Intelligenza artificiale contro caos reale, slogan per speculatori contro certezze che vengono a mancare agli imprenditori. Il 2019 si apre come i battenti del CES, rassegna tecnologica di immagine che da anni si occupa di auto come un fenomeno di costume. Oppure l’anno iniziato già si chiude, dietro le porte delle sale riunioni più inarrivabili delle case automobilistiche. A voi la scelta. Mentre infatti l’intelligenza artificiale viene passata come una risorsa per la mobilità di un futuro, a questo punto sempre più remoto, gli uffici tecnici delle aziende che si occupano di produrre e vendere autovetture in tempi più ragionevoli si scontrano con l’Unione Europea. Con l’intenzione di combattere l’inquinamento a tutti i costi, anche a quello di travolgere le logiche industriali. I nuovi limiti alle emissioni di CO2 imposti dall’Unione ai costruttori auto per il periodo 2025-2030 prevedono un taglio secco del 37,5% rispetto ai limiti già introdotti dal 2021, ovvero 95 grammi di anidride carbonica per chilometro. Le nuove regole cioè significano un standard che dal 2030 imporrà emissioni pari a 59 grammi per chilometro sulla media della gamma, con l’attenuante di uno step intermedio entro il 2025. Il Parlamento mirava al taglio del 40%, le case automobilistiche puntavano al 30% nella peggiore delle ipotesi.
L’auto ha perso, nel modo peggiore. A capirlo non ci vuole una intelligenza artificiale. L’associazione continentale dei costruttori Acea va dritta al sodo, facendo già balenare in penombra i lineamenti del ricatto. “C’è seria preoccupazione” dice il segretario generale Erik Jonnaert, “Queste misure saranno estremamente impegnative e avranno l’effetto di un terremoto sull’occupazione in tutto il settore, che oggi impiega oltre 13 milioni di persone”.
Arriveranno in questi mesi pressioni da parte dei potenti sindacati dei lavoratori dell’auto tedeschi e francesi, i primi a rendersi conto di quanto questo provvedimento abbia colto di sorpresa i datori di lavoro. Già recapitata invece la reazione di Herbert Diess, numero uno del gruppo Volkswagen, per il quale i 30 miliardi di euro già destinati dalla sua azienda alle auto a batterie non saranno sufficienti. “Significa che il nostro attuale programma di riconversione non è ancora abbastanza“, ha dichiarato, con la concretezza di chi ha già dovuto risolvere le altrui leggerezze strategiche che hanno portato allo scandalo Dieselgate.
Herbert Diess sa bene che quel limite imposto dal 2030 significa poter mantenere in gamma vetture tradizionali a più alte emissioni solo bilanciandole, riuscendo cioè a vendere almeno il 40% di auto elettriche sul totale di ogni marchio. E naturalmente andare a caccia di un numero equivalente di clienti, senza per altro che l’Unione abbia minimamente previsto un sistema di incentivi economici, ma solo generiche agevolazioni per i Paesi Membri dove le auto a batterie rappresentino meno del 5% dell’immatricolato.
Stando alla più recente analisi rilasciata dagli esperti di PA consulting, “Volkswagen, Ford, FCA, PSA, BMW, Daimler e Hyundai-Kia mancheranno gli obiettivi di 95 grammi di CO2 già imposti per il 2021 e comunque bisognerà aspettare fino al 2028 prima che il costo dei veicoli a batteria sia inferiore di quello dei veicoli convenzionali a benzina“. L’anno si apre con l’intelligenza artificiale? Speriamo sia capace di trovare almeno soluzioni reali.