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L'estinzione del Serve & Volley

Forse la vittoria recente di serve and volley più famosa è quella di Stakhovsky su Federer a Wimbledon 2013. In questi due punti si vede tuttavia quanto sia più difficile giocare la prima volée e altrettanto necessario calibrarla quasi perfettamente, rispetto al passato. Federer non era al massimo della condizione ma riesce a vincere il primo di questi due punti nonostante un’ottima stop volley stretta e corta di Stakhovsky.

Queste contingenze hanno fatto gradualmente diminuire l’efficacia del serve and volley in generale, causando un’inevitabile modifica nell’impostazione dei giovani giocatori nelle nuove generazioni. Ma nel caso più specifico di Wimbledon le cose sono cambiate radicalmente dall’edizione 2002, con la famosa finale tra Hewitt e Nalbandian, due fondocampisti puri: come aveva ricostruito Federico Ferrero, già l’anno precedente il capo giardiniere Eddie Seaward aveva cambiato il modo di seminare i campi, passando da un misto di 70% di loietto perenne e 30% di festuca perenne a un composto formato esclusivamente da loietto perenne e pressato in modo differente attraverso i rulli, per rendere il terreno più compatto e dal rimbalzo più alto e regolare.

In questo modo l’efficacia del serve and volley, molto più elevata in passato grazie ai vecchi rimbalzi molto bassi dell’erba, è calata drasticamente. Giocatori di vecchia generazione come Tim Henman e soprattutto Roger Federer hanno diminuito le discese a rete dopo il servizio, mentre i tennisti più giovani – escludendo rarissime eccezioni – non sono più neanche stati impostati in quel modo. Anche i giovani australiani che crescono sull’erba, come Bernard Tomic, Luke Saville, Nick Kyrgios, Thanasi Kokkinakis e ora Alex De Minaur, si adattano ai prati attraverso colpi piatti in anticipo, aperture brevi e rovesci bimani e non praticano serve and volley sistematico. In questo modo, forse per la prima volta dopo oltre 120 anni, la scomparsa del serve and volley e della sua efficacia a Wimbledon rappresenta forse il più grande punto di rottura della storia del tennis dal punto di vista tecnico.

Perché si usa il serve and volley

Non bastano i semplici mutamenti di attrezzi e superfici per giustificare la progressiva tendenza all’estinzione del serve and volley, ma c’entra anche la naturale evoluzione del gioco che sarebbe avvenuta in ogni caso. Nel suo libro Match play and the spin of the ball, il campione Bill Tilden – considerato anche uno dei più grandi studiosi del gioco – aveva anticipato in parte quello che sarebbe prima o poi accaduto e che si è verificato soprattutto con l’arrivo del nuovo millennio: «Il giocatore perfetto da fondo batterà sempre 6-0 il giocatore perfetto di serve and volley», scrisse Tilden, «perché le sue risposte al servizio saranno passanti vincenti».

In effetti anche il semplice aumento dei ritmi di gioco, per ragioni tecniche e atletiche, sarebbe avvenuto anche senza l’abbandono delle racchette di legno e a lungo termine avrebbe forse favorito sempre di più il gioco da fondocampo, anche se in maniera molto più lenta e progressiva nel corso degli anni di quanto realmente accaduto. Il serve and volley oggi si riesce a giocare molto più facilmente a livelli più bassi di quelli dei migliori giocatori al mondo.

Alla base dell’utilizzo del serve and volley c’è ovviamente il vantaggio di non lasciar rimbalzare la palla su un terreno irregolare come quello dell’erba, di spezzare il ritmo da fondocampo di un avversario più solido o di sfruttare i rimbalzi più bassi e rapidi proprio dell’erba e di campi duri piuttosto lisci. Ma non è solo questo. Jack Kramer, nella sua autobiografia del 1979, scrisse che iniziò a giocare serve and volley sistematico in un incontro contro Bobby Riggs nel 1948 come reazione all’aggressione dell’avversario: «Sono diventato famoso per uno stile, il serve and volley, che non avevo pianificato coscientemente. Bobby mi attaccava sempre, anche quando servivo la seconda, per cui mi ha forzato ad attaccarlo a sua volta cercando di prendergli il rovescio, il suo punto debole».

Nel doppio, a parità di livello di gioco tra i quattro tennisti in campo, il punto se lo aggiudica quasi sempre chi riesce per primo a prendere la rete con entrambi i componenti della coppia, coprendo quasi tutto il campo al passante. Rimanere a fondocampo dopo il servizio, anche in doppio, sta diventando una strategia sempre più utilizzata perché in molti casi si preferisce spingere con il dritto come primo colpo, anziché rischiare di prendere una risposta sui piedi a rete. Ma, per lo meno sulle superfici veloci, il serve and volley in doppio rimane ancora pressoché imprescindibile. Per fare un esempio, Marc Lopez è forse il tennista più caratteristico dell’ideale del nuovo doppista, non necessariamente forte con servizio e volée quanto lo è invece nella lettura del gioco e nelle capacità nei passanti e nei pallonetti: tuttavia il suo servizio debole e la sua tendenza a stare a fondocampo hanno creato un’enorme discrepanza tra i risultati in doppio che ha ottenuto sull’erba (a Wimbledon non ha mai passato il terzo turno, il suo miglior risultato in un torneo sui prati) e sulle altre superfici, dove ha raggiunto la finale sia allo US Open che al Roland Garros (l’unico Slam vinto, nel 2016) e la semifinale all’Australian Open, oltre all’oro olimpico con Nadal a Rio 2016 sul cemento.


Fonte: https://sport.sky.it/rss/sport_tennis.xml


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