In Brasile lo sport è pressoché una religione e la pallavolo è la principale disciplina sportiva ad essere giocata in quel paese a livello professionistico sia dalle donne che dagli uomini, con un seguito di poco inferiore a quello del calcio.
E da Rio de Janeiro, la seconda città del Brasile dopo San Paolo, proviene il protagonista di questa straordinaria storia di pallavolo: Paulo Roberto de Freitas, più noto come Bebeto, con la sua Maxicono Parma dei primi anni ’90 del secolo scorso.
Bebeto, un uomo che oggi non è più tra noi a causa di un maledetto infarto che se lo è portato via nel 2018 a soli 68 anni, oltre che ad essere un allenatore di pallavolo è stato anche un grande appassionato di calcio, sport che ha influenzato considerevolmente la sua filosofia sportiva.
Bebeto, che nasce il 16 gennaio del 1950 a Rio de Janeiro, nel 1970 all’età di vent’anni rimane folgorato da una delle più grandi squadre della storia del calcio, la nazionale brasiliana del mondiale di Messico ’70.
Una squadra unica nel suo genere, capace di schierare contemporaneamente in campo cinque numeri dieci, facendoli straordinariamente coesistere. Gerson, Pelé, Rivelino, Tostao e Jairzinho, calciatori che in quel Brasile hanno rappresentato l’archetipo del football,
Possesso palla, giocate funamboliche, verticalizzazioni improvvise, movimento continuo. Persino i terzini, giocatori notoriamente con i piedi montati al contrario, danno del tu al pallone come solo le mezzali sanno fare. Una perfetta macchina da football. Bebeto, ottimo giocatore di pallavolo con un palmares di 11 titoli brasiliani e la partecipazione con la nazionale verdeoro ai Giochi Olimpici di Montreal 1976, di ruolo era palleggiatore e quindi un po’ già allenatore.
Una volta terminata la carriera da atleta diventa allenatore a tutti gli effetti con l’obiettivo di trapiantare i principi di quella straordinaria nazionale brasiliana di calcio negli ottantun metri quadrati di un campo di pallavolo.
Dopo aver svolto il ruolo di CT della nazionale brasiliana (conquistando la medaglia d’Argento alle Olimpiadi di Los Angeles 1984) nel 1991 inizia la sua avventura nella pallavolo italiana approdando alla Maxicono Parma per sostituire Gian Paolo Montali, esonerato a sorpresa dal Presidentissimo Carlo Magri dopo la conquista del grande Slam.
Estate, quella del 1990, nella quale i ducali per ragioni di bilancio devono dare addio ad Andrea Zorzi, il loro martello di punta. Lo sostituiscono con il nazionale brasiliano Carlao, universale d’attacco dotato di uno spaventoso potenziale offensivo.
L’avventura nella nostra serie A1 non inizia però nel migliore dei modi, né per Bebeto né tanto meno per Carlao. L’attaccante di Rio Branco, anche a causa di qualche infortunio, fatica a rivelare per intero le sue enormi potenzialità, esattamente come l’intera squadra che Bebeto riesce a far esprimere soltanto a corrente alternata.
Ciononostante, gli emiliani riescono a conquistare la finale scudetto dalla quale escono però con le ossa rotte contro il grande Messaggero di Kiraly e Timmons al quale devono inchinarsi in sole tre partite.
Bebeto analizzando i motivi della sconfitta intuisce che per sviluppare la pallavolo che ha in mente ha bisogno di un palleggiatore con caratteristiche diverse da quelle di Jeff Stork, californiano in uscita da Parma con direzione Milano, allettato dal progetto tecnico e dai dollari della Mediolanum di Silvio Berlusconi.
Una Maxicono che avendo in organico una batteria di grandissimi attaccanti quali Andrea Giani, Pasquale Gravina, Marco Bracci, Gouveia Carlao e Renan Dal Zotto può essere valorizzata appieno soltanto da un alzatore capace di sviluppare un gioco “brasiliano”, basato su schemi d’attacco rapidissimi e capaci di coinvolgere più attaccanti contemporaneamente.
Tra quelli disponibili sul mercato Bebeto ne individua uno a cui nessun grande club fino ad allora aveva pensato: Peter Blangè, nella stagione precedente alla Terme Acireale Catania, che dall’alto dei suoi 205 centimetri è l’alzatore più alto della pallavolo mondiale.
Il lungagnone orange, grazie alla possibilità di toccare il pallone ad altezze siderali riesce a disegnare traiettorie con la sola azione dei soli polsi, rendendole di difficile lettura per il muro avversario. A ciò aggiunge una ragguardevole velocità di uscita della palla dalle mani, provocando all’attrezzo straordinarie accelerazioni, capaci di mandare in tilt i più sofisticati sistemi di muro delle squadre avversarie.
Sarà proprio questa innovativa organizzazione di gioco, magistralmente orchestrata da Peter Blangè, la base dei successi della Maxicono 1991/92 (Scudetto, Coppa Italia e Coppa CEV).
Una squadra che verrà ricordata come una delle più spettacolari di tutti i tempi grazie alle svariate ed innovative soluzioni tecnico – tattiche, soprattutto in fase di ricezione – attacco. Renan Dal Zotto che dopo aver ricevuto in zona cinque attacca secondi tempi a velocità supersonica da posto due, Carlao che pur giocando da opposto attacca in più rotazioni in primo tempo, per finire con i centrali che, oltre che a schiacciare dal centro, attaccano anche dalla seconda linea.
Una pallavolo mai vista fino ad allora e mai più rivista negli anni a venire. Un volley non solo bello e divertente ma pure straordinariamente efficace, con una Maxicono capace di vincere anche il campionato 1992/93 pur orfana di un altro dei suoi fuoriclasse, quel Renan Dal Zotto ceduto nell’estate 1992 a Ravenna. Bebeto riuscirà a sopperire anche a quell’assenza alternando in campo i giovanissimi Riccardo Michieletto, Giacomo Giretto e Mirko Corsano a chiusura del settetto base composto da Blangè, Carlao, Bracci, Giani e Gravina.
E lo farà mettendosi alle spalle vere e proprie corazzate quali Treviso, Milano e Ravenna, capaci di schierare campioni del calibro di Kiraly, Timmons, Vullo, Cantagalli, Bernardi, Zorzi e Lucchetta, solo per citarne alcuni.
Un grande allenatore il brasiliano. Uno straordinario innovatore, probabilmente il più grande del secolo scorso da questo punto di vista, alla pari di altri guru della storia del volley quali Julio Velasco e Doug Beal. Fenomenale sia riguardo al lavoro in palestra (fu un antesignano della preparazione fisica applicata alla pallavolo) che in panchina, dove metterà in mostra una straordinaria capacità di lettura delle partite che tatticamente sapeva giocare meglio di chiunque altro.