori guardano costantemente l’orologio tra un servizio e l’altro, e lo fanno correre fino all’ultimo secondo, anzi, spesso vanno anche oltre… Ci sono momenti in cui impieghiamo più tempo di quanto sarebbe necessario, approfittando della possibilità di vedere il conto alla rovescia dell’orologio. In generale, iniziamo tutti a far rimbalzare la palla iniziando il movimento della battuta quando mancano tra 7 e 10 secondi. L’asciugamano da prendere da soli? Ritengo che quando le cose torneranno alla normalità, i raccattapalle potranno di nuovo porgere l’asciugamano al giocatore, perché con quello che vediamo ora, il gioco rallenta ancora di più. Dover camminare in fondo alla campo in ogni punto per asciugarci rompe la routine e finisce per spezzare ancor più il ritmo e il tempo tra un punto e l’altro, viene usato da tutti come arma tattica. Invece l’ATP dovrebbe muoversi per rendere le partite più snelle, con pochi tempi morti e soprattutto elettrizzanti come stile di gioco. Oggi il ritmo di gioco è fin troppo lento. Il tennis deve provare ad accelerare: il ritmo di gioco, il tempo prima dell’inizio delle partite, il tempo tra un game e l’altro, velocizzare i punti, troppo lunghi“.
    Un parere forte e qualificato, che viene da un tennista esperto che ha potuto affrontare più generazioni di giocatori. Personalmente ritengo che l’idea di Murray sia quella corretta: condizioni di gioco assai omologate (palle, superfici e quindi i miglioramenti nei telai e soprattutto nelle corde) hanno massimizzato il rendimento di un preciso stile di gioco, finendo alla lunga per impoverire la tecnica e standardizzare la tattica, visto che per ottenere i migliori risultati tutti si sono focalizzati nel lavorare su di un preciso modello che tende alla maggior efficacia e meno alla differenza e all’esaltazione di abilità uniche e personali. Restano sempre le punte massime, le eccezioni, qualità superiori che alla fine vengono a galla e premiano chi le possiede; ma se parliamo di livello medio, questo si è alzato terribilmente ma con un gioco molto preciso, molto tattico, molto fisico, assai efficiente ma più “povero”. Chissà che in questo periodo così turbolento e foriero di possibili rivoluzioni, qualcosa non possa cambiare anche in questo ambito, quello più squisitamente legato al gioco.
    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO

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    Australian Open 2021 a rischio, il parere dei giocatori

    Alexander Zverev

    Dopo la doccia fredda di ieri, con la conferma da parte del governo dello stato di Victoria (Australia) delle restrizioni all’ingresso fino al 31/12/2020 per contenere la pandemia, arrivano alcune reazioni da parte dei giocatori. C’è un misto di incredulità, delusione ma anche speranza. Craig Tiley è uno dei dirigenti tennistici più preparati e stimati, e l’Australian Open un evento troppo importante per esser cancellato visto che, tra l’altro, la situazione sanitaria a Melbourne è in questo momento sotto controllo. Le cautele delle autorità derivano proprio dalla volontà di mantenere lo status quo (da 20 giorni nessun nuovo contagio registrato nello stato di Victoria, ma è scoppiato un piccolo focolaio ad Adelaide) e di fare il possibile affinché l’Australia non precipiti di nuovo nell’emergenza.
    A Londra il tedesco Alexander Zverev ha commentato così la notizia della conferma delle restrizioni agli ingressi in Australia: “Dobbiamo dare credito a Tennis Australia e Craig Tiley, penso che stiano facendo il meglio che possono. Capisco la cautela del governo australiano: se 3000 persone vengono per il tennis in pochi giorni, è quasi sicuro che potrebbero scapparci dei nuovi positivi, questo è indubbio, quindi capiamo che siano molto attenti a questo aspetto”.
    Il brasiliano Bruno Soares, membro dell’ATP Players Council, ha espresso preoccupazione per le tempistiche: “Se dobbiamo arrivare, restare in quarantena ed uscire a giocare immediatamente, è una situazione pericolosa per i giocatori, sarebbe tutt’altro che ideale. Sappiamo che stanno cercando di ottenere le migliori condizioni per noi in modo che possiamo prepararci adeguatamente. Dobbiamo essere pazienti e lasciare che l’Australia faccia quello che deve fare, e forse avremo una buona estate”.

    Si dice fiducioso l’argentino Diego Schwartzman: “Da quello che so, non credo che l’Australia verrà cancellata. C’è una situazione simile a quella vissuta agli US Open, con molte discussioni tra l’organizzazione del torneo e il governo del loro paese. L’ATP e i giocatori sono esclusi, perché ci sono dei protocolli sanitari da rispettare. Le decisioni di voler ricevere stranieri o meno vanno oltre le nostre competenze, ma questo influisce sui tornei. La posizione dell’Australia oggi è di non ricevere stranieri fino al 1 gennaio, e mantenere la quarantena di 14 giorni senza la possibilità di gareggiare, forse potremo almeno allenarci. Solo dopo il 14 gennaio potremo giocare. Non è il massimo se le cose restassero così. Dobbiamo vedere cosa succede anche con i tornei sudamericani. Noi siamo in attesa. L’ATP ha deciso di salvare i punti per la classifica, e questo aiuta i giocatori nel prendere la decisione se andare o meno in Australia, ma credo che la maggior parte di noi vorrà andare, anche perché il calendario potrebbe essere modificato”.
    Infatti le proposte sul tavolo sono molte: si parte dallo spostamento in avanti del torneo di una o due settimane, con gli eventi di Sydney e Brisbane posticipati dopo lo Slam, o addirittura l’inizio degli Australian Open a febbraio. Altra ipotesi è di imporre una bolla blindatissima a Melbourne sullo stile degli ultimi US Open, con almeno tre settimane di gioco (un torneo per prepararsi e quindi gli Australian Open, tutti nell’impianto di Melbourne park, magari senza pubblico). Anche l’aspetto economico è uno dei fattori decisivi: Craig Tiley è fermamente deciso a far disputare il torneo quasi “a tutti i costi”, tuttavia ha affermato al Sydney Morning Herald che dovrà investire più di 33 milioni di dollari australiani nella biosicurezza, un costo imprevisto. “Possiamo mantenere i nostri guadagni dalle trasmissioni televisive, ma perderemo entrate dal merchandising, dalla vendita dei biglietti e ci saranno meno entrate dall’ospitalità”.
    La situazione è in divenire, vi terremo aggiornati sui nuovi sviluppi.
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    Bruno Soares (ATP Council): “Djokovic candidato? Se n’è andato solo tre mesi fa. LA PTPA? Mi hanno escluso dalla chat”

    Bruno Soares col compagno Mate Pavic

    Bruno Soares è uno dei protagonisti alle ATP Finals di Londra in doppio, insieme a Mate Pavic. Nel corso della conferenza stampa di oggi pomeriggio, dopo il match perso contro la coppia Zeballos-Granollers, gli è stato chiesto un parere sulla voce che sia Novak Djokovic che Vasek Pospisil si siano ricandidati ad un ruolo per Player Council 2021. Le elezioni dei nuovi rappresentanti dei giocatori, in carica dal prossimo primo gennaio, si svolgeranno in dicembre. Il parere di Soares è interessante, perché il brasiliano è attualmente uno dei membri del council. E altrettanto interessante è stata risposta, un misto tra curiosità e grande sorpresa…
    “Si, confermo, ho visto i loro nomi nella lista dei candidati per i rappresentanti dei giocatori dal 2021. Non ci sono solo loro, sono diversi i ragazzi che si sono proposti. E’ curioso e interessante perché Vasek e Novak si sono dimessi solo tre mesi fa per portare avanti la loro PTPA. Non ho idea di cosa stia succedendo all’interno della PTPA perché sono stato buttato fuori dalla chat, immagino perché ho deciso di restare nel Player Council, quindi non conosco le loro intenzioni oggi e cosa stiano facendo. Alla fine non so molto di loro…”

    “Credo sia piuttosto interessante vederli in lizza. Non so perché non abbiamo avuto la conferma direttamente dai giocatori. Non funziona come un’elezione politica in cui ascoltiamo i giocatori sul loro programma in caso vengano eletti. Alla fine sono tanto scioccato quanto curioso, esattamente come voi, nel vederli entrambi in corsa di nuovo, quando hanno lasciato proprio quel posto solo tre mesi fa“.
    Le parole di Soares sembrano confermare che la PTPA stia già arrancando dopo il lancio in “pompa magna” appena prima dell’US Open, e come il progetto resti “fumoso”. Né lui né Djokovic (i due leader) comunicano in modo chiaro programmi dettagliati e nemmeno chi e quanti siano i tennisti che hanno sposato il progetto. Il fatto che i due abbiamo deciso di correre di nuovo per un posto nella stanza dei bottoni ATP è forse il segnale di una repentina marcia indietro? Djokovic sarà di sicuro chiamato a rispondere su questo tema, immaginiamo già stasera dopo il match che n.1 disputerà contro Medvedev.

    Marco Mazzoni LEGGI TUTTO