La conclusione del Caso Sinner-Clostebol ha provocato moltissime reazioni anche nel tennis femminile visto che a livello di regolamenti contro il doping naviga sulla stessa barca di quello maschile. Le migliori giocatrici si trovano attualmente nel Golfo Persico per i due WTA 1000 di Doha e Dubai. Proprio nella avveniristica città degli Emirati Arabi Uniti il quotidiano The National ha raccolto diversi pareri sulla spinosa questione WADA – Sinner che ha suscitato enorme emozione e attenzione. Con sfumature diverse, il concetto espresso è lo stesso: enorme delusione e grande sfiducia o addirittura paura per come funziona il sistema antidoping. Anzi, per come non funziona…
Aryna Sabalenka ha rifiutato di commentare l’esito del caso Sinner, ma afferma di vivere col terrore di infrangere le regole antidoping. “Inizi semplicemente a essere attenta a tutto, in modo quasi maniacale. Come? Ad esempio, prima non mi importava di lasciare il mio bicchiere d’acqua e andare in bagno in un ristorante. Ora invece mi sono imposta di non bere più dallo stesso bicchiere d’acqua. Diventi semplicemente ossessionata dalle cose e situazioni come queste ti salgono in testa… Un esempio: se qualcuno ha usato una crema su di te e tu risulti positiva, ti attaccheranno e non ti crederanno o cose del genere. Quel che è successo ti fa temere di tutto, sono spaventata dal sistema. Non vedo come potrei fidarmi del sistema”.
Durissime anche le parole di Jessica Pegula, ormai totalmente disillusa dal sistema: “La mia reazione è che, indipendentemente dal fatto che tu creda che qualcuno abbia fatto qualcosa o meno, o da qualsiasi parte tu stia, il processo sembra essere completamente andato… Sembra che dipenda solo da qualsiasi decisione e fattore prendano in considerazione, e che si inventino da soli la loro sentenza. Non capisco davvero come questo sia giusto per gli atleti, come sia giusto per i giocatori quando c’è così tanta incoerenza e tu non ne hai idea”.
La finalista all’ultima edizione di US Open e membro del WTA Player Council ha affermato che le incongruenze nel modo in cui i casi vengono elaborati e giudicati stanno creando un ambiente ingiusto per tutti i tennisti. Inoltre tutte le e-mail che i giocatori hanno ricevuto in merito ai casi antidoping contengono spiegazioni banali e risultano come modi per le organizzazioni antidoping di giustificare le loro sentenze e incoerenti procedure. “Che tu sia pulito o meno, il processo è completamente andato”, continua Pegula. “Penso che debba essere seriamente esaminato e riconsiderato. Penso che abbiano così tanto potere da rovinare la carriera di qualcuno. Ritengo che si debba fare qualcosa al riguardo perché sembra tutto davvero ingiusto. Non credo che nessuno dei giocatori si fidi del processo in questo momento. Zero. È solo una pessima immagine per lo sport”. Più o meno questo il tenore di altre tenniste, come Gauff, meno diretta ma scontenta della situazione.
Assai più cauta invece Iga Swiatek, protagonista di un caso di positività la scorsa estate per un prodotto contaminato alla trimetazidina e sospesa per un mese. Per lei niente ricorso della WADA, con la polacca che accettò la sanzione (assai lieve). “Ogni caso è diverso. Ogni storia è diversa, di sicuro”, afferma Iga. “A causa della situazione di Jannik o della mia, visto che siamo delle celebrità oltre a giocare a tennis, ognuno la vede da cento prospettive diverse. Cerco solo di attenermi ai fatti e di leggere i documenti. Confido che il processo alla fine sia stato equo. È l’unica cosa che faccio perché cerco di non giudicare”.
Mario Cecchi