Tutti matti per Joao Fonseca. A Buenos Aires è da poco scattato il classico ATP 250, principale e ormai tristemente unico torneo rimasto in Argentina, e nonostante nel main draw ci siano stelle come Zverev, Rune e i migliori tennisti locali, il giocatore più atteso e chiacchierato è sicuramente il 18enne brasiliano che ha destato enorme impressione dal finale della scorsa stagione e agli Australian Open. Il direttore del torneo Marin Jaite (ex buon giocatore negli anni ’80) ha rilasciato parole al miele per Fonseca, non solo sperando di riaverlo in futuro (la vicinanza con il torneo di Rio gioca a suo favore…) ma perché gli ricorda da vicino i modi, l’educazione e la mentalità di grandi campioni del presente e del passato.
“La prima volta che lo vidi dal vivo fu l’anno scorso, a giugno, al Tenis Club Argentino Challenger, dove perse in semifinale e si faceva già notare con la sua presenza” racconta Jaite. “Mi sembra un ragazzino semplice, genuino, ma ha qualcosa di diverso. È calmo, molto educato. Lo vedi camminare e ha qualcosa di diverso. Osserva tutto con grande attenzione e ti trasmette qualcosa, non è il classico 18enne”.
“Non si atteggia come un farebbe un divo” continua Jaite, “il suo manager mi ha detto che era molto contento che lo avessimo chiamato, inizialmente, per invitarlo. L’unica cosa che mi ha detto è che Joao era molto stanco, perché è partito presto dal Brasile per giocare un Challenger a Canberra, che ha vinto, poi ha giocato in Australia e la Coppa Davis, per questo ha chiesto di giocare al martedì. Sarà una bella partita con Etcheverry, anche se mi dispiace che uno dei due venga escluso, perché sono due tra i più attesi e si affrontano subito. Credo che Fonseca abbia tutto quel che serve per diventare un grande, ma dobbiamo vedere come si adatterà ad essere una persona molto conosciuta. Sono fiducioso per lui perché chi gli sta intorno mi sembra che abbia la giusta attitudine. Per quello che vedo mi ricorda molto Alcaraz, che arrivò qui quando aveva 19 anni e aveva intorno una famiglia molto sana, con persone molto ben inserite e serenità”.
Jaite racconta che dal manager di Fonseca non è arrivata nessuna richiesta particolare per quanto riguarda il trattamento. Questo lo apprezza molto e racconta di come stia affrontando i suoi primi passi nel mondo Pro. “Noi lo trattiamo come se fosse uno dei top, con una camera superior in un albergo a cinque stelle, di fronte all’Obelisco. Ci hanno chiesto dei biglietti per questo martedì perché viene molta gente dal Brasile e ovviamente non ci sono stati problemi. Per noi è anche una scommessa sul futuro, per farci considerare bene nei prossimi anni. Sembra uno di quei giocatori che non sai se torneranno, come accadde all’epoca con Auger-Aliassime. Rafa, ad esempio, è arrivato nel 2005 da giovanissimo e ha impiegato dieci anni per tornare. La cosa bella, in questo caso, è che il torneo di Rio de Janeiro è a seguire e questo gioca a nostro favore”.
“È un ragazzo molto educato, si comporta bene e rispetta tutti. Lo vedi fare quei piccoli, grandi gesti che parlano della sua buona educazione e di come sta cominciando a “capire il gioco” delle pubbliche relazioni. Un esempio? Stringe la mano ai membri dello staff, anche i giornalisti quando conduce interviste più intime, cosa che non tutti fanno (lo faceva Federer per esempio, quasi nessun altro). Esprimere rispetto e gratitudine, mostrare disponibilità con chi lavora per far funzionare un torneo non è una cosa da tutti. Ha carattere e ha la testa ben salda sulle spalle” conclude Jaite.
Fonseca di par suo ha rilasciato poche dichiarazioni. Un paio tuttavia sono interessanti e riguardano come è stato salutato in Brasile al ritorno dall’Australia, con la bellissima prestazione e vittoria contro Rublev, e anche sul ritenersi abbastanza stabile e sereno da non sentire il bisogno di lavorare con uno psicologo, a differenza di moltissimi suoi colleghi, anche giovani.
“La settimana scorsa ero in Brasile” racconta Joao sorridendo ai presenti. “Stavo camminando per strada per andare dal fisioterapista e alcune persone mi hanno fermato per fare delle foto. È stato strano perché è una cosa nuova per me. Dopo l’Australia sono successe cose nuove. Oggi ho molta più visibilità, sempre più persone hanno iniziato a riconoscermi. Internamente cerco di essere come sempre. Quando sono arrivato in Brasile mi sono accorto che tutti erano più attenti a me, ero diventato famoso”.
Fonseca racconta di usare pochissimo il cellulare e di aver deciso di non guardare i social network nel corso di un torneo perché portano solo distrazione. La sua testa deve essere focalizzata solo sulla prestazione, e proprio la testa ritiene che sia uno degli aspetti più importanti per competere al massimo. “Non ho uno psicologo. Ho provato ma non ha funzionato, non mi piaceva. Se ne avrò bisogno in futuro ci andrò, ma penso di avere una buona testa per capire cosa succede intorno a me. Nella mia carriera le cose sono successe molto velocemente: sono passato da junior a raggiungere la top 100 nel mio primo anno da professionista. Essere umile e lavorare sodo è ciò che devo fare. Parlo tanto con il mio allenatore, i miei genitori, ho anche degli amici con cui mi apro, per ora mi trovo bene così”.
“Non mi piace sentire paragoni perché ognuno ha il suo tempo. Guga è uno dei miei idoli ed è il grande idolo di tutti i brasiliani. Dicono che posso essere come lui, ma in realtà io voglio essere solo Joao, voglio fare la mia strada e spero un giorno di essere ricordato per questo, non per un confronto con un altro giocatore” conclude il brasiliano.
Marco Mazzoni