Pablo Llamas (foto Segovia Challenger)
Il nome Pablo Llmas non dirà granché a una larga fetta degli appassionati di tennis. Il 21enne iberico è stato autore quest’anno di una scalata notevole nel ranking ATP, passando dal 371 di inizio stagione all’attuale 131, grazie a buoni risultati a livello Chalennger. Llamas era considerato uno dei talenti più interessanti del tennis iberico, ancor più dopo aver vinto il prestigioso Orange Bowl. Il suo nome è anche legato a quello di Carlos Alcaraz, visto che i due hanno trascinato la squadra giovanile spagnola alla vittoria della Davis Cup junior. Poi il murciano e Llmas hanno avuto due traiettorie assai diverse, dirompente e inarrestabile la scalata di Alcaraz, più sofferta e piena di alti e bassi quella di Llamas, che ha sofferto moltissimo i problemi derivati dal Covid, proprio quando stava iniziando ad ingranare nei Futures.
Quest’anno il nativo di Jerez de la Frontera ha vinto il Challenger di Segovia, disputato la finale a Vicenza e vinta la prima partita a livello ATP a Lione. È in corsa per un posto alle prossime NextGen ATP Finals, quest’anno non più in scena a Milano ma in Arabia Saudita. Llmas è stato intervistato dal quotidiano AS, ha raccontato uno spaccato di vita interessante col punto di vista di chi naviga nelle retrovie e la chiara ammissione che essendo finalmente entrato tra i migliori 150 al mondo per la prima volta da quando gioca a tennis seriamente riuscirà a chiudere un’annata senza un bagno di sangue economico. Il tema delle difficoltà finanziarie per chi ambisce ad arrivare nel tennis che conta resta il nodo più importante, quel che spesso segna la differenza tra chi ce la fa, e chi invece alla fine molla, nonostante il talento e risultati giovanili importanti. Riportiamo alcuni passaggi dell’interessante intervista a Llamas.
“Ho iniziato quando avevo quattro o cinque anni a Jerez, nel club Nazaret”, racconta Llamas. “Adesso non lo ricordo bene, ma penso che sia stato a causa di mio fratello Ivan, il più grande, che giocava lì. Mia madre mi regalò una racchetta per giocare e due palline, per vedere se riuscivo a colpirla. L’ho colpita subito e da lì ho detto ‘Ehi mamma, voglio giocare a tennis’, così ho iniziato. Ero abbastanza bravo, ho avuto buoni risultati nelle prime categorie giovanili. Quando avevo 14-15 anni i miei allenatori non potevano viaggiare tanto con me, non potevano darmi quello che volevo. Ho frequentato la Ferrer Tennis Academy, a Jávea, e sono rimasto lì fino all’età di 19 anni. In questo momento il mio allenatore è Agustín Boje e poi José Leal Gómez, ci alleniamo nella Federazione Andalusa”.
“Il 2018 è andato molto bene, è stato il mio primo anno da junior, anche il 2019 è stato un anno fantastico per me, ho vinto qualche ITF junior, mi sono qualificato per tutti gli Slam. È stato un anno di passaggio ai Futures, ricordo che nel 2020 vinsi il primo e poi arrivò la pandemia. L’avvento della pandemia ha sconvolto la mia carriera, mi ha ferito molto. Prima della pandemia avevo un livello di fiducia molto elevato, avevo appena vinto il mio primo Futures. Ero molto felice, volevo di più. Stare per mesi a casa, senza poter uscire, senza poter fare nulla, è stato pesante, l’ho accusato troppo. Dopo la pandemia crollavo a causa della pressione, la voglia di giocare è scomparsa, sono successe molte cose e allora ero molto lontano dalla mia famiglia. Quando ero giù, non avevo nessuno accanto. È stato un periodo duro. Così ho deciso di partire per affrontare una nuova sfida, darmi una nuova opportunità. Sono venuto a Siviglia, presso la Federazione Andalusa, mi hanno accolto come se fossi loro figlio”.
“In Andalusia sono rinato, me la sono cavata un po’ da solo, un po’ col supporto di famiglia, allenatori e amici. I miei amici erano a Siviglia, all’università, sono stato con loro quasi tutto il tempo. Ho iniziato ad allenarmi meglio, curando gli infortuni e poco a poco sono salito. Ho vinto partite, ho disputato tre buoni tornei di fila e ho acquisito un po’ più di fiducia. Da lì sono ripartito”.
Delicato il discorso economico: “Oggi, essendo al n. 130 in classifica, riesco gestire le spese. Questo è il primo anno della mia vita in cui non ho perso soldi giocando a tennis. Come facevo prima? Sono riuscito a sopravvivere grazie ad aiuti, principalmente da parte della Federazione spagnola e di quella Andalusa, che sostiene i miei allenamenti. Mi aiutavano dove potevano, perché la mia famiglia non poteva permettersi di pagare le spese per sostenere l’attività, i viaggi, ecc. Ho provato a prendere risorse da dove potevo. Sponsor? Ho uno sponsor tecnico, ma non mi dà soldi. E adesso ho un marchio di abbigliamento dal quale ricavo qualcosa al mese, nell’ordine di 400, 500 euro. Ora che ho raggiunto un ranking migliore, spero di poter ricavare qualcosa in più”.
Dopo i trascorsi giovanili è ancora in contatto con Alcaraz, ma non si sentono molto spesso: “Sì, ho il suo numero di telefono e quest’anno ho potuto incontrarlo un po’ di più. Ci siamo visti al Murcia Challenger, poi a Wimbledon la settimana in cui ha giocato l’ATP del Queen’s. Sono andato lì a trovarlo, mi ha dato dei biglietti. Poi agli US Open l’ho rivisto. Parliamo di tanto in tanto, condividiamo alcuni messaggi, ma questo è tutto. So che il rapporto con lui ci sarà sempre, ma capisco la vita che ha. Non posso disturbarlo ogni volta che vince, perché so che riceverà 500 messaggi, credo siano già abbastanza. Abbiamo avuto un bel rapporto da giovani e credo che riusciremo a mantenerlo, ma viviamo due vite diverse ora”.
L’intervista si conclude con la differenza che Llmas vede tra i livello degli ATP e quello dei Challenger: “C’è un livello superiore, questa è la verità. Tutti i tennisti sono super forti, molto ben preparati e colpiscono la palla fortissimo. Una delle cose che mi manca per reggere quel livello è il fisico. Ci lavoriamo molto adesso. Migliorando il mio fisico farò un ulteriore salto nel mio tennis e ne ho bisogno, perché qui tutti giocano molto bene, colpiscono molto forte, si muovono bene, sono veloci, esplosivi, servono bene… Devi essere in grado di adattarti alle situazioni, saper gestire un momento della partita o un altro, perché è quello che decide il risultato. Tutti colpiscono forte la palla e servono molto bene, quindi è come gestisci il tuo gioco a fare la differenza, non un colpo”.
Marco Mazzoni LEGGI TUTTO