More stories

  • in

    Ciclismo, Giro d'Italia 2020: si parte dalla Sicilia. Il via da Monreale il 3 ottobre

    ROMA – Il Giro d’Italia 2020 post-lockdown partirà dalla Sicilia. Saltata la partenza da Budapest, in Ungheria,  a causa dell’emergenza per il coronavirus, la corsa rosa scatterà da Monreale il prossimo 3 ottobre. Ufficializzate le prime quattro tappe, 500 km suddivisi in quattro giorni. Il primo con una cronometro individuale di 15 km circa che partirà davanti al Duomo della cittadina siciliana e si concluderà a Palermo.Dalla Valle dei Templi di Agrigento all’EtnaIl giorno dopo tappa per velocisti, via da Alcamo e arrivo nella suggestiva Valle dei Templi di Agrigento. Nella terza tappa primi assaggi di salite con l’arrivo sull’Etna, a Piano Provenzana, a quota 1800 metri. Il 6 ottobre la quarta tappa, da Catania, l’ultima in Sicilia che nei piani originali avrebbe dovuto ospitare, invece, la quarta, la quinta e la sesta frazione. Arrivo a Messina dove la carovana poi si sposterà sulla terra ferma. Il giorno dopo la frazione, non facilissima, in Calabria da Mileto a Camigliatello Silano. Tra qualche giorno si saprà dove verranno inserite le due tappe ungheresi mancanti.Ciclismo LEGGI TUTTO

  • in

    Tour de France 2024, si studia partenza da Emilia-Romagna e Firenze

    Incontro nella sede della Regione Emilia-Romagna per discutere della partenza del Tour de France 2024 dalla stessa Emilia-Romagna e da Firenze. Presenti il direttore della corsa Christian Prudhomme, il governatore Stefano Bonaccini, il sindaco di Firenze Dario Nardella e il ct dell’Italia Davide Cassani
    CORONAVIRUS, GLI AGGIORNAMENTI IN DIRETTA

    Si delinea il contorno di una possibile partenza del Tour de France 2024 dall’Emilia-Romagna e da Firenze. A discutere di quella che sarebbe la prima partenza della Grand Boucle in Italia il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, il sindaco di Firenze Dario Nardella, il presidente dell’Azienda di Promozione Turistica dell’Emilia-Romagna e commissario tecnico delle nazionali italiane di ciclismo Davide Cassani e il direttore del Tour de France Christian Prudhomme. L’obiettivo – spiega una nota della Regione Emilia-Romagna, nella cui sede si è tenuto l’incontro –  “è quello di puntare sul Made in Italy grazie alle realtà territoriali coinvolte, quindi cultura, arte, paesaggio, moda, agroalimentare e tradizione culinaria, motori”. Si tratterebbe di “una vetrina internazionale importantissima, per una festa dello sport capace di mobilitare appassionati ovunque e un’occasione turistica e di valorizzazione delle eccellenze territoriali. Legata anche alla tradizione del ciclismo italiano, con personaggi che il Tour lo hanno vinto e che hanno fatto la storia come Fausto Coppi, Gino Bartali, Ottavio Bottecchia, Gastone Nencini, Felice Gimondi, Marco Pantani e Vincenzo Nibali”. LEGGI TUTTO

  • in

    Ciclismo, tre corridori rinunciano ad andare in Romania: “Lì troppi casi di Covid”

    Più che la prima corsa a tappe dopo la ripartenza del ciclismo e una festa di sport nel cuore della Transilvania, il Sibiu Tour sta diventando un caso di scuola. Dopo Alpecin, Androni e Rusvelo, anche la Sangemini Trevigiani-MG.K Vis VPM ha deciso di non presentarsi al via della gara rumena, una quattro giorni al via domani con un breve prologo a Sibiu e altre tre frazioni con ben due arrivi in salita fino a domenica 26. La Sangemini ha dovuto fronteggiare un vero e proprio ammutinamento da parte di tre corridori, spaventati dall’improvviso incremento di casi di Covid-19 in Romania, oltre 1000 nuovi positivi nelle ultime 24 ore. Tre, sui sei corridori selezionati (questi i nomi: Ciuccarelli, Radice, Salvietti, Di Sante, Di Felice, Leone) dai direttori sportivi Frizzo e Baldini hanno detto no: la squadra sarebbe dovuta partire in auto dalla Toscana e raggiungere Sibiu giusto in tempo per la presentazione dei team.”Una scelta comprensibile, ma che ci creerà difficoltà”«Tamponi e test sierologici già fatti» spiega il direttore sportivo Angelo Baldini, classe 1960, da una vita nel ciclismo, «ma al momento di partire i ragazzi hanno avuto paura. Non farò i nomi, non voglio metterli in difficoltà, ma è una situazione nuova e anche comprensibile. Credo, in coscienza, che non avrei mandato nemmeno mio figlio. La loro remora era: e se dobbiamo andare in ospedale per un incidente di gara? Con tutti i casi di Covid che ci sono lì, rischiamo di restarci. Detto questo, magari si rischia di più a Forte dei Marmi che a Sibiu, ma non lo sappiamo e non potevamo andare contro il volere dei ragazzi. Ora forse dovremo pagare un penale. La pagheremo, pazienza». La comunicazione agli organizzatori è avvenuta ieri sera: «Ovviamente non erano contenti e non so se ci inviteranno ancora in futuro. E non erano contenti neppure i nostri sponsor. Ma contro dei ragazzi giovani che rischiano anche la vita non potevo mettermi».Un ambiente spettrale1500 km in auto, «ma non era questo a spaventarli, a vent’anni i ragazzi dormirebbero anche nell’acqua del mare», e la corsa, poi, in un ambiente spettrale: non è consentita la presenza di pubblico alle partenze e agli arrivi ed è obbligatorio rispettare il distanziamento sociale di almeno due metri. A quest’obbligo non sono tenuti ovviamente i corridori, 150 al via, provenienti da ogni parte d’Europa. Tra i protagonisti il quasi 49enne Davide Rebellin, vincitore della corsa nel 2013. Il Sibiu Tour ha una storia piuttosto giovane: è nato nel 2011 ed è stato palcoscenico per il lancio di grandi talenti come Egan Bernal (vincitore nel 2017), Ivan Sosa (2018) e il costaricano Kevin Rivera (2019). «Prepariamoci» prosegue Baldini, «perché di casi simili se ne vedranno diversi nelle prossime settimane». Anche nelle grandi corse? «Sì. Nessuno sa ancora come verrà trattata l’eventuale positività di un corridore. Pensiamo al Giro? Che succede? L’Uci è stata vaga». L’Uci si rimette alle leggi vigenti nel paese in cui la corsa si svolge. Vuol dire tutto e forse nulla. LEGGI TUTTO

  • in

    Ciclismo, via del Tour de France dall' Italia: vertice a Bologna

    ROMA – Il via del Tour de France in Italia. E’ un ipotesi che sta girando da qualche tempo ma che prende sempre più piede. Di quella che sarebbe la prima partenza della Grande Boucle dall’Italia si è parlato a Bologna, nella sede della Regione Emilia-Romagna, in un incontro fra il presidente Stefano Bonaccini, il sindaco del Comune e della Città Metropolitana di Firenze, Dario Nardella, il presidente di Apt (Azienda promozione turismo) Emilia-Romagna e commissario tecnico delle nazionali italiane di ciclismo, Davide Cassani, e il direttore del Tour de France, Christian Prudhomme.Al centro del colloquio, dunque, la partenza in Emilia-Romagna e il passaggio a Firenze di una delle prossime edizioni del Tour. Una iniziativa legata alla grande tradizione del ciclismo italiano, con personaggi che il Tour lo hanno vinto e che hanno fatto la storia di questo sport come Fausto Coppi, Gino Bartali, Ottavio Bottecchia, Gastone Nencini, Felice Gimondi, Marco Pantani e Vincenzo Nibali.  LEGGI TUTTO

  • in

    “Warm Up Ciclismo 2020”, in Emilia-Romagna la prima manifestazione post lockdown

    In Emilia-Romagna è scattato “Warm Up Ciclismo 2020”, primo evento post lockdown. La manifestazione segue il nuovo protocollo della Federciclismo (lo stesso di tutte le gare professionistiche in calendario dal 1° agosto in Italia). L’evento, senza pubblico, ha fatto segnare il tutto esaurito con atleti di ben 132 società sportive iscritte. Presenti anche due rappresentative della nazionale: l’Under 23 e il team mountain bike, convocate da Amadori e Celestino
    CORONAVIRUS, GLI AGGIORNAMENTI LIVE LEGGI TUTTO

  • in

    L'ultima bici di Fabio Casartelli

    La bici è là, legata al soffitto con una catena. È una Caloi del 1995, non ha più il suo numero, il 114. Un cimelio, tra i cimeli nel santuario della Madonna del Ghisallo, la cappella dei ciclisti. Il 18 luglio, il giorno dell’81° compleanno di Gino Bartali e della 15ª tappa del Tour de France 1995, la Saint Girons-Cauterets, quella bici apparteneva a Fabio Casartelli. È blu e rossa, immobile, a pochi centimetri dal tetto della cappellina. «Non si sa chi è caduto per primo» inizia così Gianni Mura, il giorno dopo su Repubblica, «se Rezze o Casartelli». La televisione mostra un rivolo di sangue sotto il corpo del ragazzo italiano. Baldinger, caduto anche lui, fatica a rialzarsi. Gianluigi Stanga, il ds della Polti, gli si avvicina, lo sorregge e vede il bianco dell’osso spuntargli dalla gamba.L’incidente, il monumento, il ricordoCasartelli giace, ed è l’unico a non dare segni di vita. Dirà anni dopo Johan Museeuw: «Ho provato a risollevarlo, ma non si alzava. Corsi via e per tanto tempo ho avuto gli incubi. Volevo smettere». Grave caduta, dice Radio Tour. «In genere dice solo “caduta”» ancora Mura. La bici rossa e blu è riversa, come raggomitolata su se stessa, poggiata su un fianco, sulla discesa del Portet d’Aspet. Chiunque passi di là, oggi, può fermarsi accanto alla stele, una ruota di bici, un’ala d’angelo, tutto bianco, sommerso di fiori e borracce. Un piccolo santuario, anch’esso. Non si sveglierà più Fabio. Il suo cuore si fermerà tre volte in elicottero, verso Tarbes. Adriano De Zan, in telecronaca, mentre la tappa supera il Tourmalet e arriva a Cauterets in una festa ignara e vergognosa, fa lungamente silenzio, dopo aver dato la notizia a tutta Italia: «Leggo sul computer che Fabio Casartelli è morto». Vittorio Adorni, accanto a lui, aggiunge: «Lo sapevamo, ma non eravamo sicuri» e prosegue, da solo, per qualche minuto, De Zan è accanto e si sente che piange, si sente che non ce la fa. Era morto, a 25 anni, il campione olimpico di Barcellona ’92, un velocista che prometteva bene ma non aveva raccolto ancora molto.Una moglie, un figlioAveva un figlio di due mesi, Marco, che adesso ha 25 anni. Fabio ne avrebbe esattamente il doppio, se non avesse incontrato del ghiaino sulla strada e un paracarro che gli spaccò la testa. Annalisa, la moglie, vive a Forlì, fa la barista, s’è risposata con un vecchio compagno delle elementari. Marco studia. Il ciclismo non l’ha mai praticato e mai è stato nell’ambiente. Il papà non lo ricorda. Annalisa ebbe un sussulto: un mese prima, con la Motorola in ritiro a Livigno, sfidò i medici che le sconsigliavano di portare un neonato a 1800 metri di altitudine e fece incontrare Fabio e il piccolo Marco. Fu l’ultima volta. Casartelli tornò ad Albese con Cassano, il suo paese, in una bara di legno. Oggi ci saranno una messa in ricordo, senza Annalisa e Marco, ma con i genitori di Fabio, e una serata, con alcuni amici, tra cui Marco Saligari e Andrea Peron. Il Comune di Albese è bardato con uno striscione con Fabio in maglia azzurra e con la medaglia d’oro al collo. Le braccia alte, il sorriso largo. Quel giorno festeggiarono anche l’argento, l’olandese Dekker, e il bronzo, il lettone Ozols. Mai visto un arrivo così, con tre uomini che festeggiano. Il più felice era lui. Sulla bici al muro un cartello: “Bicicletta di Fabio Casartelli, 18 luglio 1995, Col de Portet d’Aspet (Francia)”. Prima della data, una piccola croce. LEGGI TUTTO

  • in

    La morte di Fabio Casartelli al Tour de France 1995

    Venticinque anni dopo l’incidente e la morte di Fabio Casartelli durante la quindicesima tappa del Tour de France 1995 da Saint Girons a Cauterets, la memoria, per chi ama il ciclismo anche solo da una poltrona nel salone di un appartamento, è viva e terribile. La dinamica della caduta di gruppo a quella curva a sinistra del Colle di Portet d’Aspet, la sensazione subitanea di qualcosa di grave e definitivo nel vedere gli altri ciclisti rialzarsi o comunque muoversi e Casartelli steso quasi rannicchiato e immobile sull’asfalto, le prime notizie in qualche modo confortanti, le immagini della testa della corsa con Richard Virenque in maglia a pois solo al comando, e il paesaggio davanti al francese che diventa quasi lunare mentre Adriano de Zan con la voce rotta dalla commozione annuncia che invece è tutto finito.

    Fabio Casartelli era di Como, ci era nato il 16 Agosto 1970. L’amore per la bicicletta gli era stato tramandato dal papà, ciclista dilettante, e ci si era dedicato dall’età di 9 anni. Una rapida ascesa nel mondo dei dilettanti, costellata di successi nella Coppa Cicogna, nel Trofeo Minardi e nel trofeo dell’Unione dei Circoli Sportivi Sloveni in Italia (meglio conosciuto come Trofeo ZSŠDI), e il coronamento con la chiamata alle Olimpiadi di Barcellona del 1992. Il 2 Agosto, nella gara di corsa in linea, Casartelli vinceva la medaglia d’oro, 24 anni la vittoria di Pierfranco Vianelli alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, precedendo sul traguardo l’olandese Erik Dekker medaglia d’argento e il lituano Dainis Ozols medaglia di bronzo.Passato al mondo dei professionisti nel 1993, Casartelli si era accasato presso l’Ariostea, vincendo la nona tappa della Settimana Ciclistica Lombarda e piazzandosi in tre tappe del Giro di Svizzera. Partecipa anche al Giro d’Italia, piazzandosi alla fine al 107° posto.Nel 1994, passato nella ZG Mobili, ancora grandi giri, sia quello d’Italia che il Tour de France, dai quali si ritira abbastanza presto.Nel 1995 il passaggio alla Motorola. Casartelli arriva secondo nella prima tappa del Giro della Bassa Austria, terzo nella seconda tappa della Vuelta a Murcia e terzo nella settima tappa del Giro di Svizzera. E il 1 Luglio inizia la sua avventura al Tour de France
    Nella Motorola Casartelli corre con grandi ciclisti, quali lo statunitense Lance Armstrong, il canadese Steve Bauer, il colombiano Álvaro Mejía e l’italiano Andrea Peron, suo compagno di stanza. Le tappe si succedono senza particolari problemi per Casartelli, e in generale gli Italiani si stanno comportando bene; Mario Cipollini e Marco Pantani hanno vinto due tappe a testa, una ne ha vinta Fabio Baldato, la Gewiss-Ballan ha portato a casa la quarta tappa a cronometro, Ivan Gotti è stato per due giorni Maglia Gialla.Dopo un giorno di riposo si arriva il 18 Luglio 1995 alla quindicesima tappa, una delle pirenaiche, da Saint Girons a Cauterets. Durante la discesa a 80 Km/h dal Colle di Portet d’Aspet, all’altezza di Ger de Boutx si verifica una caduta all’altezza di una curva a sinistra, innescata dalla precipitazione in una scarpata del francese della Aki-Gipiemme Dante Rezze che riporta la frattura di un femore. Rimangono coinvolti nella caduta l’italiano della Brescialat Giancarlo Perini, il belga della Mapei-GB Johan Museeuw e l’olandese della ONCE Erik Breukink che riescono a ripartire; il tedesco della Polti-Granarolo-Santini Dirk Baldinger che si rompe il bacino; e Casartelli, che picchia violentemente la testa su un paracarro e rimane privo di conoscenza. Gérard Porte, medico del Tour, presta immediatamente i soccorsi all’italiano che viene portato in elicottero all’ospedale di Tarbes. Durante il viaggio Casartelli subisce tre arresti cardiaci e arriva in ospedale in coma irreversibile. I gravissimi danni riportati rendono vano ogni tentativo di rianimazione. Alle 14.00, due ore dopo la caduta, Fabio Casartelli muore.Il giorno dopo la sedicesima tappa viene neutralizzata con il passaggio contemporaneo sul traguardo dei ciclisti della Motorola, e di tutti gli altri in gruppo a seguire. Il giorno dopo ancora Armstrong vince la diciottesima tappa: mentre taglia il traguardo solleva l’indice di entrambe le mani al cielo, in un’ideale dedica al compagno di squadra scomparso.
    L’incidente di Casartelli riaccende la polemica nel mondo del ciclismo sull’opportunità o meno di indossare caschetti a protezione della testa da parte dei ciclisti. Alcuni passi in avanti vengono fatti, ma sarà solo dopo la morte del kazako Andrej Kivilëv il 12 Marzo 2003 in seguito alle ferite riportate il giorno prima in seguito a una caduta durante la terza tappa della Parigi-Nizza che il caschetto verrà reso obbligatorio.

    La Fondazione Fabio Casartelli, nata poco dopo la morte del ciclista italiano, ha istituito a partire dal 1998 ad Albese con Cassano (Como) una mediofondo non agonistica rivolta a cicloamatori e cicloturisti. Un giusto omaggio alla passione propria del ciclista comasco. Un modo per celebrarne la vita perché, come sempre affermato dalla moglie Annalisa Rosetti, sarebbe bene ricordare Fabio Casartelli non come il ciclista morto al Tour de France, bensì come il vincitore dell’Olimpiade di Barcellona. E da sempre la vita si celebra con i momenti belli. O con i loro ricordi. LEGGI TUTTO

  • in

    Ciclismo, Nibali ricorda Giovanni Iannelli: “Mettete sempre le transenne”

    Vincenzo Nibali sta lavorando sulle Dolomiti in vista della ripresa dell’attività agonistica. Il siciliano, con i compagni della Trek-Segafredo, è sul Passo San Pellegrino da circa una settimana. La costruzione della nuova stagione, che per lui prenderà il via ufficialmente con la Strade Bianche del 1° agosto, procede bene. “Pedalare con i miei compagni mi fa sentire più forte” ha scritto Nibali su Facebook, “mi mancava tantissimo questa sensazione. In ritiro, tra le Dolomiti, stiamo lavorando per creare il miglior meccanismo di squadra. Solo insieme riusciremo, nei prossimi mesi, a costruire qualcosa di importante #WeAreATeam. Con Nibali, sul San Pellegrino, ci sono anche il fratello Antonio, Giulio Ciccone, Gianluca Brambilla, Nicola Conci, Jacopo Mosca, Pieter Weening. Questa, con uno tra De Kort e Bernard, sarà la formazione che affronterà anche il prossimo Giro d’Italia (3-25 ottobre).”Per Giovanni Iannelli”In un altro post molto intenso, Nibali ha sposato l’iniziativa di Carlo Iannelli, papà di Giovanni, il 22enne toscano morto in corsa nell’ottobre 2019 durante una gara regionale a Molino dei Torti (Al). Iannelli ha chiesto alla Federciclismo di dedicare la maglia bianca di miglior giovane del prossimo Giro Under 23 al figlio. Sulla morte di Giovanni, Carlo Iannelli sta conducendo una battaglia giudiziaria: il figlio morì nell’ottobre scorso dopo lo scontro con una colonnina di mattoni non segnalata e non protetta, posta a bordo strada a meno di cento metri dall’arrivo, in un tratto non transennato. Il risultato del Circuito Molinese fu anche omologato. Così Nibali: “Paradossalmente la storia di Giovanni mi lega a una sottile linea… Nel mio caso meno grave, quando qualche anno fa, in una tappa del Tour de France, mi procurai una grave frattura. Nel secondo caso invece la situazione è stata molto più tragica, purtroppo costa cara la vita di Giovanni. Il mio pensiero è racchiuso in una semplice frase detta nel mio gergo !! Mettetele queste minchia di transenne, a pagarne maledettamente le conseguenze alla fine siamo solo noi e le nostre famiglie, e in alcuni casi anche il pubblico. Codeste sono l’unica cosa che ci protegge. Vi chiedo di poter condividere la richiesta di Carlo, affinché il ricordo di Giovanni resti vivo tra di noi”. LEGGI TUTTO