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Dropshot addiction

La stagione di tennis sulla terra battuta è ormai entrata nel vivo, e la cosiddetta “smorzata”, o palla corta, assume un ruolo centrale per avere successo in questi campi.
Durante una partita di tennis su questa superficie, infatti, non è raro che un giocatore o una giocatrice, soprattutto dopo un errore, tenda ad eseguire la palla corta anche nei punti successivi, a volte in modo impulsivo, o magari in situazioni di gioco che risultano tatticamente poco consone.

Per comprendere meglio gli aspetti mentali che si nascondono dietro questo comportamento, può essere utile riflettere sui cosiddetti meccanismi di ricompensa.
La propensione a ricercare sensazioni di piacere, soddisfazione o gratificazione, avviene grazie alla dopamina, un neurotrasmettitore che mette in moto il cosiddetto “sistema della ricompensa”, un gruppo di strutture neurali responsabile della motivazione e delle emozioni positive, che ci induce a ripetere determinati comportamenti alla ricerca di appagamento, anche solo con la semplice anticipazione di una sensazione gratificante.

Seguendo questa logica, quindi, la mancata ricompensa derivante da una smorzata fallita, con la sensazione negativa che ne consegue, dovrebbe disincentivarci dal ritentare la stessa soluzione nei punti successivi.

Quello che però capita spesso di osservare nel campo da tennis, in seguito a una palla corta che finisce in rete, è che nonostante l’aspettativa di ricompensa venga disconfermata, si verifichi la tendenza a ripetere il medesimo gesto tecnico, magari in situazioni di gioco tutt’altro che favorevoli, alla ricerca di miglior sorte, come se si venisse catapultati improvvisamente all’interno di un casinò: “ritenta e sarai più fortunato”.

Ma allora perché accade questo?
Il cosiddetto effetto “Near miss”, come ha dimostrato lo psicologo Reza Habib in una delle sue ricerche, può aiutarci a dare una risposta a questo quesito.

E’ stato dimostrato, infatti, che di fronte alle cosiddette “sconfitte per un soffio”, che ad esempio possono verificarsi quando, giocando a freccette, si manca di pochissimo il centro, si inneschino gli stessi circuiti neurali che vengono attivati quando si sperimenta una vittoria vera e propria.

Ad aggiunta di ciò, in condizioni di stress, il bisogno di ricevere una ricompensa può diventare tre volte maggiore rispetto a situazioni di normalità.

In sintesi dunque, il ripetuto tentativo di schemi di gioco “quasi vincenti”, potrebbe scaturire dalla sensazione positiva derivante dal rilascio di dopamina, che potrebbe spingere il giocatore a ritentare una giocata anche quando questa non si è dimostrata vincente.

Avere consapevolezza di questi aspetti, in conclusione, potrebbe risultare utile all’atleta per evitare la tendenza a ricercare la gratificazione immediata attraverso un colpo “ad effetto”come la palla corta, e agevolare la rifocalizzazione dell’attenzione verso schemi di gioco più congeniali.

Marco Caocci
Psicologo


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/


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