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Operazione NO HALO: sviluppare un nuovo concetto di F1 si può!


“La sicurezza prima di tutto”, “è brutto, ma se serve per la sicurezza allora va bene”. Sono queste, a grandi linee, le frasi (fatte) che riecheggiano da anni e, soprattutto, negli ultimi mesi. Tra nobili finalità e notevoli quantità di utopico buonismo motoristico, i fanatici della “sicurezza-a-tutti-i-costi” hanno partorito Halo. Halo, dunque, incarna l’apice della demagogia in fatto di sicurezza. Esteticamente ripugnante, ampiamente sopravvalutato nelle sue miracolose, salvifiche funzionalità. Un dispositivo che, nei fatti, vanifica gran parte del lavoro messo in atto dai legislatori FIA – ci riferiamo alle norme entrate in vigore nel 2017: gomme più larghe, dimensioni di alettone posteriore, carrozzeria, ecc. – finalizzato a conferire alle monoposto un aspetto più “aggressivo” e gradevole.

La salvaguardia dei piloti rappresenta un principio fondamentale del motorsport contemporaneo. Tuttavia, la ricerca ossessiva, utopica, isterica e – ribadiamo – demagogica della sicurezza ha prodotto, nel corso di tanti anni, evidenti, palesi storture a più livelli: dalle vetture – sovente imbruttite e rese più goffe nel nome della sicurezza – ai circuiti, in numerosi casi snaturati e depauperati di difficoltà e “brivido” in nome di un concetto di sicurezza che tende, idealmente, a perdonare il minimo errore riducendo quanto più possibile la percentuale di rischio. E va da sé che anche le gare risentono, in negativo, di questa ossessionante “paura del rischio”: tra Safety Car, vere o virtuali, e altri sedativi, le gare moderne spesso vivono lunghi periodi di letargo, in cui la lotta in pista è di fatto neutralizzata. Motorismo a “rischio zero”: un nonsenso.

L’introduzione dell’Halo si inserisce perfettamente in questa cornice. In uso, attualmente, solo in Formula 1 e Formula 2, l’Halo diventerà nei prossimi anni sempre più parte integrante delle monoposto a ruote scoperte, dall’Europa al Nord America, dalla F1 alla Formula E. Brutto e, probabilmente, persino sopravvalutato: è possibile, allora, concepire monoposto che garantiscano protezione per la testa del pilota ma che, al contempo, sappiano coniugare appagamento estetico e sicurezza?

Nel biennio 2016-2017, mentre i tambureggianti test sull’Halo andavano a definire le specifiche circa la sua fattura e la compiuta e definitiva introduzione in ottica 2018, Red Bull e Ferrari sperimentavano due diverse alternative. Due “Shield”, due “Aeroscreen” in stile aeronautico, caratterizzati da un’ampia superficie trasparente. Più massiccio e goffo (per non dire brutto) quello proposto dalla Red Bull, decisamente più snello e meglio integrato alla vettura il canopy trasparente testato dalla Ferrari. Scopo – ovvio – di entrambi i dispositivi è, anzitutto, proteggere la testa del pilota da eventuali detriti nel senso di marcia. Rispetto all’Halo, i suddetti “shield” offrono minor protezione in caso di collisione tra auto, eventualità in cui ruote o la vettura stessa possono impattare contro la testa dei piloti. Halo, infatti, grazie all’elemento (in titanio) superiore, è in grado di arginare questi tipi di impatti. Allo stesso tempo, Halo offre scarsa (per non dire nulla) protezione contro i detriti frontali, i quali possono ancora colpire il casco del pilota qualora – e le probabilità sono assai elevate – si insinuino nelle vistose aperture che il controverso dispositivo concede frontalmente.

La protezione della testa del pilota è divenuta, ormai, una priorità. La F1 ha introdotto Halo, la IndyCar sta mettendo a punto il proprio “Windscreen” – concettualmente molto simile alle soluzioni proposte da Red Bull e Ferrari –, ACO ha bandito la realizzazione di Prototipi LMP ad abitacolo aperto contemplando, quindi, esclusivamente biposto coupé.

Vetture formula ad abitacolo sempre più protetto o addirittura chiuso, pertanto, sono e saranno una realtà sempre più tangibile e diffusa. In passato, abbiamo avuto esempi di monoposto ad abitacolo chiuso – in modo totale o parziale – a fini aerodinamici. Interessanti esperimenti “low drag” circoscritti, tuttavia, a saltuarie apparizioni sin dagli albori dell’automobilismo sportivo. Se oggi un “aeroscreen” viene ritenuto – demagogicamente – un dispositivo di sicurezza, in passato era considerato un mero strumento aerodinamico.

Per i puristi, monoposto ad abitacolo chiuso suonano come una infernale bestemmia. Il fascino di una vettura formula – ma non solo – ad abitacolo scoperto è indubbio e imperituro. Fatto è che è possibile concepire straordinarie monoposto a ruote scoperte secondo configurazioni “closed cockpit”. In luogo dell’Halo, dunque, “aeroscreen” ben integrati al resto della vettura.

Tarlo delle attuali proposte – Halo, “Shield” Red Bull e Ferrari e “Windscreen” IndyCar – è la non perfetta integrazione dei siffatti dispositivi al resto della vettura. Se Halo, in questo senso, costituisce l’apice di questa mancata integrazione (una bizzarra forma ad infradito che, all’estetica, bene non fa…), anche sul versante “Shield” e “Windscreen” le stonature non mancano.

Tutto, infatti, risulta posticcio e sgraziato: si tratta, del resto, di elementi installati a bordo di vetture originariamente nate per non ospitare tali dispositivi. Muso e “aeroscreen” mal si sposano, andando così a produrre un effetto visivo sgradevole e disegnando auto decisamente buffe e sproporzionate; nello specifico, questo effetto risulta particolarmente accentuato prendendo in esame lo “Shield” Red Bull ed il “Windscreen” installato – ancora in via sperimentale – sulla Dallara IndyCar. Più integrato al muso è lo “Shield” Ferrari, grazie al suo andamento particolarmente affusolato, a prolungare la propria sagoma trasparante in modo sinuoso verso la parte anteriore della scocca. Considerando, inoltre, che tali dispositivi sono o verranno unificati (ossia, team e costruttori non possono e potranno progettare dispositivi alternativi realizzati ad hoc per le proprie vetture), è bene che questi vengano quanto più possibile concepiti di concerto ai regolamenti tecnici e alla forma di vetture che questi ultimi andranno a produrre.

La soluzione auspicabile, evidentemente, è cestinare gli attuali regolamenti tecnici e riscriverne di nuovi, lasciando ampia libertà interpretativa anche per quanto concerne “aeroscreen” e canopy protettivi “a bolla”. Solo lasciando libertà di progetto, i tecnici potranno realizzare monoposto ad abitacolo protetto o integralmente chiuso accattivanti e le une diverse dalle altre, in grado, quindi, di armonizzare al meglio sin dai primi schizzi progettuali le esigenze legate alla sicurezza e alla aerodinamica.

Oggigiorno è possibile realizzare monoposto ad abitacolo chiuso sicure e funzionali. La tecnologia non manca. Basti pensare ai Prototipi LMP – vetture ad abitacolo chiuso che garantiscono elevata sicurezza e appagamento estetico –, alla motonautica e ai dragster Top Fuel, vetture queste ultime provviste di canopy integrale. Il web brulica di render futuristici di monoposto ad abitacolo chiuso o parzialmente protetto, alcuni dei quali ai limiti della nausea e del grottesco.

Tre proposte: la frontiera delle F1 “closed cockpit”

Vogliamo proporre anche noi tre ipotesi di monoposto ad abitacolo chiuso e parzialmente protetto. Tre sobri schizzi, tre modelli che ci hanno non solo consentito di esplorare questo particolare aspetto tecnico, ma anche di elaborare soluzioni tanto estreme quanto percorribili se solo i regolamenti tecnici lasciassero spazio a tali espedienti.

Nel settembre 2014, avevamo studiato una monoposto ad effetto suolo a bassa resistenza aerodinamica particolarmente estrema. L’abitacolo è aperto ma il pilota siede in posizione molto incassata. È necessario, quindi, ricorrere ad un’ampia superficie trasparente – davanti al muso e ai lati del cockpit – affinché il pilota possa usufruire di una adeguata visuale.

Qui proponiamo uno studio di monoposto provvista di canopy integrale. L’abitacolo è debitamente ventilato mediante due prese d’aria poste davanti al canopy stesso; il trasparente del tettuccio, inoltre, è dotato di sfogo dell’aria, visibile a monte dell’incasso all’interno del quale è posta la apertura esterna del tettuccio stesso. Lo studio risale all’ottobre del 2016.

Un abitacolo chiuso, ovviamente, non pregiudica la fantasia e la varietà di soluzioni applicabili. Qui mostriamo un recente studio – datato luglio 2018 – di vettura monoposto a ruote scoperte. Anche in questo caso, abbiamo ipotizzato un muso (corto e basso) molto spiovente, soluzione che consente di integrare alla perfezione un canopy integrale di tipo aeronautico.

In tutte e tre le ipotesi, abbiamo optato per musi corti ed abitacoli avanzati, abbandonando, quindi, l’impostazione moderna che vuole musi extra-lunghi ed abitacoli assai arretrati allo scopo di garantire massima sicurezza per le gambe del pilota. È possibile, con le tecnologie moderne, realizzare musi più corti ed abitacoli più avanzati pur rispettando i rigidi parametri FIA circa le molteplici norme di sicurezza? Sì, e benché i nostri schizzi propongano vetture estreme e frutto (inevitabilmente) di un gusto personale “old style”, un primo esempio è costituito proprio dal mondo americano (CART, IndyCar), da sempre e ancora fedele a musi più compatti, nonostante ci siano in gioco vetture da oltre 360-370 km/h (ed ovali privi di vie di fuga). Un secondo esempio è il mondo dei Prototipi a ruote coperte: vetture decisamente più compatte delle F1 (passi inferiori o pari ai 3 metri, lunghezza totale massima inferiore ai 5 metri), anch’esse a norma FIA e dalle prestazioni esuberanti, ma dotate di frontali e musi più corti.

In ogni caso, la condizione necessaria affinché si possano concepire monoposto coperte, sicure e anche accattivanti è porre le basi per nuovi concetti di monoposto. Le linee, i canoni e le forme delle attuali Formula 1 difficilmente potranno accogliere ed integrare al meglio dispositivi “aeroscreen” integrali o particolarmente carenanti ben armonizzati al resto delle vetture. Raccordare l’”aeroscreen” a gran parte della lunghezza del muso, infatti, può non bastare. La linea della vettura risulterà comunque appesantita, poiché l’”aeroscreen” dovrà proteggere, schermare e “nascondere” la testa in modo totale nella vista frontale. Il risultato, insomma, è un insieme frontale muso-“aeroscreen” massiccio e alto.

Non solo. Come in passato, questi “aeroscreen” debbono poter svolgere anche una marcata funzione aerodinamica e non solo essere considerati dai legislatori dei meri dispositivi di sicurezza al pari di un Halo. Infine, ribadiamo, debbono poter essere progettati e sviluppati dai costruttori in totale libertà, fatte salve quelle logiche disposizioni regolamentari in fatto di materiali, carichi statici, crash-test, sistemi di sgancio rapido del canopy (totale o parziale, a seconda delle necessità di intervento ed uscita/estrazione del pilota) in caso di incidente (comando interno – azionabile dal pilota –ed esterno, azionabile dai commissari) e così via.

I legistalori hanno tra le mani un’occasione d’oro: sfruttare ragioni di sicurezza – sempre tenute in alta considerazione nei palazzi del potere tecnico e sportivo automobilistico – per approntare un nuovo concetto di Formula 1. Un concetto di F1 che abbracci uno spettro di forme e soluzioni più ampio rispetto a quello – ormai molto appiattito ed uniformato – attualmente in vigore. Una rivoluzione ad ampio respiro, tanto inedita quanto stimolante.

Che l’operazione “no Halo” abbia inizio (si spera…).

Scritto da: Paolo Pellegrini


Fonte: http://www.circusf1.com/2018/feed


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