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Carvalho (direttore Rio Open): “Non abbiamo i top che vorremmo e la ATP non ci ascolta. Il tema è la superifice”

Il Rio Open è una festa, un po’ come tutto nella meravigliosa città brasiliana, ancor più nel pieno dell’estate e con il carnevale alle porte pronto a dare colore e musica come pochi altri eventi al mondo. Tuttavia si mastica un po’ amaro nella città carioca, e non solo perché il prodigio Joao Fonseca è uscito subito di scena, con ancora in testa e nei muscoli la vittoria a Buenos Aires. A Rio c’è voglia di crescere, di investire, di accompagnare la quasi sicura esplosione di Joao verso i vertici della disciplina con un torneo ancor più grande, ricco e attraente. Ma i dirigenti del più importante torneo sudamericano si sentono limitati e non ascoltati dall’ATP. E con loro un intero continente che ha storia, tifosi e pure sponsor pronti ad investire ancor più. Abbiamo già trattato il tema di come il nuovo calendario ATP lasci le briciole al grande tennis in America Latina (solo 3 settimane, due 250 e un 500) e nel 2026 sarà ancora peggio perché la data di Buenos Aires sarà ancora più nefasta… Adesso arrivano le parole del direttore del torneo brasiliano, Luiz Carvalho che mette i puntini sulle i e traccia una situazione che non lo rende per niente soddisfatto, oggi e in prospettiva. Tante la carne al fuoco: scarsa visione dal governo del tennis, poca considerazione, il tema della superficie.

Non abbiamo il numero di top player che vorremmo” afferma Carvalho a La Nacion,. “Se guardi al sorteggio di Doha (Carlos Alcaraz, Novak Djokovic, Daniil Medvedev, Alex De Minaur, Matteo Berrettini e Jack Draper tra altri) o quello poco precedente di Rotterdam, che sono ottimi tornei ATP 500, hanno più giocatori di Rio e non perché hanno un budget più grande o fanno un lavoro migliore di noi. No. La questione è sempre la superficie, che ci complica molto la vita”.

I tornei dovrebbero svolgersi sulla superficie che ha più senso e non essere confinati su una superficie perché c’è una percentuale di tornei durante l’anno o perché una fetta di giocatori non vuole perdere altri tornei sulla terra battuta nella stagione. È un argomento decisivo. Se così fosse i giocatori starebbero un anno sulla terra e un altro su duro, ma sono quasi sempre gli stessi che arrivano, non c’è rotazione, non è salutare per noi”.

“In passato Moya e Ferrero giocavano quasi tutto quello che potevano sulla terra battuta e così i tornei sul duro non avrebbero avuto il 1° e il 3° al mondo, cosa che non è neanche salutare. Il circuito dovrebbe avere una serie di tornei sul duro, una su terra battuta e un’altra su erba in modo coerente e facendo sì che le superfici non si mescolino nelle stesse settimane e ci sia parità sportiva. È un argomento complicato. I giocatori non hanno consenso sulla questione”.

Il potenziale di Rio è limitato dal fatto di non essere un torneo su campi in duro; se così fosse avremmo quattro o cinque top ten, con un campo centrale da quindicimila persone. Adesso arriva il momento Fonseca e questo accade dopo gli anni Covid-19. I biglietti si esauriscono subito quando li mettiamo in vendita, e con Fonseca tutto verrà amplificato in futuro. Il Sud America è un mercato incredibile. La differenza con l’Argentina è che hanno molti giocatori tra i primi 100; se il Brasile avesse tanti giocatori quanto loro forse non avrebbe bisogno delle stelle, perché il mercato si muoverebbe da solo, ma la nostra volontà è avere i migliore in gara”.

Qua l’affondo più duro del direttore di Rio al sistema: “Essendo brasiliano e vivendo a Londra, vedo e credo che ci sia una mentalità… quasi discriminatoria nei confronti del Sud America. Come se fossimo i fratelli poveri, non avessimo potenziale e non è così. Tanto meno nello sport. Non c’è più una rappresentanza sudamericana nel consiglio dell’ATP. Recentemente si è verificata una brutta situazione: hanno fatto un’indagine sul mercato mondiale del tennis e l’hanno fatta in otto o nove paesi, ma nessuno di loro veniva dal Sud America. Come si può fare un’analisi di mercato e non utilizzare il Sud America? Usano l’Asia, la Cina e, per favore… vai ai tornei in quelle aree c’è poca gente sugli spalti. In Sud America c’è passione, storia e persone che capiscono il gioco”.

Anche a Rio non hanno accolto per niente bene la decisione dell’ATP di non elevare il torneo di Buenos Aires a categoria 500, poiché si sarebbe potuta creare una sinergia molto importante: “Abbiamo pianto insieme quando Baires non è stato scelto, perché eravamo elettrizzati dal poter avere due 500 uno dopo l’altro. Sarebbe stato un bene per tutti. Abbiamo un bel rapporto, facciamo accordi insieme ai giocatori che arrivano. Martín (Jaite, il direttore) è venuto qualche anno fa a vedere il torneo, gli abbiamo aperto tutte le porte. Non siamo affatto concorrenza. Lo stesso con Santiago del Cile, mi trovo bene con Cata Fillol. Adesso siamo solo in tre in America Latina, contro tutti gli altri. Il Nord America è molto forte, così come l’Europa. Siamo i più piccoli del gruppo. Abbiamo perso forza politica con la ristrutturazione dell’ATP. Non siamo contro l’Arabia Saudita, che fa i suoi affari. Ciò che vogliamo è avere la stessa opportunità di sviluppare qualcosa di simile. Abbiamo del potenziale, ma è dura. Abbiamo poca voce” conclude Carvalho.

Marco Mazzoni


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/


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