Gianmarco Pozzecco è l’esempio che alle volte il cuore può vincere il cervello, la razionalità, è l’esempio che l’istinto può battere schemi e ragionamenti, è l’esempio che 1 metro e 80 può essere di più di 2 metri, è l’esempio che mossi dalla follia, noi esseri umani, siamo capaci di tutto. E’ stata una lunga chiacchierata e che probabilmente avremmo continuato per tutto il giorno, un’escalation di passione, con quel linguaggio diretto che lo ha sempre contraddistinto e la passione di un grande campione che ha portato la sua esperienza in panchina.
L’amore tra Gianmarco Pozzecco e il basket inizia già nella tenera età, quando quest’ultimo seguiva le partite del padre. Infatti all’età di quattro anni si iscrive ad un corso di mini-basket con suo fratello. Nelle giovanili milita dell’APU Udine, dove mostra le sue doti di playmaker e nel 1991 esordisce in prima squadra in A2.
Nel ’93 approda in serie A alla Libertas pallacanestro Livorno, dove chiude la stagione con 17 minuti di media a partita. Già dal primo anno il “Poz” dimostra grande velocità, visione di gioco, tiro da 3 punti e soprattutto genio e sregolatezza; suo unico tallone d’Achille senz’altro la difesa.
Inoltre dimostra di essere un grande amante della vita mondana e di essere poco ligio al dovere. È per questo che molti iniziano ad interrogarsi sul livello cestistico che Gianmarco Pozzecco avrebbe potuto raggiungere se avesse condotto una vita più regolare.
Nell’intervista da me svolta all’atleta, ho provato a dare finalmente una risposta a questo grande interrogativo chiedendogli: “Sei l’esempio vivente che vita mondana e grandi prestazioni in campo possano coesistere; pensi che facendo una vita più regolare avresti espresso un basket di livello superiore? O il tuo estro in campo ne avrebbe risentito?” E lui ha risposto dicendo: “Penso che un ragazzo di 25 anni non possa pensare al basket 24 al giorno… sarebbe autistico. Sono convinto che debba avere l’intelligenza di capire che la pallacanestro gli migliora la vita e che non c’è nulla di più divertente al mondo”. Nell’estate del ’94 Varese si aggiudica la contesa (per restare nel gergo cestistico) per il giovane triestino. Qui “la Mosca Atomica”, come verrà subito soprannominato dalla tifoseria varesina per via delle sue doti funamboliche, trova l’ambiente ideale per crescere cestisticamente e psicologicamente.
Entra a far parte di questa squadra che, più che una squadra, viene definita una banda di “ragazzacci”: tra cui “il menego” Meneghin e Sandrone de Pol. A rendere ancor più speciale la nuova avventura di Pozzecco ci pensa sicuramente Charlie Recalcati, allenatore emergente che prende in mano la squadra nel ’97. Fin da subito dimostra grande tatto e grande elasticità, doti necessarie per gestire, o meglio, NON gestire Gianmarco Pozzecco, esaltandone quindi le doti. In una delle prime interviste Recalcati dice: “ è importante che ci sia da parte del gruppo di lavoro la comprensione che Pozzecco è così, deve essere così, e solo se è così può essere quell’arma in più che permetterà alla squadra di vincere sfide importanti.”
Correva l’anno ’97, e l’influenza del nuovo coach su Pozzecco fu straordinaria, le sue prestazioni iniziarono ad essere sempre più brillanti e continue, tanto che arriva l’attesissima chiamata della Nazionale maggiore.
L’anno 1999 fu sicuramente il più esaltante per Pozzecco che con la sua squadra conquista il decimo scudetto nella storia di Varese in finale contro Treviso (che dominava la scena italiana ed europea in quegli anni), e quindi la stella; nello stesso anno arriverà anche la Supercoppa italiana. Proprio in finale con Treviso Pozzecco dimostra tutta la sua follia realizzando una tripla da 9 metri, senza ritmo e marcato, ammazzando (come ama dire lui) la partita. Sempre nel ’99 partecipa al McDonald’s Championship a Parigi. L’anno magico sembra non finire, e l’eco delle sue prestazioni arriva fino in Nba, dove Tim Duncan dichiara: “mi ha impressionato quel piccolo giocatore con i capelli rossi”. Proprio da questo suo essere “piccolo”, ovvero di bassa statura rispetto alla media dei giocatori di basket, nascono le sue doti migliori; Pozzecco a tal proposito dichiara in un’intervista: “per andare a tirare in faccia ad uno di 2,10 metri mi dovevo inventare qualcosa di particolare, di inaspettato.”
Nel 2001 viene stregato dal fascino del Nba, dove trova dimora nei Toronto Raptors; qui disputa un’intera Summer League, con risultati non esaltanti, dimostrando che il basket americano fa della statura un requisito fondamentale.
Dal 2002 al 2005 ad assicurarsi le sue prestazioni è la Fortitudo Bologna, dove nell’ultimo anno i contrasti con il nuovo tecnico Repesa sono notevoli, tanto che viene messo fuori rosa e per non restare fermo termina la stagione in Spagna, nella Cai Saragozza.
Nel 2004 vi è un’altra tappa fondamentale della carriera di Pozzecco, infatti è l’anno dell’ olimpiade di Atene, ed in panchina ritrova Charlie Recalcati, che ha bisogno dell’estro della “mosca atomica”. L’Italia in quest’avventura è protagonista di un percorso fantastico, trascinata da un sublime Pozzecco. Ma arrivata la semifinale i giochi si fanno duri, forse troppo: l’Italia deve far fronte ai colossi della Lituania, campioni d’Europa. Gli avversari la fanno da padroni, e l’Italia sembra non essere all’altezza, allora Recalcati si gioca la carta Pozzecco. L’impatto sulla partita del Poz è devastante, punti, assist ed un rimbalzo in cui sfida le leggi della fisica, seguito dalla tripla del pareggio. Da questo canestro in poi cambia totalmente la mentalità della squadra, e gli azzurri trovano lo storico successo. Finale poi persa
Nella stagione 2007/2008 fa finalmente ritorno in Italia, stavolta in Sicilia, a Capo D’Orlando dove conclude la carriera e inizia quella di coach.
Nel novembre 2012 viene nominato nuovo allenatore dell’UPEA Capo d’Orlando in sostituzione di Massimo Bernardi (Legadue). Prende in mano la squadra in ultima posizione (0-6) e chiude la stagione all’undicesimo posto. In estate decide di prolungare il suo rapporto con l’Orlandina Basket.
Nella stagione 2013/2014 diventa l’allenatore di Matteo Soragna e Gianluca Basile, suoi ex-compagni in Nazionale, ingaggiati nel mercato estivo dalla dirigenza paladina. La sua Orlandina chiude seconda in stagione regolare e arriverà in finale perdendo la serie 3-0 contro l’Aquila Basket Trento. Il 13 giugno 2014 Gianmarco Pozzecco firma un contratto biennale con la Pallacanestro Varese, nella massima serie (Serie A). Il debutto nella massima serie nelle vesti di allenatore coincide con una vittoria nel derby casalingo contro Cantù. Si dimette alla fine del mese di febbraio 2015.
Per le due stagioni successive lavora come assistente dell’ex compagno di squadra Veljko Mršić al Cedevita Zagabria, in Croazia.
Pozzecco torma in Italia alla fine del mese di marzo 2018 per allenare la Fortitudo Bologna in Serie A2, ereditando la panchina di Matteo Boniciolli. Dopo pochi mesi, a giugno, rescinde il contratto. Nel 2019 torna su una panchina di Serie A: allena la Dinamo Sassari. Con il team sardo conquista la FIBA Europe Cup in finale contro i tedeschi del S.Oliver Würzburg.
Estro, caparbietà, un pizzico di sana pazzia e sagacia sono alcune delle caratteristiche che ha dimostrato in campo e in panchina: quali di questa l’ha aiutata di più in questa delicata fase di quarantena forzata?
Sagacia cancellalo(ride)…oggi sono il risultato di quella che è stata la mia vita. Ho vissuto immerso in una centrifuga auto alimentata, giocando a pallacanestro, vivendo in mezzo alla gente. Energico e con grande entusiasmo di vivere, la pallacanestro mi ha permesso di vivere tantissime esperienze conoscendo persone molto interessanti che probabilmente non avrei mai avuto il piacere di conoscere e frequentare. Ho un vissuto…vissuto, ed oggi che ho 47 anni, ho trovato una stabilità sentimentale che diventa fondamentale nella vita di un uomo. Sono prossimo al matrimonio e ne sono veramente felice. Mi sono dato una calmata, fino a qualche anno fa ero completamente diverso, sono diventato pantofolaio, leggo Massimo Recalcati (psicoanalista, saggista e accademico) e vado contro una società iper consumistica e iper capitalistica. Contro questa società che pensa solo alle cose materiali che ho imparato a capire non essere essenziali nella vita di tutti i giorni. Questo maledetto virus ci condizionerà in maniera determinante, alla fine apprezzeremo la possibilità di abbracciare qualcuno e bere un caffè al bar. Mi dispiace per la gente che sta soffrendo situazioni economicamente drammatiche, ma voglio essere positivo per il futuro, pensando ad un miglioramento generazionale.
La Dinamo Sassari ha appena festeggiato i 60 anni, ma sembra giovanissima, ci racconti il suo apporto con il Presidente Sardara e cosa vi siete prefissati per la prossima stagione?
Ancora prematura, quotidianamente approfondisco il lavoro di scouting, e siamo attivi sul mercato vagliando svariate ipotesi. Stiamo vivendo troppe incognite ancora, anche se qualche data all’orizzonte inizia a vedersi. Troppe variabili ancora da valutare e gestire come ad esempio il giocare o non giocare a porte aperte. Con Sardara ci litigo spesso(ride), perché è un vulcano intraprendente ed estremamente intelligente: siamo molto simili e siamo due persone che hanno un forte senso di responsabilità. È un decisionista che non ha paura di assumersi responsabilità scappando da decisioni che possono essere condizionanti. Anche quando abbiamo avuto visioni differenti, siamo consapevoli che lavoriamo per lo stesso obiettivo che è il bene della Dinamo Sassari. A Torino è stato geniale, ha portato un modello vincente e i tifosi devono essere grati al suo progetto che ha costruito in pochissimo tempo insieme ad uno staff competente.
Come tutti gli appassionati e addetti a lavori, si pensa basket h 24, quali sono le sue idee riguardo le nuove formule di campionato di A1?
Ho le idee ben chiare e sto studiando, insieme ad altre persone responsabili come Pillastrini, il percorso che ci potrebbe portare alla realizzazione delle mie idee: la base deve essere il bene della pallacanestro mettendo da parte il proprio orticello. Finora è prevalso l’interesse personale, troppi annunci e ci si scontra spesso con presidenti che pensano quasi esclusivamente alla sopravvivenza del club e al vantaggio sportivo. Io non voglio avere vantaggi di alcun tipo, a partire dagli arbitraggi in un’ottica di equità sportiva che mi porto dietro fin da piccolo quando nei campetti di periferia sceglievo i più scarsi cercando gli stimoli per emergere partendo da una situazione più difficile. Ho giocato in squadre, Fortitudo a parte, che non partivano con il favore del pronostico, ma abbiamo raggiunto risultati importanti come lo scudetto a Varese e tanti altri. Sento un grande senso di responsabilità per dare una mano alla pallacanestro, bisogna rimettere al centro l’Usap (Unione Sindacale Allenatori Pallacanestro) che finora ha avuto un ruolo marginale; ci vorrà del tempo e il miglioramento sarà progressivo e non immediatamente tangibile. Bisogna avere una visione a lungo termine, abbandonare l’idea della programmazione anno per anno che porterebbe solo risultati parziali.
Un ringraziamento particolare alla Dott.ssa Valentina Sanna – Ufficio Stampa Dinamo Sassari