Tutti i giornali dell’epoca si concentrano paradossalmente sui tre che avevano provato l’impresa. Savoldelli sembra relegato a un ruolo secondario, quasi un attore non protagonista. Si parla della grande sconfitta di Gilberto Simoni, dei crampi di Di Luca, della storica vittoria di Rujano, come se la maglia Rosa fosse solo un dettaglio, la cornice di un quadro più grande di lei. Per Luigi Panelli, su Repubblica, Savoldelli semplicemente “resiste e si prende il giro” mentre Simoni “attacca e dà tutto”, Di Luca “è scatenato” e la maglia Rosa, umilmente, “non molla”.
Invece Paolo Savoldelli era il vero vincitore di quella giornata, pur non rispettando i canoni classici dell’eroe ciclistico. «Oggi avrò perso dieci anni di vita», sono le sue prime parole subito dopo il traguardo. La solitudine di un uomo normale catapultato a sua insaputa nella storia del Giro d’Italia.
What if
Alla luce dei distacchi registrati in quella tappa viene naturale chiedersi cosa sarebbe successo se alcuni episodi chiave fossero andati diversamente.
Innanzitutto se Ardila non avesse aiutato Savoldelli sullo sterrato del Colle delle Finestre: probabilmente “il Falco” avrebbe perso molto di più, forse sarebbe addirittura andato in crisi a pochi chilometri dalla vetta. In parte è successo nel momento in cui Ardila si è messo per la prima volta davanti. In quel momento Savoldelli ha perso qualche metro e probabilmente sarebbe sprofondato psicologicamente e fisicamente nel baratro se il colombiano non si fosse fermato per aspettarlo. La maglia Rosa avrebbe scollinato con circa tre minuti di ritardo, e a quel punto anche un’eventuale rimonta in discesa sarebbe stata improponibile.
In secondo luogo, la decisione di Savoldelli di non staccare gli altri in discesa anche a costo di rallentare la sua azione. Se fosse andato via, accecato dalla voglia di recuperare, si sarebbe ritrovato in fondo da solo, perso nel limbo fra i tre di testa e il gruppetto dietro che a quel punto non avrebbe avuto nessun interesse ad aiutarlo. Lanciato in un disperato inseguimento solitario, Savoldelli sarebbe rimbalzato sulle rampe del Sestriere perdendo il Giro d’Italia.
Il terzo episodio sono i crampi di Danilo Di Luca. Fino a quel momento, il ciclista abruzzese si era rivelato un preziosissimo alleato per la causa di Gilberto Simoni, sia sul Finestre che nel fondovalle prima del Sestriere. Dopo essersi fermato per i crampi, Di Luca quando è ripartito ha mantenuto costante il suo ritardo dai due al comando prima di cedere terreno nel finale. Se fosse rimasto davanti avrebbe sicuramente continuato ad aiutare Simoni che avrebbe a quel punto avuto un valido alleato per mantenere il suo vantaggio e poi incrementarlo nel finale, dove, effettivamente, Savoldelli ha di nuovo accusato la fatica e ha ceduto circa trenta secondi.
Il quarto e ultimo episodio è l’attacco di José Rujano. In quel momento, se Simoni avesse tenuto il ritmo del venezuelano e fosse arrivato insieme a lui, avrebbe sicuramente potuto guadagnare abbastanza per vincere la maglia Rosa. Vincendo poi un eventuale sprint a due, si sarebbe aggiudicato anche i secondi d’abbuono necessari per acquisire un vantaggio sufficiente per vincere quel Giro d’Italia.
La storia, però, non si scrive con i se e con i ma, come si dice. Ogni cosa in quella tappa, anche la più assurda e imprevedibile, è successa per un motivo ben preciso. L’intelligenza tattica di Savoldelli e del suo direttore sportivo, l’eccessivo sforzo fisico di Di Luca sul Colle delle Finestre, la freschezza di José Rujano sul Sestriere. Ogni cosa, soprattutto nel ciclismo, ha una sua logica.
Amarcord
Dove sono oggi i protagonisti di quella tappa epica, a 13 anni dal suo svolgimento?
Gilberto Simoni non andrà mai più così vicino al vincere un Giro d’Italia, e nonostante tutti i suoi sforzi, tutte le sue imprese, i suoi attacchi, si ritirerà nel 2010 dopo un anonimo 69° posto al Giro d’Italia, vinto, ironia della sorte, dal suo acerrimo rivale Ivan Basso. Si chiuderà così una carriera piena di rimpianti e di what if che non servono a nulla se non a rendere ancora più amaro il suo ricordo.
Danilo Di Luca, dopo la delusione del podio sfumato, dirà che «la cosa più importante che ho capito in questo Giro è che prima o poi lo vinco». Lo vincerà, nel 2007. Da lì in poi la sua storia è nota ai più soprattutto per gli scandali che lo hanno visto protagonista direttamente o indirettamente. Resta, in ogni caso, uno dei più grandi talenti della sua generazione.
Ivan Basso correrà il Tour de France pochi mesi dopo chiudendo al 2° posto alle spalle del solo Lance Armstrong, prima di vincere il Giro d’Italia 2006. Dopo quel trionfo, che sembrava essere il primo di una lunga serie, viene fermato alla vigilia del Tour de France per il coinvolgimento nell’Operación Puerto, che sconvolse dalle fondamenta il mondo del ciclismo. Tornerà al Giro nel 2009 chiudendo al 5° posto (poi diventato 3° dopo le squalifiche di Di Luca e Pellizotti) prima di tornare a vincere nel 2010. Nel 2015, ormai a fine carriera, si trasferirà alla Tinkoff-Saxo nelle vesti di gregario di Alberto Contador. Al Tour de France di quell’anno, in seguito a degli accertamenti per una brutta caduta, gli viene diagnosticato un tumore al testicolo sinistro. Inizierà così la sua ultima corsa, chiusa con la più importante vittoria della sua vita.
José Humberto Rujano Guillén, ancora inebriato dal podio, firmerà un ricco contratto con la Quick Step che gli consentirà di monetizzare negli anni a venire quell’impresa.
Dopo essere passato in alcune delle più importanti squadre europee senza mai ottenere alcun risultato degno di nota, tornerà alla corte di Gianni Savio nel 2011.
Con la maglia della Androni, correrà un ottimo Giro d’Italia piazzandosi al 6° posto prima di sparire per la seconda volta, questa volta definitivamente.
Mauricio Alberto Ardila Cano proseguirà la sua anonima carriera in giro per l’Europa ancora per una decina d’anni prima di tornare in Colombia nel 2012 e ritirarsi nell’ottobre del 2017. Per anni sarà il mentore silenzioso di tanti piccoli escarabajos (il soprannome dei ciclisti colombiani e sudamericani in generale, dovuto alla loro consueta struttura fisica molto esile, piccola e compatta) che arrivavano in Europa dal Sudamerica, insegnando loro le due più grandi virtù che il ciclismo gli ha donato: “responsabilidad y disciplina”.
Paolo Savoldelli, dopo la vittoria al Giro 2005 vincerà anche il cronoprologo del Giro 2006 indossando ancora una volta la Maglia Rosa, prima di sprofondare in classifica generale fino a 19’22” da Ivan Basso, ma chiudendo comunque in quinta posizione. L’anno successivo, in maglia Astana, sarà fondamentale con i suoi attacchi in discesa per portare sul podio Eddy Mazzoleni. Savoldelli ha costruito i suoi due successi al Giro d’Italia sulla sua solidità a cronometro e la sua schiacciante superiorità in discesa. “Il Falco” oggi è un apprezzato commentatore tecnico per la televisione, dove riesce ad esprimere le sue opinioni in forma chiara nonostante il suo spiccato accento bergamasco.